Tra il 27 e il 29 agosto, 17 civili sono stati uccisi e 7 rapiti nei villaggi Beu-Manyama e Mutueyi Siro del territorio di Beni nel Nord-Kivu, a l’Est della Repubblica democratica del Congo (RDC). La strage è stata attribuita alla fantomatiche ADF (Allied democtatic forces), sigla di comodo che in realtà nasconde un conglomerato du gruppuscoli tribali, che quasi più nulla hanno a che vedere con le « ADF » originali, una formazione di origine ugandese presente nella zona tra il 1995 et l’inizio del 2014.
Nella provincia vicina dell’Ituri, tra sabato 27 e domenica 28, 14 persone – di cui 2 soldati dell’esercito regolare (FARDC) – sono stati assassinati a Lodjo, località del territorio di Djugu, dalla CODECO, una banda armata i cui membri, appartenenti alla comunità Lendu, sono soliti attaccare gli Hema, un’altra comunità, storicamente mal vista dal regime.
Dopo la proclamazione a maggio 2021 dello Stato d’assedio nelle due provincie orientali, il sangue delle popolazioni continua ad essere versato con un’intensità senza precedenti dopo l’inizio di una lunga catena di crimini di massa a ottobre 2014.
44 sono i civili vittime delle «ADF» in soli 4 giorni tra il 25 e il 29 di agosto, mese che ha fatto registrare un totale di 83 persone uccise dalla CODECO in Ituri, la cui ‘società civile’ ha criticato aspramente ls operazioni congiunte Shuja condotte dalle FARDC e dall’esercito ugandese (UPDF), che avrebbero dovuto metter fine alle atrocità.
La dissimulazione delle «operazioni militari»
Malgrado le manovre militairi comuni, che han preso l’avvio a novembre 2021, la situazione, invece di migliorare, è peggiorata. « Queste operazioni non sono mai cominciate in effetti. Nessuno è mai riuscito a localizzarle nei territori di Beni, Djugu e Irumu, dove le ‘ADF’ circolano liberamente e ammazzano ogni giorno dei Congolesi », ha dichiarato il 27 agosto scorso alla stampa locale il deputato provinciale del Nord-Kivu Alain Siwako.
Un altro deputato provinciale, Jean-Paul Ngahangondi, eletto nel territorio di Beni, ha rilasciato lo stesso giorno delle dichiarazioni analoghe durante una trasmissione della rubrica «Coup de Pioche» della televisione provinciale, affermando che, contrariamente alla propaganda delle FARDC, l’esercito non fa alcuna operazione militare per proteggere la popolazione dagli attacchi delle bande criminali: “La situazione era diversa nel periodo precedente il ciclo dei massacri cominciato a ottobre 2014.
L’esercito, dopo aver recuperato i villaggi occupati dai ribelli delle vere ADF, agiva alla luce del sole facendovi ritornare gli abitanti. Nulla di tutto questo succede oggi, e da ormai 8 anni”.
Cosicché quelle annunciate dal servizio Informazioni delle FARDC (SCIFA / FARDC) sono delle operazioni fittizie, esistenti sul piano della comunicazione in un contesto in cui dissimulazione e opacità regnano sovrane.
Ngahangondi ha pagato con mesi di prigione le sue denunce sistematiche delle palesi incongruenze che mal celano la mano del potere politico e militare dietro le stragi dei civili che datano da 8 anni.
Tra i fatti salienti del mese d’agosto, l’evasione dalla prigione di Kakwangura a Butembo, centro commerciale non lontano da Beni, avvenuta il giorno 10, è durata più di 3 ore. Malgrado la vicinanza delle caserme delle FARDC e dei Caschi bleu, un commando ha potuto agire indisturbato e liberare 800 prigionieri.
L’iniziativa è stata probabilmente decisa nelle alte sfere dell’esercito, che si è servito di elementi manipolati per fornire truppe fresche ai gruppi armati sotto il suo controllo. L’arresto del membro principale del commando due settimane dopo i fatti, e di cui la redazione del Faro è stata informata da una fonte locale, è ancor oggi tenuto segreto e testimonierebbe di un mancato rispetto degli accordi presi coi suoi « superiori » da parte del capo miliziano.
La stessa fonte ci ha confermato che il responsabile della « casa militare » del presidente Tshisekedi, il generale François Ntumba, è l’eminenza grigia che tira i fili dei protagonisti di questo torbido intrigo di complicità inconfessabili.
