Ha fatto scalpore in questi giorni la notizia dell’arresto nelle manifestazioni di piazza in Iran della nipote dell’ayatollah Khamenei, cioè della Guida Suprema della Repubblica Islamica. Meno clamore ha avuto la notizia dello sciopero dei lavoratori dell’acciaieria di Isfahan che chiedono aumenti salariali.
Ma il primo fatto potrebbe avere ripercussioni sugli equilibri del blocco di potere in Iran. Secondo l’analisi comune di alcuni think thank statunitensi che hanno accesso a informazioni dell’intelligence Usa (1): “La successione del leader supremo sta influenzando pesantemente il modo in cui l’establishment politico e di sicurezza iraniano risponde alle proteste. Mojtaba Khamenei, figlio di Ali Khamenei e potenziale successore, ha riferito di aver tenuto diversi incontri privati negli ultimi giorni, forse in parte per riaffermare la sua influenza all’interno del regime”.
In un incontro tra Mojtaba e Hossein Taeb si sarebbe discusso del ritorno dello stesso Taeb nell’apparato di sicurezza dopo che il leader supremo Ali Khamenei lo aveva destituito a giugno da capo dell’Organizzazione di intelligence dei Guardiani della Rivoluzione a giugno.
“La lotta per determinare chi sostituirà Ali Khamenei potrebbe anche alimentare i disaccordi all’interno del regime sulla repressione delle proteste”, sostengono gli osservatori statunitensi.
Dunque le proteste popolari si sono sviluppate nel momento in cui è in gioco la nomina della nuova Guida Suprema della Repubblica Islamica. L’Assemblea degli esperti è l’organo del regime costituzionalmente responsabile della selezione del prossimo leader supremo (come spiegato nella precedente puntata) e approverà almeno formalmente il successore di Khamenei.
Khamenei ha probabilmente comunicato le sue preferenze in privato alla sua cerchia ristretta, ma non può nominare direttamente il suo successore.
I partiti politici iraniani si dividono essenzialmente in tre grandi correnti, o fazioni: i conservatori pragmatici (o moderati) che sono quelli più benvisti in Occidente soprattutto per la visione liberista in economia; i conservatori tradizionalisti, anche loro forti sostenitori dell’economia privata e soprattutto basati sui bazaari (i commercianti) e poi ci sono i radicali che sostengono invece la centralità dello Stato anche nell’economia.
A livello sociale, la fazione radicale si distingue per l’insistenza su una stretta applicazione del codice morale islamico, al fine di evitare la “rilassatezza dei costumi” che potrebbe portare a una liberalizzazione della società e ad un rovesciamento del carattere islamico della Repubblica dell’Iran.
Le istanze radicali trovano maggiore seguito soprattutto tra le classi più disagiate, nelle aree rurali, tra gli studenti della legge islamica più fedeli alla linea khomeinista originaria, tra i funzionari pubblici e i pasdaran, soprattutto quelli inseriti in posti chiave del governo e dell’economia.
I radicali sono sostenitori di un’economia centralizzata dominata dallo Stato, al fine di ottenere la redistribuzione della ricchezza e la realizzazione di una “società di uguali“. Ma su questa rivendicata “centralità dello Stato in economia”, va inevitabilmente aperto il capitolo sul ruolo economico dei Pasdaran (le “Guardie della Rivoluzione”) che in questi decenni hanno costruito un vero e proprio impero economico fatto di imprese, banche, società, ecc.
In politica estera la fazione dei radicali è quella più intransigente contro le ingerenze imperialiste esterne, soprattutto quelle statunitensi e israeliane, mentre stanno attenuando l’ostilità verso i paesi islamici sunniti.
L’Iran da qualche tempo tende infatti a sottrarsi alle categorizzazioni settarie e al ruolo di portavoce dei soli musulmani sciiti. Teheran mira a farsi portavoce delle minoranze oppresse e vuole essere esempio per l’intera umma islamica, invitando alla ribellione nei confronti di governi ingiusti e oppressori. Inevitabile che questo abbia creato preoccupazioni nelle dinastie al potere, tensioni e scontri con i paesi arabo-islamici, in particolare quelli del Golfo.
