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Guerra e pace: piromani e pompieri

Il rappresentante permanente cinese all’ONU, Zhang Jun, durante una riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 15 maggio, ha fatto appello per una soluzione politica della crisi ucraina che sia il più urgente possibile.

La Comunità Internazionale, per il rappresentante cinese, deve impegnarsi a fondo e fare significativi passi in avanti per mitigare gli effetti umanitari e “fare sforzi congiunti per la de-escalation della situazione ed prossima cessazione delle ostilità”, riporta il canale cinese in lingua inglese CGTN.

Prima di tutto dev’essere compiuto uno sforzo per ridurre la situazione dei civili, secondariamente “la linea rossa della sicurezza nucleare non dev’essere mai attraversata”.

Zhang Jun ha aggiunto che “le armi atomiche non devono essere usate” e che “una guerra nucleare non dev’essere combattuta“.

Un monito asciutto, per nulla retorico.

Suggeriamo noi che, a chi sottovaluta tale pericolo o prende alla leggera il possibile uso delle “armi nucleari tattiche” nel contesto ucraino, di intravedere quali potrebbero essere gli scenari leggendo la parte, ad esso dedicata, dell’ottimo libro  “La guerra in Europa”, del generale Massimo Mini.

In sostanza, la deterrenza atomica reciproca in caso di impiego – o di ipotetico impiego – di armi nucleari tattiche non garantirebbe “automaticamente” che il conflitto rimanga circoscritto, né che non si possa passare ad armi nucleari strategiche, al di là della pregressa volontà dei singoli Stati di non utilizzarle.

La Cina vuole che vengano evitate il più possibile affermazioni che potrebbero portare ad esacerbare la situazione e portare ad “errori di calcolo”, riaffermando l’importanza dell’Agenzia dell’Energia Atomica per il suo ruolo di salvaguardia e di mantenimento dei canali di comunicazione tra Russia e Ucraina.

Una nota importante, specie per la leggerezza che abbiamo visto negli “opinionisti” nel discettare – come se vivessero in war games senza possibili conseguenze reale – sull’uso delle armi atomiche.

Terzo, gli “effetti collaterali” delle misure di risposta al conflitto devono essere presi seriamente e governati.

I rischi recessivi per l’economia mondiale richiedono una azione congiunta e multilaterale alle sfide di stabilità per il mercato finanziario, del cibo e dell’energia.

La politica sanzionatoria unilaterale ed una legislazione penalizzante hanno “portato solo a conseguenze umanitarie, ma hanno anche minato l’industria globale e le catene di approvvigionamento”, ha affermato il funzionario cinese.

E aggiungiamo noi, hanno di fatto fallito se non nel legare ancora di più le catene del valore europee a quelle statunitensi, in obbedienza al principio del friendshoring.

Zhang Jun afferma che non ci possono essere risposte semplici a questioni complesse, ma è chiaro che una soluzione complessiva può essere attuata solo se si cominciano a fare piccoli passi nella direzione del dialogo e delle negoziazioni, senza rimandare all’infinito.

Il monito è preciso: “tutte le parti dovrebbero creare le condizioni per poter far avanzare il dialogo ed i negoziati, invece di gettare benzina sul fuoco ed aumentare a dismisura le tensioni nel tentativo di approfittarne”.

Un messaggio allo stesso tempo di critica e di apertura ribadito – in quella che dovrebbe essere la più alta sfera del confronto diplomatico tra le potenze – dal funzionario di uno Stato che sta affrontando “la terza guerra mondiale a pezzetti” cercando di domare i vari focolai d’incendio in Medio-Oriente, Asia e Africa. Si veda l’ultimo incontro ad alto livello tra Cina ed Eritrea.

Lo diciamo senza poter essere fraintesi: la Cina è assertiva su tutta una serie di questioni che valuta essere pertinenti alla propria sovranità ed alla sua difesa territoriale, ma è anche disposta a far maturare le condizioni – a tutti i livelli – affinché si possa sviluppare un mondo multi-polare in cui il ruolo che la sua estensione territoriale, il suo peso demografico, il suo livello di sviluppo delle forze produttive, la sua capacità di tessere virtuose relazioni internazionali, le venga riconosciuto.

Il giorno in cui è iniziato il tour in vari paesi (Ucraina, Polonia, Francia, Germania e Russia) dell’Inviato Speciale per l’Eurasia, Li Hai,  per avviare quel lavorio di cucitura adeguato a porre le basi per una soluzione politica del conflitto ucraino, il discorso al Consiglio di Sicurezza dell’ONU assume un significato più ampio.

