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Cosa interessa agli americani? Non certo una guerra fredda con Russia e Cina

L’amministrazione Biden pubblicherà presto la sua Strategia di sicurezza nazionale, che è stata rivista sulla scia dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Il documento scatenerà senza dubbio un nuovo dibattito su come gli Stati Uniti debbano prepararsi a una nuova guerra fredda contro Russia e Cina.

Ma prima di immergerci in una competizione globale tra grandi potenze, vale la pena ricordare la promessa del Presidente Biden di creare una “politica estera per la classe media” e dare un’occhiata a ciò che più preoccupa gli americani.

Il Congresso sta per aggiungere decine di miliardi di dollari al bilancio militare. I falchi impenitenti lo ritengono inadeguato e chiedono un aumento del 50%, ovvero 400 miliardi di dollari in più all’anno. Gli aiuti all’Ucraina ammontano a più di 40 miliardi di dollari quest’anno, e non solo.

Nel Pacifico è in corso un nuovo rafforzamento. Biden chiama gli americani alla battaglia globale tra democrazia e autocrazia, sottintendendo che la sicurezza degli Stati Uniti dipende dalla “diffusione della democrazia” – e, implicitamente, dal cambio di regime – in tutto il mondo.

Gli americani, si può dire, hanno preoccupazioni diverse, e forse più pratiche, come ha rivelato un recente sondaggio della Quinnipiac University. Alla domanda su quale sia la questione più urgente che il Paese deve affrontare oggi, il 27% degli intervistati – il numero più alto – ha indicato l’inflazione al primo posto, mentre solo il 2% ha messo l’Ucraina al primo posto. In una serie di sondaggi Economist-YouGov dell’ultimo mese, le principali preoccupazioni di politica estera hanno incluso l’immigrazione e il cambiamento climatico.

Il “blob” della politica estera potrebbe prepararsi a una guerra fredda globale, ma gli americani sono concentrati sulla sicurezza in casa. Secondo un sondaggio della Fondazione Eurasia Group (società di “consulenza sul rischio politico” fondata nel 1998 da Ian Bremmer, di certo non un “pacifista”), quasi la metà degli americani pensa che gli Stati Uniti dovrebbero diminuire il loro coinvolgimento negli affari degli altri Paesi; solo il 21,6% lo aumenterebbe. Quasi il 45% diminuirebbe il dispiegamento di truppe americane all’estero; solo il 32,2% lo aumenterebbe.

I sondaggi, naturalmente, sono solo istantanee e la febbre della guerra può trasformare le opinioni. Tuttavia, un rapporto del 2021 del Chicago Council on Global Affairs ha riportato molte delle stesse priorità. Molti più americani (81%) hanno dichiarato di essere preoccupati per le minacce interne al Paese che per quelle esterne (19%).

Tra gli obiettivi di politica estera, oltre il 75% degli intervistati ha ritenuto molto importante la protezione dei posti di lavoro dei lavoratori americani e la prevenzione della diffusione delle armi nucleari. Molto più indietro troviamo “aiutare a portare una forma di governo democratica in altre nazioni” (18%) e “proteggere le nazioni più deboli dall’aggressione straniera” (32%).

Come sarebbe una strategia sensata per la classe media? Un recente documento del Quincy Institute for Responsible Statecraft – “Managed Competition: A U.S. Grand Strategy for a Multipolar World” offre un buon indizio. L’autore è George Beebe, ex capo dell’unità di analisi della Russia della CIA e attualmente direttore della Grande strategia dell’Istituto.

Beebe sostiene che negli ultimi tre decenni sono emersi “divari abissali” non solo tra “le ambizioni dell’America nel mondo e la sua capacità di raggiungere tali obiettivi“, ma anche tra “un’élite della politica estera di Washington troppo concentrata sulla promozione del primato statunitense” e “gli americani comuni che desiderano una maggiore stabilità e prosperità in patria“.

Egli fa eco alle priorità della maggior parte degli americani, sostenendo che “la principale sfida strategica che Washington si trova ad affrontare oggi non è quella di vincere una battaglia decisiva tra libertà e tirannia, ma di guadagnare un po’ di respiro all’estero che permetta al Paese di concentrarsi su una ripresa interna disperatamente necessaria“.

Egli delinea quindi il nucleo di una strategia per questo periodo: una “competizione gestita” con la Russia e la Cina. Riconoscendo che la nostra salute economica è intrecciata con quella della Cina e che l’arsenale nucleare russo richiede prudenza, egli “eviterebbe di promuovere un cambiamento di regime” o di “minare la stabilità politica ed economica in Russia e in Cina“.

Invece, in una competizione gestita, i nostri rivali verrebbero contrastati non solo dalla potenza e dalle alleanze americane, ma anche dalla ricostruzione di “regole del gioco concordate“, iniziando presumibilmente con gli sforzi per rilanciare gli accordi sugli armamenti nucleari e creare accordi informatici per limitare queste crescenti sfide alla sicurezza.

Affinché ciò avvenga, osserva in altra sede, è necessario che la guerra in Ucraina finisca di comune accordo. Beebe ammette che l’attacco di Vladimir Putin ha richiesto una forte risposta a guida americana. Ma come quando Saddam Hussein invase il Kuwait, Beebe distinguerebbe tra il respingere l’aggressione di Putin e gli sforzi per favorire un cambio di regime a Mosca o per portare l’Ucraina nell’orbita occidentale.

Nell’attuale euforia per i passi indietro della Russia in Ucraina, questa cautela rischia di cadere nel vuoto. Ma una politica estera per la classe media deve trovare un modo per frenare le nostre avventure all’estero, in modo da poter ricostruire la nostra democrazia e la nostra forza in patria.

Una guerra fredda contro la Russia e la Cina può dare potere all’élite della politica estera, arricchire il complesso militare-industriale-congressuale ed eccitare i nostri bellicosi media, ma ignora il buon senso del popolo americano.

 

 * Katrina vanden Heuvel è direttore editoriale ed editore di The Nation e presidente dell’American Committee for U.S.-Russia Accord (ACURA). Scrive una rubrica settimanale sul Washington Post e commenta spesso la politica americana e internazionale per Democracy Now, PBS, ABC, MSNBC e CNN. La trovate su Twitter @KatrinaNation.

(Questo articolo è distribuito da Globetrotter in collaborazione con The Nation)

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