I conservatori tradizionali differiscono dai radicali per quanto riguarda la politica economica. La fazione conservatrice è infatti favorevole all’iniziativa economica privata e più vicina alla classe dei bazaari, la vecchia classe mercantile, sulla base di quanto contenuto in alcuni insegnamenti islamici, che avallano la proprietà privata e il commercio.
Ma in politica estera i conservatori tradizionali sono meno oppositivi rispetto all’Occidente. Hanno sostanzialmente fatto proprio il principio del maslahat, ovvero applicare un certo grado di pragmatismo se e dove questo è necessario alla tutela della sopravvivenza dello Stato.
Un esempio è l’appello della Guida Suprema Khamenei (vero padrino politico dell’ex presidente Rouhani) a esercitare “flessibilità eroica” per accettare l’accordo sul nucleare raggiunto nel 2015, anche se questo non avesse previsto l’eliminazione di tutte le sanzioni, come invece richiesto dall’Iran durante i negoziati.
L’ex presidente Rouhani, ritenuto un conservatore moderato, ha finito il suo mandato nel 2021. Con l’elezione del nuovo presidente Ebrahim Raisi c’è stato un aumento dell’influenza delle fazioni politiche più radicali e delle frange militari.
Hassan Rouhani, eletto già nel 2013, di orientamento conservatore pragmatico (così come era stato Rafsanjani), ha agito per ricucire i rapporti con l’Occidente e porre fine all’isolamento diplomatico ed economico del paese. La firma dell’accordo sul nucleare (JCPOA), nel 2015, ha rappresentato un successo in questo senso, contribuendo alla sua rielezione nel 2017.
Il successivo ritiro statunitense dall’accordo, la reimposizione delle sanzioni ed infine il terrorismo di stato Usa – che ha portato all’omicidio del generale iraniano Qasen Solemaini, il 3 gennaio 2020 – hanno però privato Rouhani del capitale politico accumulato in precedenza.
Inevitabile dunque che di fronte alla perdurante ostilità degli Usa, alle sanzioni, all’accodamento della Ue su questa linea, nella leadership abbiano ripreso vigore le posizioni più radicali, che trovano nella estesa e complessa rete dei Pasdaran un punto di appoggio decisivo sia nella politica interna che in quella estera.
Dentro questo contesto politico – dal quale non è possibile prescindere per giungere poi a conclusioni irricevibili, tipo quelle che vorrebbero ridurre la guerra in Ucraina al solo schema “aggressore e aggredito” – vanno inquadrate le proteste sociali in Iran, che hanno assunto una loro piena legittimità come spinta per la trasformazione del paese.
Il problema sono le molte incognite. La naturale domanda di maggiori libertà civili come può influire positivamente nella struttura e nello scontro tra orientamenti diversi nel complicato blocco decisionale della Repubblica Islamica dell’Iran? E’ possibile coniugare la doverosa spinta al cambiamento interno con una tenuta, e non il crollo, della funzione oggettivamente “antimperialista” della stessa?
Le proteste delle donne, dei giovani e degli altri settori sociali si stanno manifestando come una variabile indipendente nella situazione iraniana. Una attenta conoscitrice del paese, come Paola Rivetti, scriveva in tempi recenti che: “Non stupisce che le recenti proteste siano diverse da quelle che abbiamo visto negli ultimi due/tre decenni: sono per lo più spontanee, acefale, caratterizzate dalla presenza di contrastanti richieste e desideri”.
Ma c’è un “di più” perché, secondo la Rivetti, nonostante la loro origine affondi nella lotta anti-governativa delle fazioni conservatrici, “esse sono velocemente sfuggite al controllo dei conservatori per diffondersi con velocità e attirare diverse soggettività, al di là delle organizzazioni dei lavoratori, e più in generale politiche, pre-esistenti”.
(1) Critical Threats Project (CTP) dell’American Enterprise Institute con il supporto dell’Institute for the Study of War
Fine seconda parte. Segue
La prima parte è leggibile qui: Iran. Cause e conseguenze dello scontro sociale in corso
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