E’ finita da qualche tempo la luna di miele tra l’establishment del capitalismo occidentale e “l’ambientalismo”. Se poi ci si ricorda che la principale esponente dei Verdi tedeschi – Annalena Baerbock – è diventata ministro degli esteri e tra i più sfegatati bellicisti del fronte Nato, allora bisogna ammettere che l’ambientalismo “realista”, quello sempre ansioso di “entrare nel Palazzo”, ha definitivamente dichiarato guerra alla propria stessa base elettorale. E proprio sull’ambiente!
Lo si è visto dal vivo ieri in Germania, a Lützerath, dove 10mila persone, compresa Greta Thunberg, stanno da giorni protestando contro l’espansione della locale miniera di carbone in Nord-Reno Vestfalia.
La polizia è intervenuta per sgomberare gli accampamenti ambientalisti sorti a difesa della cittadina, e ben presto la scena è diventata da battaglia campale, con tanto di agenti a cavallo.
La miniera di Garzweiler era una di quelle che doveva chiudere, anche perché la sua produzione annuale era ormai ridotta a soli 25 milioni di tonnellate di lignite. Ovvero un tipo di carbone poco efficiente ma soprattutto altamente inquinante.
Con la guerra in Ucraina l’equazione energetica di tutta Europa è cambiata drasticamene, cosicché il governo – con i Verdi dentro! – ha deciso che quella miniera non solo resterà aperta, ma verrà più che decuplicata la sua produzione: 280 milioni di lignite entro il 2030.
Altra caratteristica pericolosa della lignite è che si trova molto vicino alla superfice; dunque le miniere non si sviluppano per chilometri o in profondità, ma si “allargano” sbancando con mega-ruspe grandi appezzamenti di terreno.
Nonostante la sua ormai piccola produzione, infatti, Lutzerath, a miniera è dagli anni Sessanta, si estende per circa 48 chilometri quadrati. Per raggiungere gli obiettivi dichiarati, insomma, bisognerà combinare disastri epocali, tra cui – nel caso specifico – la distruzione completa di almeno altri sette paesi (oltre ai venti scomparsi da quando esiste la miniera).
Gli attivisti in azione sono doppiamente circondati: militarmente dalla polizia, come detto, ma politicamente abbandonati dal loro “partito di riferimento”. Il che ha messo organizzazioni ormai “storiche”, come Greenpeace e Fridays For Future, in una difficoltà estrema.
Tutto il rodato schema che aveva consolidato negli ultimi decenni il legame tra movimenti e “rappresentanza politica” – con benefici reciproci, in termini di agibilità, finanziamenti oppure consenso elettorale – è stato dissolto nell’aria in poche settimane di guerra.
Già a ottobre, il cancelliere Olaf Scholz aveva annunciato la riapertura di cinque centrali elettriche alimentate a lignite. Ed a occuparsi della questione è stato nientemeno che il presidente del partito ambientalista, Robert Habeck, che da poco più di un anno ricopre anche la carica di vice-cancelliere e ministro dell’Economia, siglando un accordo con il colosso energetico RWE.
La contraddizione è diventata così palese e violenta che uno dei dirigenti dei Verdi, Luisa Neubauer, che è anche anche tra i leader tedeschi di Fridays For Future, è stata costretta a mettersi di traverso.
Ma si tratta più che altro di parle. Persino Greta Thunberg, presente alle manifestazioni e diventata celebre anche per il “bla bla bla” con cui aveva bollato le ultime conferenze Cop, si è limitata a dichiarare che “La Germania si sta davvero mettendo in imbarazzo in questo momento. È scioccante vedere cosa sta accadendo. Vogliamo mostrare com’è il potere del popolo, com’è la democrazia”. Ha poi invitato logicamente a proseguire la mobilitazione.
Luzerath era diventata famosa quando, qualche anno fa, diversi movimenti ambientalisti si erano insediati nei paesi abbandonati “costruendo case sugli alberi, impianti fotovoltaici, centri comunitari e ripopolando un villaggio fantasma per dimostrare che una società basata sulla giustizia climatica e la solidarietà è possibile”.
Sembra improbabile, a questo punto, che si possa assistere di nuovo ai paternalistici incontri – tipo quello concesso da Mario Draghi, a Roma, proprio a Greta Thunberg – in cui i potenti del capitalismo finanziario si mostrano interessati ai “temi ambientali”. Anni e anni di narrativa green washing vengono così archiviati senza neanche una “narrativa” di ricambio.
In ogni caso la crisi climatica e ambientale non si ferma. Sarà perciò il caso che anche i movimenti ambientalisti assumano, nel prossimo futuro, una più marcata caratterizzazione anti-capitalista. Come si sta provando a fare anche qui in Italia, per fortuna…
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Angelo De Marco
i verdi in tutto il mondo o quasi ovunque siano al governo ( nazionale, regionale, comunale) votano provvedimenti il contrario di quello che dicono nelle loro campagne elettorali o nei loro programmi; basta vedere al comune di Roma dove digeriscono di tutto e di più fermi alleati del Pd