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Oggi si vota in Israele, di nuovo

Oggi si svolgeranno nuovamente le elezioni in Israele. L’esito che scaturirà dalle è più che mai incerto e lo scontro principale è tra l’eterogenea coalizione governativa uscente, e quella guidata dal Likud del più volte Primo Ministro Benjamin Netanyahu, detto “Bibi”.

Sullo sfondo la guerra in Ucraina, gli accordi sul nucleare iraniano ancora non conclusi, l’accordo tra Israele e Libano rispetto allo sfruttamento dei giacimenti di gas nei confini marittimi tra due Stati, una rinnovata unità suggellata ad Algeri tra le forze politiche palestinesi ed una situazione esplosiva nei Territori Occupati.

Verranno eletti i 120 membri della Knesset, il parlamento mono-camerale d’Israele.

La soglia di sbarramento, per un partito o una coalizione, per avere una rappresentanza all’interno del Parlamento israeliano è pari al 3,25% dei voti. Chi ottiene questa percentuale ha diritto a 4 parlamentari, a cui si aggiungono altri deputati in caso di risultato superiore.

Sono chiamati alle urne 6.787.355 elettori, su una popolazione di 9,593 milioni di cittadini, di cui più di 7 milioni sono “ebrei” israeliani – inclusi i circa 700.00 coloni che vivono illegalmente nei territori occupati della West Bank e di Gerusalemme Est – e più di 2 milioni di arabo-israeliani.

I cittadini palestinesi di Israele sono circa il 20% della popolazione totale, ed il 16,5% degli aventi diritto. Il loro voto, che dalla scorsa tornata elettorale non si esprime più in una lista unitaria, sarà probabilmente decisivo per decidere chi governerà il paese.

La United Arab List, dopo essere stata la prima lista ad entrare in un governo israeliano ha perso molto del suo consenso a causa della violenta repressione dei Palestinesi a Gerusalemme Est e l’assedio a Gaza nel 2022, oltre che per il suo fallimento nell’affrontare i problemi dei Palestinesi che vivono in Israele.

I sondaggi all’inizio di questa estate la davano fuori dal Parlamento, ma con l’inizio della campagna elettorale i suoi numeri sono in risalita e dovrebbe comunque ottenere almeno 4 deputati.

Nelle elezioni del 2021 meno della metà dei cittadini israeliano-palestinesi (il 44,6%) si era recato alle urne; l’anno prima la partecipazione aveva raggiunto il suo picco con una percentuale di 64,3% di votanti, e l’elezione di 15 deputati nella Joint List.

Sono numerosi i palestinesi sotto occupazione militare israeliana che non possono votare: più di 5,6 milioni, di cui 350 mila a Gerusalemme Est, circa 3,19 milioni nella West Bank e più di 2 milioni a Gaza, che vivono sotto un assedio israeliano illegale ed un blocco navale dal 2007.

Circa un decimo di cittadini israeliani di religione ebraica vivono all’estero, ma solo chi si recherà alle urne potrà votare; all’estero questo diritto è riservato solo al personale diplomatico e delle ambasciate.

Israele è uno Stato d’Apartheid, in cui solo i cittadini ebrei godono di pieni diritti, mentre i palestinesi sono una sorta di cittadini di “serie B”. Questo a causa di una legge fortemente discriminante approvata nella Knesset nel 2018, la “Jewish Nation-State” che certifica la natura di “Stato etnico-religioso”.

Le elezioni di questo novembre saranno le quinte in tre anni, sintomo di un impasse politico permanente che non sembra destinata a mutare.

Sono la conseguenza del collasso dell’eterogenea coalizione governativa formata nel giugno 2021 da Naftali Bennet e Yair Lapid, cui il principale obiettivo era rimuovere il longevo primo ministro Benjamin Netanyahu, storico leader della formazione della destra israeliana del Likud.

Netanyahu ha guidato la formazione dal 2005, ed in precedenza dal 1993 al 1999; è il politico israeliano vivente che più volte ha assunto la carica di Primo Ministro dal 1996 al ’99, e poi per più di dieci anni dal 2009 al 2021.

La sua sconfitta potrebbe coincidere questa volta con l’ingresso in carcere a causa dei numerosi processi per corruzione che dovrà affrontare.

I sondaggi danno in ascesa la coalizione dell’estrema-destra israeliana, che potrebbe ottenere 14 deputati. Tale coalizione, composta da tre partiti, annovera la formazione del Jewish Power.

Questo partito è composto dai seguaci del rabbino estremista Rabbi Meir Kahane, di cui il Kach Party era stato classificato – addirittura dal governo USA – come un’organizzazione terroristica a causa degli attacchi portati avanti dai suoi membri con veri e propri omicidi di massa. Il Kach Party stesso era stato bandito negli Anni Ottanta dalla politica israeliana a causa del suo estremo razzismo, incluso l’appello alla pulizia etnica ed alla sottomissione schiavistica dei palestinesi.

