A San Diego, presso la base navale di Point Loma, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, insieme a quello britannico Rishi Sunak e a quello australiano Anthony Albanese, hanno reso noti i primi dettagli dell’accordo di sicurezza tra i tre paesi. Al centro, la fornitura di nuovi sottomarini a propulsione nucleare all’Australia.
Canberra acquisterà tre mezzi statunitensi di classe Virginia, attualmente la più avanzata, con l’opzione di prenderne altri due, al costo di tre miliardi l’uno. Il primo dovrebbe arrivare nel 2032, ma l’accordo prevede però un orizzonte temporale di almeno due decenni.
Infatti, il patto prevede che nel frattempo il Regno Unito sviluppi una nuova classe di sommergibili, a cui dare il nome dell’alleanza stessa e con forte apporto della tecnologia a stelle e strisce, per poi condividerlo con l’Australia. L’ex colonia britannica, entro dieci anni, sarà il settimo paese al mondo ad essere dotato di sottomarini nucleari, ed entro il 2040 potrà produrli in proprio.
L’accordo prevede diversi aspetti tecnologici e militari, ma è proprio questo nodo dei mezzi navali ad esserne il fulcro, anche economico. Il costo totale del programma, tra armamenti e addestramento, è stato valutato aggirarsi intorno ai 125 miliardi di dollari australiani, una somma esorbitante per Canberra (un grande paese, ma con appena 25 milioni di abitanti).
Una scelta comunque in linea con il riarmo che sta perseguendo tutto il blocco euroatlantico, di cui l’Aukus rappresenta l’estremo del Pacifico meridionale. A inizio della settimana il primo ministro del Regno Unito aveva annunciato un aumento della spesa militare di 5 miliardi di sterline, quando il ministro della Difesa ne aveva chiesti persino il doppio.
Nello stesso giorno del viaggio di Sunak a San Diego, il suo gabinetto ha presentato al Parlamento l’Integrated Review, la dichiarazione sulla politica estera e di sicurezza. Al suo interno, quasi 3 miliardi di sterline sono dedicati alla costruzione di infrastrutture e programmi di qualificazione nucleari, oltre al miglioramento dei servizi di supporto ai sottomarini attivi.
Proprio il tema dell’uranio è stato al centro di alcune dure reazioni di Pechino. Anche se Biden ha tenuto a sottolineare che i sottomarini saranno a propulsione nucleare, ma saranno dotati di armi convenzionali, non si può infatti ignorare che i mezzi della classe Virginia, ad esempio, sono alimentati da materiale fissile arricchito al 93%, ovvero livelli da bomba atomica.
Per questo il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha affermato che Washington e Londra stanno violando lo scopo del trattato di non proliferazione delle armi nucleari, trasferendo queste tecnologie a un paese che ne è attualmente privo. Anche negli USA c’è chi è preoccupato di condividere questi segreti, ma se la fase è quella di scontro col Dragone, alcuni passi sono ritenuti obbligati.
Anche se l’Aukus non fa esplicito riferimento al paese guidato dal ‘più grande partito comunista del mondo’, l’obiettivo di questo accordo è presentato dal ministero della Difesa australiano come quello di “contribuire alla pace e alla stabilità nell’Indo-pacifico”, con evidente riferimento alla Cina. Sempre Wenbin ha infatti aggiunto che la mentalità di questo accordo è “da Guerra Fredda”.
Anche Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha ribadito che l’asse anglo-sassone “sta costruendo strutture a blocchi” e “sta scommettendo su anni di scontri”. Biden ha invece detto che “stiamo mostrando ancora una volta come le democrazie possono garantire la propria sicurezza e prosperità, non solo per noi ma per il mondo intero”.
“Democrazie” che comunque sono entrate in contrasto quando, annunciando l’Aukus, l’Australia cancellò gli accordi già stipulati per sottomarini francesi. Senza bisogno di sottolineare come sia piuttosto particolare l’idea che l’Occidente tuteli sicurezza e prosperità per il mondo intero rilanciando armamenti nucleari.
Tutto questo mentre ieri, a un incontro internazionale tra diversi partiti promosso da Pechino, Xi Jinping ha lanciato la Global Civilization Initiative, affermando che “la tolleranza, la convivenza, gli scambi e l’apprendimento reciproco tra diverse civiltà svolgono un ruolo insostituibile nell’avanzamento del processo di modernizzazione dell’umanità e nel far fiorire il giardino della civiltà mondiale”.
Senza esaltazioni e incensamenti, che non ci appartengono, è ben altro che il “giardino e la giungla” di Borrell.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
marco
(cit.) ” al paese guidato dal ‘più grande partito comunista del mondo’”
In realtà per quanto possa sembrare strano, il più grande partito comunista del mondo non è quello cinese, ma quello indiano
Redazione Roma
Al Partito Comunista Cinese risultano iscritte 95 milioni di persone. Ai due Partiti comunisti indiani? Sono due partiti