Secondo quanto lo studioso Cui Hong ha riferito al canale di informazione cinese in inglese Global Times, la missione di Li come Inviato Speciale è più improntata a “raccogliere e scambiare informazioni più che a persuadere”.

Si tratta di incominciare a sondare il terreno per una soluzione diplomatica, probabilmente partendo dalle richieste ucraine reali e non quelle che il regime strombazza ad uso e consumo dei media occidentali, narrate come “verità di fede”, a reti unificate, grazie all’idiozia bellicista dei nostri governanti.

Paradossalmente è stato un veterano della diplomazia statunitense, più che le cancellerie occidentali sempre più implicate nel conflitto ucraino, a dare credito allo sforzo cinese.

Il 7 maggio infatti, l’ex Segretario di Stato Henry Kissinger non proprio un opinionista da salotto televisivo -, in una intervista a CBS News con Ted Koppel ha affermato: “Ora che la Cina è entrata nelle negoziato, ne verrà a capo, penso, prima della fine di un anno”.

Emerge nelle parole di Cui Hong anche una forte consapevolezza del “supporto indiretto” allo sforzo cinese da parte delle popolazioni europee a causa delle conseguenze che stanno subendo per la guerra, ed i leader più accorti del Vecchio Continente se ne rendono conto.

Gli alleati occidentali dell’Ucraina e l’opinione pubblica dovrebbero incominciare a prendere molto sul serio il fatto che l’establishment politico ucraino ragiona sempre più come un mad dog, il che rende folle pensare di poter controllare l’uso delle armi che gli vengono fornite sempre più in abbondanza, al di là delle scontate “rassicurazioni formali”.

La massiccia fuga di informazioni riservate in mano all’intelligence statunitense sembra confermare infatti la volontà dei dirigenti ucraini di portare sempre più il conflitto nel territorio della Federazione Russa, con un vero e proprio tentativo di “invasione” di alcune città al di là del confine, il sabotaggio della pipe-line che alimentano l’Ungheria – un membro NATO! – e il lancio di missili balistici sul territorio russo.

Domenica il Washington Post ha pubblicato alcune nuove rivelazioni dei Documenti del Pentagono chiamati “Discord Leaks” secondo cui, in alcune conversazioni private, lo stesso Zelensky avrebbe sostenuto un approccio che inevitabilmente porterebbe ad una ulteriore escalation del conflitto.

L’articolo, a firma John Hudson e Isabelle Khurshudyan – “Zelensky, in private, plots bold attacks inside Russia, leak shows” – non sembra però aver avuto l’eco necessaria nei media nostrani, tanto solerti a cantarne le lodi durante la sua visita in Italia.

Il titolo è già tutto un programma: “Zelensky, in privato, trama ampi attacchi in territorio russo, rivelano i leaks”.

A leggere le trascrizioni delle conversazioni private ad alto livello, riprese dal quotidiano spagnolo El País, corre un brivido lungo la schiena, soprattutto tenendo conto della fornitura già avvenuta, da parte della Gran Bretagna, dei missili Storm Shadow, con 200 km di gittata (più ampia degli HIMARS), e la richiesta ucraina di poter disporre degli ATACMS statunitensi, che raggiungono una distanza ancora maggiore.

Come avere garanzie che lui, o qualche fanatico neo-nazista al suo fianco,  non li usi per colpire in profondità in Russia, magari su suggerimento britannico, baltico o polacco?

Questo doppio registro del leader ucraino dovrebbe spingere ancora maggiormente alla messa in discussione del coinvolgimento nel conflitto ucraino e stimolare l’iniziativa per una soluzione diplomatica, sostenendo quelle iniziative – come quella cinese e quella del Pontefice – al centro del documento “Fermare la guerra, imporre la pace”, come di altre meritorie iniziative contro la guerra.

È inutile girarci intorno: in quello che è ormai a tutti gli effetti una conflitto NATO e Federazione Russia, ci sono dei piromani e ci sono dei pompieri.

I primi sono sostenuti da un arco di forze politiche istituzionali che vanno dal FDI al PD, i secondi devono essere supportati da chi per mille ed una buona ragione vuole fare cessare il conflitto ucraino, e non alimentarlo ulteriormente.

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1 Commento


  • Mara

    Gli operatori dei media in maggioranza ridotti al rango di camerieri che servono notizie manipolate artefatte preconfezionate da politici inadeguati.

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