Per prima cosa, ricordiamo che il tasso di litigiosità e sabotaggio reciproco all’interno di uno Stato Maggiore è paragonabile a quello di un’assemblea di condominio o di una compagnia di filodrammatici. Chiunque potrà fare le scarpe a chiunque lo farà, senza eccezioni.
Chiarito questo: quando la Russia ha messo in piedi la “operazione speciale”, non ha ritenuto necessario dotarla di un comandante apposito, vuoi perché pensava sarebbe finita prima, vuoi per altri motivi (che ignoriamo).
Tecnicamente, dal punto di vista militare (quello politico sappiamo chi lo decide) l’operazione dipendeva dal Ministro della Difesa, ma nella sostanza dal capo di Stato Maggiore, ovvero Valerij Vasil’evič Gerasimov. La sua gestione del conflitto (e la gestione di Shoigu) è stata criticata in più occasioni, spesso con ragione.
Gerasimov, ricordiamo, è uomo di Putin, in tutti i sensi. Non è dunque un personaggio che puoi criticare troppo, o troppo apertamente.
La sua risposta alle critiche, verosimilmente, deve essere stata che non poteva, come si suol dire, cantare e portare la croce: ovvero che non poteva gestire da solo lo stato maggiore, con tutte le dispersioni del caso (Siria, Africa Centrale, Armenia-Azerbaijan, OTSC eccetera) e l’operazione speciale. E che quindi le difficoltà della suddetta non potevano essere imputate a lui, ma al fatto che tra lui e i comandanti sul campo non c’era una figura di raccordo.
L’8 ottobre, nel momento peggiore del conflitto per la Russia, dopo la debacle – a essere generosi – di Kharkiv, la prospettiva di altre ritirate e comunque la perdita dell’iniziativa strategica, questa figura è arrivata, col doppio compito di fare da parafulmine (che certo non poteva spettare a Gerasimov né a figure tutto sommato di rilievo minore, come Lapin, sul quale torneremo) e di provare a invertire il corso del conflitto: ed è arrivata nella persona di Sergej Surovikin, veterano della guerra in Siria e comandante del “gruppo Sud” delle forze armate russe dall’inizio delle ostilità in Ucraina, oltre che comandante delle forze aerospaziali russe.
Surovikin ha messo mano alla situazione con una certa energia, avvertendo da subito che probabilmente ci sarebbe stata la necessità di prendere altre “decisioni difficili”, ha organizzato una campagna di incursioni e bombardamenti sulle infrastrutture energetiche e logistiche ucraine che ha portato buoni risultati, ha gestito l’arrivo e il dispiegamento dei soldati mobilitati, ma ha dovuto appunto prendere anche la “decisione difficile” di abbandonare la regione di Cherson a ovest del Dneper, inclusa la città.
Nessuno, diciamo, gliene ha voluto, anche perché la ritirata è stata gestita in maniera eccellente (a differenza, ad esempio, di alcuni momenti di quella dal settore di Kharkiv). Nota bene, però: Surovikin era il comandante delle operazioni militari in Ucraina, ma non era indipendente. Dipendeva, come dipendono tutti i comandanti, dal capo di Stato Maggiore. Cioè da Gerasimov.
Progressivamente i problemi di inizio ottobre (escludendo la questione di Cherson) sono stati più o meno risolti o quantomeno minimizzati, e al momento il quadro generale è molto diverso da quello che c’era a inizio ottobre; inoltre non si può permettere, da parte dell’esercito regolare, che la palma dell’eroe vada divisa tra personaggi sui generis, e forse pericolosi, come Kadyrov e soprattutto Prigožin.
Il comando dell’operazione militare viene dunque ampliato. Al vertice, ora che la situazione è più tranquilla, torna Gerasimov, che come capo di Stato Maggiore ne rimaneva il responsabile ultimo ma che ora assume anche la carica di comandante delle forze russe in Ucraina.
Surovikin diventa vicecomandante ma torna responsabile delle forze aerospaziali; le forze di terra sono affidate a Oleg Leonidovič Salyukov (la sua specialità, essendo in precedenza il comandante di tutte le truppe di terra delle FFAA russe), e come terzo si aggiunge Alexey Kim, vice capo di Stato Maggiore (il numero due di Gerasimov).
E questo perché, fa sapere il Ministero, si è di fronte a una “espansione delle dimensioni dei compiti“, “è necessaria una più stretta integrazione tra le branche delle FFAA“, e “le truppe necessitano di maggiore sostegno e di una struttura di comando e controllo più efficiente” che, tradotto in parole povere, significa che siamo alle viste di una nuova offensiva e che questa volta se la vedrà l’esercito, non la Wagner o i ceceni, e l’aviazione (che gestirà Surovikin) avrà un ruolo maggiore di quello avuto finora.
Per Surovikin, dunque, nessuna degradazione, nessun declassamento e nessun capro espiatorio (per Cherson, poi…): semplicemente, ora che i problemi sono stati più o meno risolti, Gerasimov si riprende il suo posto. Posto che, ripeto, in ultima analisi era sempre stato suo.
P.S. E Lapin, fatto fuori ignominiosamente perché accusato da Kadyrov e Prigožin di essere il responsabile della ritirata da Kherson? Giusto ieri è stato nominato comandante delle forze terrestri dell’esercito russo, il posto che prima era di Salyukov.
* da Facebook
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Gianfranco
Per un occidentale decifrare le dinamiche dei vertici militari Russi, è come peer un analfabeta tentare di leggere un libro. Rassegnamoci, è fatica sprecata