Numerosi sono infatti i fattori che attestano l’implicazione diretta del potere nei tragici avvenimenti di Beni e dell’Ituri.
Un crimine di Stato
Tutti questi elementi convergono nell’evidenziare una strategia precisa, concepita a monte di fatti che si caratterizzano come un vero e proprio processo di sterminio di alcuni strati della popolazione civile. Un crimine di Stato inenarrabile, perpetrato all’ombra di un consenso ignobile da parte di quella che, nel mondo unipolare, è ancora chiamata « comunità internazionale ».
Mette conto infatti sottolineare l’aumento esponenziale degli attacchi e del numero delle vittime nell’area Beni-Ituri a partire da ottobre 2014 e, nello stesso tempo, il suo essere direttamente proporzionale alla progressione della militarizzazione del territorio da parte dei poteri costituiti, militarizzazione che si è concretizzata finora in tre atti fondamentali.
Il 31 ottobre 2019, il governo della RDC et lo Stato maggiore delle FARDC proclamano le « Operazioni di ampie dimensioni » per « sradicare il fenomeno ADF ». A tal fine, l’esercito si dota di un ufficio propaganda per pubblicizzare i presunti successi quotidiani dei militari…
Poi, il 6 maggio 2021, vista la persistenza del « fenomeno ADF », il presidente della Repubblica Félix Tshisekedi promulga lo stato d’assedio nelle due provincie dell’Ituri e del Nord-Kivu. Terzio, e come abbiamo visto, le operazioni congiunte degli eserciti congolase et ugandese sono stabilite a novembre 2021.
Il bilancio, allo stato attuale, di tutto questo movimento di uomini in uniforme, è tragico ed ugualmente grottesco. Prendiamo ad esempio i dati consegnati ad un rapporto di due deputati della maggioranza. Le cifre attestano 2695 vittime nel 2020 e 4428 nel 2021, con un aumento sostanziale di anno in anno. Per quello che riguarda lo stato d’assedio, un anno dopo la sua promulgazione, coiè tra il 6 maggio ‘21 e il 6 maggio ‘22, il numero dei morti ammonta a 2563, più del doppio di quelli registrati tra il 6 maggio ‘21 e il 6 maggio ‘20!
Il tutto considerando che nei primi anni del ciclo infernale dei massacri, ad esempio tra il 2014 e il 2016, il conto delle vittime si fermava a qualche centinaio all’anno. E tenendo presente che i dati citati convergono grosso modo con quelli emanati da tutti gli altri istituti od organismi di ricerca.
Una guerra contro i civili
Per arrivare alla conclusione più ovvia, coiè che la militarizzazione è funzionale allo sviluppo della guerra contro i civili e non al suo contrario, che sarebbe la protezione della popolazione, basta fare ricorso ad un’ampia letteratura, ufficiale e non : numerosi rapporti delle Nazioni unite (NU), di esperti ed analisti, a parte altre pubblicazioni e testimonianze, provano la partecipazione più o meno diretta di alti ufficiali delle FARDC nella formazione delle bande armate criminali, poi nella progettazione e l’esecuzione degli eccidi.
Per quello che riguarda le NU, ci limitiamo a citare i tre rapporti seguenti: Rapport du Bureau conjoint des NU aux Droits de l’homme (BCNUDH), maggio 2015, Rapport du Groupe d’Experts des NU du 16/10/2015 (S / 2015 / 797), Lettre du 23 / 05 / 2016 adressée au Président du Conseil de sécurité des Nations unies par le Groupe d’experts sur la RDC.
Ora, nell’era della comunicazione globale, è la mediatizzazione a oltranza che crea la narrazione ufficiale e questo tipo di rapporti ne è escluso, la sua circolazione restando limitata al circuito degli « specialisti ». Il che fa pensare alla contraddizione lampante tra le NU che sanno e denunciano, guardandosi bene da una divulgazione massiccia dei fatti evidenziati, e le NU che sanno e nascondono : quelle che, sotto bandiera della Missione di stabilizzazione (MONUSCO), operano nello scenario congolese in appoggio ad un esercito che, secondo i loro colleghi, agisce in collusione coi gruppi responsabili dei crimini di massa.
E’ chiaro che solo l’ingenuità potrebbe far credere che queste iniziative delle FARDC, dallo stato d’assedio alle operazioni congiunte, possano eliminare la violenza contro i civili, dato che l’origine di questa violenza si trova nelle stesse FARDC.