I leader del Jewish Party è Ben-Gvir, un seguace di Kahane, notoriamente razzista e famoso per le sue violente provocazioni.

I sondaggi danno questa coalizione come la possibile terza forza politica più votata, segno di una fascistizzazione ulteriore  evidente di una parte consistente della società israeliana.

Se il Likud di Netanyahu formasse il prossimo governo, Ben-Gvir potrebbe diventare Ministro.

I tre partiti che compongono la Coalizione si sono uniti grazie agli accordi con “Bibi” avvenuti nel 2019 e nel 2021 – ma non andati in porto nel 2020 – al fine di sostenerlo come possibile Primo Ministro.

In sostanza, i partiti e le liste elettorali si possono dividere in due categorie principali: i sionisti che supportano il sistema israeliano di privilegi e Apartheid, e i “non-sionisti” che sostengono l’uguaglianza per tutti i cittadini. Quest’ultimi sono composti prevalentemente da cittadini palestinesi d’Israele.

Yesh Atid (“c’è un futuro”) è la formazione di centro-destra del premier uscente Yair Lapid, parte fondamentale della coalizione di governo che sosteneva “Bibi” nel 2013-2014, quando il suo fondatore e leader era ministro delle finanze.

Nel giugno 2021 Yesh Atid – forte dei suoi 17 deputati – si è unita con il partito d’estrema destra Yamina per guidare una coalizione che scalzasse Netanyahu.

Lapid vuole rendere permanenti i blocchi di colonie nella West Bank ed a Gerusalemme Est, e si oppone ad un ritiro da Gerusalemme Est da parte israeliana.

Il suo governo è stato protagonista di una recente recrudescenza della repressione nei confronti dei palestinesi e della ripresa degli omicidi – tramite attentati – dei leader della Resistenza Palestinese.

Lo scorso martedì l’Esercito Israeliano ha ucciso 6 palestinesi – 5 dei quali in una incursione a Nablus – tra cui il leader della nuova milizia della Resistenza (“fossa dei leoni”), Wadea al Sun. 20 ne sono stati feriti in modo grave.

É stata una delle giornate più sanguinose. Fino ad allora più di 120 palestinesi erano stati uccisi dall’IDF dall’inizio dell’anno; di recente ormai almeno un palestinese muore al giorno sotto i colpi dell’esercito israeliano.

La lista del National Unity Party di Benny Gantz, che aveva ottenuto 14 seggi, è una coalizione tra il centro-destra dell’ex generale israeliano e l’estrema destra del partito New Hope, con alla guida lo storico rivale di “Bibi” dentro il Likud, Gideon Sa’ar.

Entrambe le formazioni che compongono la coalizione avevano avuto ruoli importanti nel precedente governo Netanyahu, dall’Aprile 2020 al Giugno 2021.

Entrambi i partiti della coalizione sono “annessionisti” rispetto alle porzioni di territorio della West Bank e difendono l’occupazione israeliana di Gerusalemme Est. Altri personaggi di spicco sono Gadi Eisenkot, ex generale, e Zeev Elkin.

Il Likud, la storica formazione della destra israeliana creata a metà Anni settanta, ora alleata con l’estrema destra, aveva ottenuto 30 seggi. Difende anch’essa  la colonizzazione della West Bank.

Oltre a Netanyahu, altre figure di spicco sono il generale in pensione Yoav Gallant, l’ex sindaco di Gerusalemme Nir Barkat, ed il più volte ministro Miri Regev, e Avi Dichter, figura chiave della sicurezza israeliana nel corso degli anni.

Religious Zionism, è la coalizione tripartita di estrema destra composta dal partito omonimo insieme al Jewish Pose e al Noam Party. I rispettivi leader sono Bezalel Smotrich, Itamar Ben-Gvir, e Orit Strock.

La formazione “non religiosa” di estrema destra Yisrael Beitenu (“Israele è la nostra casa) di Avigdor Lieberman, aveva 7 deputati e rappresenta principalmente gli immigrati russi, propende per il trasferimento dei cittadini israeliano-palestinesi fuori dai confini dello “Stato Ebraico”.

Lo Shas di Aryeh Deri, che è immigrato dal Marocco nel 1968, aveva 9 deputati, è un partito di ispirazione ultra-ortodossa composto prevalentemente da ebrei sefarditi. La sua traiettoria politica ha virato sempre più a destra, sostenendo la colonizzazione della West Bank.

United Torah Judaism è una coalizione di due piccoli partiti ultra-ortodossi di origine europea, con a capo Moshe Gafni, che aveva 7 deputati. Come Shas era alleata, e continua ad essere alleata, del Likud.

Sebbene si sia sempre interessata soprattutto a questioni religiose e “domestiche”, i suoi esponenti hanno preso marcate posizioni contro la costruzione di uno Stato Palestinese.

United Arab List (Ra’am) di Mansour Abbas, è invece una formazione palestinese-israeliana che aveva conquistato 4 seggi, ma che è entrata nella coalizione governativa uscente.

