Il tentato “colpo di mano” dei bolsonaristi era nell’aria da tempo, e di fatto la tensione – da quando Lula aveva vinto le elezioni del 30 ottobre – non era mai scemata.
I sostenitori dell’ex presidente, fin dalla sua contestata sconfitta, chiedevano all’esercito di intervenire per impedire a Lula di entrare in carica.
Affinché potessero fare quello che hanno fatto è stato fondamentale l’appoggio indiretto – la vera e propria complicità operativa – di almeno una parte delle gerarchie delle forze armate e delle forze dell’ordine, e di chi ne aveva la responsabilità.
Anche i differenti approcci all’interno del governo entrante – tra una linea più morbida ed una più intransigente che ne chiedeva lo sgombero – hanno giocato a favore dei seguaci dell’ex presidente, accampati per più di 70 giorni e non solo a Brasilia.
I bolsonaristi che hanno tentato il colpaccio domenica pomeriggio erano per tutto questo tempo rimasti fuori dal quartier generale dell’esercito, a Brasilia, poi rinforzati da carovane di autobus e auto, da venerdì, da differenti parti del paese.
Più che “contenuti” sono stati accompagnati dalla polizia in loco, e non vi è stato messo in campo minimamente un dispositivo che potesse impedir loro l’assalto una volta giunti in prossimità degli edifici. I casi di aperta “fraternizzazione” – con selfie e sorrisi – sono stati del resto abbastanza evidenti.
Lula ha dovuto decretare l’intervento federale nell’area di sicurezza del Distretto della capitale fino alla fine di gennaio, mentre ancora si trovava fuori città, potendo rientrare solo successivamente per rendersi conto dell’entità dei danneggiamenti e dei saccheggi.
Solo lunedì mattina la polizia militare del Distretto Federale ha cominciato a sgomberare l’area del quartier generale, dopo che i bolsonaristi erano rientrati a piedi nell’accampamento, finito l’assalto la sera prima!
L’idea del vertice militare era quella di fare pressione su di loro affinché si ritirassero in modo pacifico, evitando il confronto, con l’avallo anche di alcuni membri dell’esecutivo, tra cui il Ministro della Difesa José Múcio.
I 34 campi dei bolsonaristi allestiti nello Stato di San Paolo, di cui la maggioranza in città, sono stati sgomberati lunedì pacificamente, come ha voluto il governatore bolsonarista poi rimosso.
Lo sgombero delle aree è avvenuto solo quando Alexandre de Moares, della Corte Suprema Federale, ha emanato un ultimatum di 24 ore per l’allontanamento di tutti i manifestanti ancora accampati.
Nella sua ordinanza ha indicato i reati di “associazione a delinquere, tentata abolizione violenta dello stato di Diritto democratico, colpo di Stato, istigazione a delitto, minaccia e danneggiamento di beni pubblici”, come riporta il quotidiano Folha de S. Paulo.
Moares ha anche vietato gli accampamenti fuori dalle basi dell’esercito in tutto il paese e lo sgombero di quelli esistenti.
Quella di Moares è una figura chiave. Ha determinato anche la rimozione – per 90 giorni – del Governatore del Distretto Federale Ibaneis Rocha, che era responsabile della sicurezza della regione. Mentre la AGU (l’Avvocatura Generale dell’Unione) ha chiesto l’arresto dell’ex ministro di Bolsonaro, Anderson Torres, segretario della Pubblica Sicurezza, “in vacanza” negli USA.
Dal campo di Brasilia, un migliaio di assalitori verranno portati nel complesso penitenziario di Padula. Secondo il ministro Flávio Dino (Giustizia e Sicurezza Pubblica) ed il PM del Distretto Federale gli arrestati sarebbero attualmente 1.500.
Dino ha affermato di avere la lista di chi ha finanziato i veicoli arrivati a Brasilia. Sempre secondo il ministro, ci saranno 3 inchieste per per indagare sugli attacchi agli edifici.
Nella serata di lunedì differenti organizzazioni (movimenti sociali, sindacati e organizzazioni politiche) si sono date appuntamento in Avenida Paulista, nel centro di San Paolo, per manifestare contro il tentativo di colpo di stato e affinché non venga concessa l’amnistia ai bolsonaristi coinvolti.
Il deputato del PSOL, Guilherme Boulos, leader del MTST (l’ala “urbana” del movimento contadino Sem Terra, fondata nel 1997) ha dichiarato: “Quello che è successo oggi è stato un tentativo di colpo di Stato in Brasile. I golpisti devono essere ritenuti responsabili e arrestati, senza amnistia. Sconfiggeremo il colpo di Stato nelle strade”.
Gli fa eco Raimundo Bomfim, della Central de Movimientos Populares: “La risposta agli atti contro la democrazia deve essere sia istituzionale, attraverso le istituzioni, che popolare, attraverso la mobilitazione sociale. Vincerà la democrazia”.
Il timore è che, proseguendo sulla “via negoziale” che ha di fatto reso possibile l’assalto, per calmare le acque poi si conceda rapidamente l’amnistia a chi da mesi invocava l’intervento dell’esercito per poi passare alle vie di fatto.
In tutto il Brasile si sono tenute manifestazioni “in difesa della democrazia” chiamate dalle organizzazioni popolari.
“Oggi è un giorno di lotta”, ha ribadito il MST dai suoi organi di informazione. E non sarà l’unico.
Come hanno scritto i Sem Terra nella giornata di oggi: «non è mai stato così necessario stare vigili e mobilitati. La lotta attuale, il tempo presente, ci richiede un intenso lavoro di base, di sensibilizzazione e di organizzazione dei lavoratori. I prossimi mesi saranno molto importanti per sottolineare gli impegni di questo governo nei confronti del popolo e per la ricostruzione del Brasile».
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