Due fatti son cosi’ acquisiti. Primo, sono le FARDC le responsabili principali dei massacri, di questo lungo processo di sterminio iniziato ai primi d’ottobre 2014 a Beni e 3 anni dopo in Ituri. Secondo, le NU, l’Unione europea (UE), le grandi potenze e le potenze regionali africane ne sono perfettamente al corrente e preferiscono tacere.
A condizione beninteso che lo Stato congolese faccia prova di disponibilità nel garantire ai suoi partner internazionali e regionali l’accesso alle sue inestimabili riserve di materie prime strategiche. Condizione già data e che nulla augura di buono alle popolazioni dell’Est della RDC, terrorizzate dalla serie incessante dei lutti.
Seminare il panico e provocare il caos
Perché è il terrore, forma suprema di controllo delle popolazioni secondo le dottrini militari della guerra moderna, l’obiettivo di questa dinamica senza fine che fa scorrere fiumi di sangue, creare decine di migliaia di sfollati, allineare le bare, riempire i cimiteri, edificare gli orfanatrofi.
Un documento dell’Ufficio dei diritti dell’uomo delle NU (BDHNU), pubblicato ad agosto di 2 anni fa, cita dei funzionari delle ambasciate occidentali ed africane a Kinshasa che evocano “una strategia del terrore messa in atto dal regime congolese, la cui finalità sarebbe di tenere sotto controllo le provincie orientali da dove, storicamente, son partite tutte le ribellioni”.
Parere condiviso dall’Alto-Commissariato per i rifugiati (HCR), secondo il quale, in un comunicato del 16 febbraio 2021, le atrocità “s’iscrivono nel quadro di un approccio sistematico tendente a perturbare la vita dei civili, a seminare il panico e a provocare il chaos”.
Beni è una tragedia contemporanea. Tragedia della guerra moderna, che è prima di tutto guerra contro i civili. Il suo essere possibile ed inverarsi nella realtà è dato da un vasto e sofisticato processo di disinformazione, senza il quale nessuna « opinione pubblica » potrebbe rassegnarsi ad accettare che l’esercito di un paese faccia la guerra ai suoi propri cittadini. La fiction di una falsa ribellione che non si riesce a smantellare diventa allora necessaria… con tante narrative a supporto, di cui une delle più quotate accredita le bande chiamate “ADF” come filiazione dello Stato Islamico.
La storia dell’umanità è piena di tanti massacri. Ma ci si chiede se quello di Beni non occupi un posto speciale nel museo degli orrori. Primo, per la durata, per questo suo ripetersi apparentemente all’infinito, come qualcosa d’ineluttabile, a cui ci si deve abituare. Poi, per la cospirazione del silenzio, dove i cani che abbaiano altrove, qui tacciono. Come lupi avidi di risorse in una competizione esaperata dai disegni folli di dominazione dell’asse euro-atlantico.
Disarticolare la comunicazione deviante
Il silenzio s’accompagna alla diversione. Si creano le condizioni di un’altra guerra, completamente inutile, contro la ribellione dell’M23, movimento politico-militare congolese che si limita a chiedere l’applicazione d’accordi passati e la restaurazione della pace all’Est. E si accusa, senza prove, il Rwanda di appoggiare questa ribellione, malgrado che questo sostegno sia escluso dai fatti e dagli Stati dell’East African Community e della Conferenza internazionale della regione dei Grandi laghi.
“La RDC è vittima di un’aggressione barbara e brutale da parte del Rwanda”, ha dichiarato Félix Tshisekedi davanti ai suoi pari, i capi di Stato della South African Development Community che lo ascoltavano ammutoliti. E mentre i suoi concittadini continuavano a cadere, vittime di un’aggressione, questa sì barbara e brutale, da parte di un esercito teoricamente ai suoi ordini e la cui funzione sarebbe quella di proteggere le popolazioni.
Arrestare i massacri a Beni e in Ituri è oggi la priorità nella RDC. Non assumerla in quanto tale, è farsi complici della diversione. Assumerla vuol dire impegnarsi prima di tutto nella battaglia contro il terrorismo comunicazionale che supporta il terrorismo vero e proprio delle bande omicide e delle FARDC che le teleguidano.
Per farlo, bisogna svelare le realtà fattuali e la loro meccanica, attuare convergenze, costruire strutture comuni dell’informazione per disarticolare la narrazione imperiale. Un’informazione di pace contro la comunicazione deviante, guerra disinformazionale per eccellenza. Non c’è altra strada.
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