É una formazione di stampo islamico conservatore, uscita dalla coalizione Joint List delle formazioni israeliano-palestinesi che aveva raggiunto i 15 eletti.

Infine, la coalizione tra due storiche formazioni: Hadash, a guida comunista, il cui leader è Ayman Odeh (“Fronte Democratico per la Pace e l’Uguaglianza”), che aveva 3 deputati, e Ta’al (“Movimento Arabo per il Rinnovamento”), guidato da Ahmad Tibi.

Entrambe rappresentano i palestinesi e gli ebrei non-sionisti di Israele, sostengono lo smantellamento delle colonie, la costituzione di uno Stato Palestinese indipendente nei Territori Occupati, e sono per l’uguaglianza integrale per i cittadini palestinesi d’Israele.

Queste formazioni facevano parte della Joint List, insieme alla formazione di Abbas e Balad, che era diventata la terza formazione più votata nel marzo 2020.

Balad (“Assemblea Democratica Nazionale”), come parte della Joint List aveva ottenuto un rappresentante, ed è un partito “non religioso” di sinistra, rappresenta una parte dei palestinesi ed è stato più volte “squalificato” per le sue posizioni radicali. Anche Balad, guidato da Sam Abu Shehadeh, ha stavolta raggiunto la Joint List.

Completa il quadro il Partito laburista, con 7 eletti, di Mera Michaeli, di centro-sinistra, erede del Mapai, cioè i sionisti che hanno dato vita allo Stato d’Israele, ed il Meretz di Zehava gal-On con 6 deputati, che supporta la soluzione dei “due stati” ed è per congelare la costruzione delle colonie.

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1 Commento


  • Gianni Sartori

    LA PALESTINA NON E’ UN PAESE PER RAGAZZI

    Gianni Sartori

    All’alba del 18 ottobre il sedicenne palestinese Shadi Khoury veniva arrestato e stando – a quanto hanno dichiarato i suoi parenti – anche picchiato da una dozzina di soldati nell’abitazione della sua famiglia a Beit Hanina. Bendato, come d’uso, è stato trasportato in un centro di detenzione per essere interrogato. Senza la presenza di un avvocato o di un parente.

    Sua nonna Samia Khoury ha scritto che “Shadi è uno tra i tanti ragazzi palestinesi che vengono arrestati, torturati e imprigionati solo in quanto palestinesi, giovani palestinesi che cercano di vivere con dignità e nella libertà per il loro paese”.

    Rinchiuso in un primo tempo nel carcere di Ramleh, successivamente in quello di Damon, nell’ultima udienza in  tribunale la sua detenzione è stata prolungata fino al 14 novembre.

    Due anni fa, nel luglio 2020, la medesima sorte era toccata ai suoi genitori, Rania Elias e Suhail Khoury, conosciuti come esponenti di importanti istituzioni culturali palestinesi. Il padre è il direttore del dell’Istituto nazionale di musica, la madre del Centro culturale Yabous di Gerusalemme. Il Centro è specializzato in iniziative culturali (spettacoli teatrali, proiezione di film, festival letterari…) e opera per conservare e celebrare l’eredità palestinese e araba di Gerusalemme.

    In quella circostanza il Centro venne, stando alle testimonianze, letteralmente saccheggiato.

    Nello stesso giorno veniva arrestato anche Daoud al-Ghoul, direttore del Jerusalem Arts Network, Shafaq, sempre con sede a Gerusalemme.

    Per alcune associazioni palestinesi appariva evidente come l’intenzione delle forze di sicurezza israeliane fosse quella di “sradicare non solo la cultura, ma anche la presenza palestinese da Gerusalemme”. Parallelamente a  “demolizione di abitazioni, confisca delle terre, esecuzioni extragiudiziali e revoca della residenza per i palestinesi”.

    L’arresto di Shadi Khoury ha suscitato indignazione e il ragazzo è diventato un simbolo dell’arbitrarietà della politica israeliana, della repressione che colpisce anche i più giovani tra i palestinesi.

    Secondo “Defense for Children – Palestine” sono tra i 500 e i 700 i minori arrestati ogni anno da Israele.

    Da parte di molte associazioni solidali con la causa del popolo palestinese è partita la richiesta dell’immediata scarcerazione non solamente di Shadi, ma di tutti minori attualmente imprigionati (circa 190 su un totale di oltre 4700 prigionieri palestinesi).

    E’ invece andata ancora peggio per altri due giovani palestinesi rimasti, rispettivamente, il primo ucciso e l’altro gravemente ferito il 5 novembre a Ramallah (Cisgiordania) durante uno scontro con i soldati. Gli israeliani avevano aperto il fuoco sui due giovani intenti a lanciare pietre sui veicoli militari in transito e il diciottenne Mos’ab Nadal, originario del villaggio di Sinjil, è deceduto dopo essere stato colpito al petto da una pallottola.

    Gianni Sartori

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