Appena qualche giorno fa Tat’jana Tomilina, rettore dell’Università di Kherson, era sfuggita a un attentato: un ordigno artigianale era esploso sulle scale del palazzo in cui vive, causando la morte di un uomo (forse sua guardia del corpo) e provocando leggere ferite alla stessa Tomilina.
Lo scorso luglio, in un’intervista a Ukraina.ru, Tomilina aveva dichiarato che nella regione di Kherson, sotto controllo russo, molte persone non avevano ancora ricominciato a lavorare, aspettano l’eventuale «controffensiva “liberatrice” ucraina» e, comunque, attendevano «il momento in cui la situazione al fronte sarà più definita. Altri, invece, sono proprio delusi di non poter più approfittare» degli introiti da bustarelle; in generale, però, c’è un «atteggiamento positivo verso la Russia», nonostante «si calunnino le persone, definendole collaborazionisti».
Va peggio nelle aree della regione di Khar’kov tornate sotto controllo ucraino, in cui sono in corso cosiddette “iniziative di filtraggio” contro tutti coloro che sono accusati o sospettati di aver “collaborato col nemico”. Il Ministero degli esteri russo ha rivolto un appello a tutti paesi ONU affinché agiscano su Kiev per impedire che tali azioni portino all’uccisione di migliaia di persone da parte delle bande neonaziste ucraine.
D’altronde, da tempo le organizzazioni di sinistra ucraine, clandestine sotto la junta nazi-golpista, denunciano la scomparsa di decine e decine di civili, nelle aree di nuovo occupate da Kiev. Le persone – in particolare medici, insegnanti, addetti ai servizi pubblici – accusate di aver collaborato con l’amministrazione militare russa, vengono catturate direttamente sui luoghi di lavoro e condotte verso destinazioni ignote. Nel migliore dei casi, su tutte le persone catturate e accusate di aver collaborato coi russi, pende l’art. 438 CP (violazione di leggi e usi di guerra) che comporta fino a 12 anni di galera.
Ma il pericolo, scrivono gli attivisti di Borot’ba, è che Kiev stia preparando un’altra provocazione del tipo di quella inscenata a Buča e Irpen’, ma di dimensioni maggiori, assassinando decine delle persone rapite nella regione di Khar’kov.
Un pericolo, questo, che ieri era ventilato anche dal sito topwar.ru, con la notazione che «non si doveva abbandonare quella regione» e che le bande neonaziste considerano «non persone» tutti indistintamente gli abitanti dell’est ucraino e, dunque, la nuova Buča farà impallidire quella del marzo scorso.
Non foss’altro perché, nota topwar.ru, che «la soglia di percezione delle tragedie si sta gradualmente alzando e all’osservatore occidentale servono cadaveri ancor più sfigurati. In caso contrario, la nuova messa in scena passerà senza lasciare traccia e non ci saranno né nuove forniture di armi, né iniezioni finanziarie. In una delle regioni più russe d’Ucraina sono iniziati tempi bui».
Tempi illuminati però dalle telecamere occidentali, per mostrare le “ennesime efferatezze” di quella che un Presidente del consiglio (dimissionario) UE aveva definito «l’inciviltà», cui si contrappone «la nostra civiltà», sostenitrice di quelle bande neonaziste che, dopo aver rioccupato la regione di Khar’kov, hanno immediatamente provveduto a dar vita a speciali canali Telegram, attraverso cui i «non indifferenti» possano agire da delatori verso propri connazionali, denunciandoli ai Polizei nazionalisti.
Intanto, mentre mercoledì sera, la signora Ursula von der Leyen arrivava a Kiev per la sua terza visita dall’inizio della guerra, il Ministero della difesa russo dichiarava in maniera diretta che «Al momento si sta perfezionando la messa a punto di varie provocazioni, coinvolgendo la popolazione civile delle città di Konoton e Trostjanets, nella regione di Sumy, e di Borodjanka e Katjužanka, nella regione di Kiev. Disponiamo di informazioni certe secondo cui il regime di Kiev sta preparando nuovi materiali provocatori sulla morte di civili, che sarebbe causata dalle azioni dell’esercito russo… Scenari del tipo di quello di Buča, con accuse infondate alle Forze armate russe, questa volta non passeranno».
Difficile non sospettare un piano per far coincidere le provocazioni nella regione di Kiev (Borodjanka e Katjužanka, una a ovest e l’altra a nordovest, distano appena un’ora di auto da Kiev) proprio con la presenza in loco della signora in questione, per ampliarne la risonanza. Come scordare che punto focale del precedente viaggio, a inizio aprile, era stata la visita a Buča?
La teutonica affarista a capo della Commissione europea, ha d’altra parte ringraziato Vladimir Zelenskij per averle conferito l’Ordine di Jaroslav il Saggio, considerandolo «un grande onore e un simbolo del nostro stretto legame». Così stretto, ricorda la Tass, che la stessa von der Leyen, intervenendo mercoledì a Strasburgo, prima della partenza per Kiev, ha promesso «mesi non facili ai cittadini UE… né per le famiglie, che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, né per le aziende», ma ha anche promesso pieno sostegno economico e finanziario, alla junta golpista, insieme all’appoggio per l’ingresso nella UE.
Di più, la gelida faccendiera ha annunciato l’intenzione UE di aumentare l’acquisto di energia elettrica dall’Ucraina: un vero affare per Kiev, che va ad aggiungersi ai diciannove miliardi di euro concessi da Bruxelles da inizio anno sotto forma di aiuti militari, economico-finanziari e “umanitari”, senza contare gli aiuti giunti dai singoli stati su base bilaterale.
Ora dunque, da impenitenti nemici della «nostra civiltà», liberale e guerrafondaia, potremmo commentare la visita settembrina della von der Leyen a Kiev, dopo quelle di aprile e di giugno, con le parole rivolte dall’asina a Balaam: «Che ti ho fatto perché tu mi percuota già per la terza volta?».
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