La soluzione politica alla crisi in Libia è fallita e per questo serve che il “popolo libico” organizzi proteste in tutto il Paese dal momento che “una battaglia inevitabile deve essere combattuta”. Ad annunciarlo, secondo quanto riporta l’agenzia Nova, è stato il comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), generale Khalifa Haftar, nel corso di un discorso tenuto ieri in occasione di una parata militare nel capoluogo meridionale di Sabha.
Sebbene Haftar non abbia mai pronunciato la parola “guerra”, il generale ha promesso che il suo esercito proteggerà il popolo durante le necessarie “rivolte” contro chi detiene il potere nel Paese, ovvero “i corrotti, coloro che hanno tradito la fiducia e depredato la ricchezza del popolo, e coloro che portano armi e terrorizzano i cittadini e le istituzioni statali”. Secondo quanto riferito dal portale di informazione libico “Al Wasat”, Haftar ha sostenuto che il prolungato conflitto politico nel Paese ha fatto perdere del “tempo prezioso” in “polemiche e liti” che non hanno portato ad una riconciliazione nazionale ma che anzi hanno esacerbato la crisi esistente.
“L’enorme somma di denaro spesa dai governi degli ultimi dieci anni avrebbe potuto risollevare la vite dei cittadini (…) e determinare uno sviluppo sorprendente in tutti i settori, ma è stata sprecata nel sistema di corruzione del governo senza investire nel raggiungimento della crescita e della ripresa economica”, ha sottolineato il generale. “Abbiamo raggiunto la fase in cui tutti devono ammettere il fallimento (…) e che non c’è modo di continuare a camminare in un vicolo cieco, e non c’è percorso che porti al successo se non il percorso fatto dalla gente”, ha concluso Haftar.
La dichiarazione di guerra di Haftar piomba come un macigno su una normalizzazione difficile e una dualità di potere in Libia che ha fatto spesso parlare di rischio secessione tra la Tripolitania e la Cirenaica (la regione più a est). La Libia destabilizzata dall’intervento militare della Nato nel 2011 non è più riuscita a trovare una stabilità e unità interna.
I vari tentativi di giungere ad un accordo tra i due governi – il GNU di Tripoli e il LNA di Tobruk – non hanno portato a successi, nonostante l’attività della Turchia consolidatasi come arbitro della situazione libica. In seguito alla firma di un memorandum con il governo di Tripoli, Ankara è intervenuta nella guerra civile libica con uomini e mezzi e la sua presenza è stata estesa, proprio nel giugno scorso, per altri 18 mesi, allo scopo di avere il massimo controllo possibile sul territorio e un’intelligence adeguata. Pur confermando il proprio interesse nei confronti della Tripolitania Ankara ha anche iniziato un certo dialogo con Aguila Saleh e i suoi rappresentanti a Tobruk, anche in virtù di una nuova spinta collaborativa con Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita.
Sebbene l’evento non sia stato pubblicizzato, ad agosto il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan aveva ricevuto ad Ankara figure di spicco del governo di Tobruk, tra cui proprio Aguila Saleh che ne è l’eminenza grigia.
La sostituzione a luglio di Mustafa Sanallah, alla guida della NOC (la compagnia petrolifera libica) era stata vista da molti come un cambiamento necessario voluto dal capo del governo di Tripoli Dbeibah sia per placare il malcontento popolare, sfociato nelle proteste contro il malgoverno e il blocco petrolifero, sia per rinforzare l’accordo di non belligeranza tra lo stesso leader del Gnu e il generale Khalifa Haftar[, che aveva portato alla fine del blocco petrolifero e alla ripresa dell’export.
Le ripercussioni del caos libico per l’Italia sono evidenti ormai da anni. Occorre rammentare che l’Italia è il terzo paese fornitore della Libia dopo Turchia e Cina. L’Italia si conferma, nei primi 7 mesi del 2022, il primo mercato di destinazione dell’export della Libia con una quota di mercato del 26,74% davanti a Spagna (10,91% e 2,15 mld di euro), Germania (10,67% e 2,10 mld di euro), Cina (8,81% e 1,73 mld di euro).
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