Le bande jihadiste che fanno riferimento allo Stato Islamico continuano ad avanzare in territorio libico. Approfittando dell’instabilità, della spaccatura politica e della guerra tra bande, i fondamentalisti rafforzano le loro posizioni nel Paese, non più confinati nella regione della Cirenaica dove avevano fatto la loro comparsa già mesi fa. L’ultima mossa è stata la conquista dell’aeroporto civile di Sirte, nell’omonimo golfo nel Mediterraneo, a metà strada tra Tripoli e Bengasi. A riferirlo è stato il portavoce della Brigata 166 di Misurata, la stessa che da mesi sta cercando di arginare l’avanzata dell’Is verso ovest e di riconquistare Sirte. La Brigata, ha spiegato il portavoce, è stata costretta a ritirarsi dalla base di al-Qardabiya a causa del mancato arrivo di rinforzi da Tripoli.
Dal canto suo l’Is ha confermato la notizia, affermando di aver preso anche il controllo di alcuni edifici del progetto ‘Grande fiume artificiale’, l’acquedotto più grande del mondo voluto da Muammar Gheddafi. A est invece è stato respinto, anche con l’aiuto della popolazione, il tentativo dei jihadisti di Derna (la roccaforte dello Stato islamico nel paese) di allargarsi verso ovest, con un attacco al piccolo centro di Lamluda, in direzione di al Baida, una delle due sedi – insieme a Tobruk – del governo “legittimo” riconosciuto dalla cosiddetta comunità internazionale, cioè dalle potenze straniere che non nascondono i propri appetiti sul territorio scosso dalla tribalizzazione e dalla guerra civile. Dal governo “parallelo” di Tripoli, imposto dalle milizie filo-islamiche della coalizione di Fajr Libya (principalmente composta da quelle di Misurata), arriva intanto un ‘avvertimento’ all’Unione Europea, un monito già espresso con stessi toni dai rivali di Tobruk nelle scorse settimane. “Se l’Ue entrerà nelle acque libiche” con la scusa di fermare i barconi dei migranti “senza il nostro permesso, ci difenderemo”, ha dichiarato in un’intervista all’Independent il ‘premier’ Khalifa al-Ghweil, anche lui di Misurata, che ha sostituito il predecessore Omar al-Hassi sfiduciato dal Congresso nazionale libico, il ‘parlamento’ di Tripoli riesumato dalle milizie. L’avvicendamento ai vertici dell’esecutivo parallelo di Tripoli, com’era avvenuto a Tobruk, non è stato avallato da un voto parlamentare netto, e che quindi gli scontri sussistono anche all’interno della fazione di tendenza islamista ‘moderata’ sostenuta dal Qatar e dalla Turchia. Nell’intervista al quotidiano britannico Ghweil ha insistito affinché la comunità internazionale riconosca il parlamento di Tripoli come unica autorità legittima del paese: «Controlliamo l’85% della Libia, l’Occidente deve parlare con noi di immigrazione e Stato islamico per assicurarsi che le cose non peggiorino ulteriormente». Per il premier di Tripoli il vero nemico resta comunque il generale Khalifa Haftar, vero padrone di Tobruk: “E’ un criminale di guerra. Ha distrutto Bengasi, le sue truppe hanno ucciso molte persone innocenti (…) Sta causando un danno grave continuando a chiedere a paesi stranieri (Egitto, Arabia saudita, ndr) di interferire negli affari libici. E’ un traditore della Libia” ha denunciato. Il paese è letteralmente andato in pezzi ed ogni fazione tenta di approfittare della situazione per impossessarsi del potere, anche a costo di sfruttare l’avanzata delle milizie islamiste pensando di indebolire gli avversari.
Ma il governo italiano insiste, e senza vergogna utilizza una delle più tragiche conseguenze dell’intervento occidentale nel paese nel 2011– l’espansione del fondamentalismo islamista – per giustificare la necessità di un intervento ulteriore, reso più probabile dall’approvazione secretata del piano dell’Unione europea che prevede incursioni in acque territoriali libiche con il pretesto di fermare il flusso di migranti. “In Libia l’auto proclamato Stato islamico si sta espandendo” ha detto il ministro degli Esteri del governo Renzi, Paolo Gentiloni, in un’intervista a Foreign Affairs. “Noi siamo pronti – ha aggiunto il titolare della Farnesina – ad assumere un ruolo di guida per assistere, all’interno della cornice giuridica Onu, un governo libico di unità nazionale, con l’obiettivo di stabilizzare il Paese”.
Intanto l’inviato dell’Onu per la Libia, Bernardino Leon, continua a lavorare per tentare di avviare un qualche dialogo tra le diverse fazioni del paese, nonostante le sistematiche battute d’arresto, le bozze di accordo respinte e le difficoltà sul terreno determinate dai combattimenti.
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