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Il Fronte ucraino di Bernard-Henri Lévy

La trovata non è nuova: privare la Russia del seggio al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, o perlomeno toglierle il diritto di veto, è un’idea che fa gola a molti e più di una volta qualche buontempone l’ha buttata sul tavolo delle serate in famiglia.

Anche le cosiddette “pezze d’appoggio”, per dare a intendere che la cosa non esca per caso dalla bocca, tra un sospiro e l’altro, ma sia stata “ponderata” con ragionamenti – pur se affrontati nella pausa pranzo – vengono più meno riproposte col solito ritornello.

Nei giorni scorsi è toccato al filo-sionista e filo-nazigolpista francese  (in precedenza, non si era fatto mancare nemmeno l’appoggio ai contras anti-sandinisti) Bernard-Henri Lévy (BHL) il quale, per distinguersi in qualche modo dalla penombra dei “vecchi filosofi”, sulle colonne del The Wall Street Journal ha addirittura proposto di togliere quel seggio alla Russia e darlo all’Ucraina.

Bernard Henry detiene il simpatico record di aver ricevuto in varie conferenze pubbliche ben sette torte in faccia. Quasi un riconoscimento universale…

I “prolegomeni” a tale metafisica, come detto, ricalcano dissertazioni in circolazione da tempo: Mosca non avrebbe potuto pretendere al passaggio automatico dall’URSS alla Russia del seggio al Consiglio di Sicurezza. «Il seggio permanente della Russia e il diritto di veto non hanno base legale», ha teorizzato dopo profonda meditazione l’ereditiere milionario.

Per cui, sarebbe tempo di allineare i seggi all’afflato democratico che deve uniformare i membri permanenti, eliminandone i soggetti “totalitari” e promuovendo quelli “democratici”. Intanto, si comincia col far fuori la Russia e promuovendo l’Ucraina; più avanti, non è escluso che la “sintesi filosofica” tocchi anche alla Cina per Taiwan.

E anche la seconda parte, quella “construens”, della discettazione neo-filosofica arriva di sana pianta da esternazioni che, a memoria nostra, risalgono quantomeno (ma, più addietro nel tempo, non azzardiamo) al primo presidente golpista dell’Ucraina majdanista, Petro Porošenko.

Dunque, come si suffraga il passaggio di quel seggio da Mosca a Kiev? BHL abbandona per un momento il proprio campo, per addentrarsi in una materia che, a quanto pare, non gli è propriamente confacente: Kiev avrebbe diritto a quel seggio perché fu il 1° Fronte ucraino a dare un contributo significativo alla disfatta dei nazisti nel 1945 e a liberare Auschwitz.

Ora, già dire che il contributo significativo (se proprio lo si vuol ridurre a “contributo”, senza attribuirgli il giusto ruolo di fattore pressoché unico e determinante) alla disfatta dei nazisti sia venuto da est solo nel 1945, significa azzerare quattro anni di storia durante i quali l’Armata Rossa, da sola, fu costretto a resistere all’aggressione nazista e riuscì, tappa dopo tappa, a ricacciare gli invasori (tedeschi, rumeni, italiani, finlandesi, ecc., oltre a volontari un po’ da tutta Europa) al di là delle frontiere sovietiche.

Per poi continuare verso ovest, liberando i paesi invasi dagli hitleriani, scoprendo l’orrore di Auschwitz e liberandone i sopravvissuti, mentre ancora nell’agosto del 1943, dopo gli scontri decisivi di Stalingrado e di Kursk, Londra e Washington non solo erano lontane dal voler aprire il secondo fronte, ma discutevano addirittura della possibilità di convincere gli hitleriani a facilitare l’entrata delle truppe anglo-americane in territorio tedesco «per respingere i russi».

Del resto – è cosa sconosciuta solo ai “nuovi filosofi” – che ancora agli inizi ’45 Allen Dulles si incontrasse in Svizzera col generale Karl Wolf, per discutere di una pace separata alle spalle dell’URSS e di come le forze di sicurezza naziste avrebbero potuto contribuire a “mantenere l’ordine” in Germania a guerra finita. Cosa che, dopo tutto, per quanto riguarda la RFT, si è avverata.

Ma, su questo, non si pretende che lo spirito “anti-totalitario”, avvezzo a volare alle altezze della speculazione neo-filosofica, afferri il reale stato dei fatti. Il ridicolo è ripetere le baggianate che, sinora, si pensavano proprie solo di alcuni avvinazzati, per quanto elevati a cariche pubbliche, ucraini.

Tocca quindi ricordare a BHL che il nome attribuito ai “Fronti” nel corso della Guerra patriottica dell’Unione Sovietica non aveva a che fare con la “nazionalità” delle Divisioni, o delle Armate (un “Fronte” equivaleva a quello che i tedeschi chiamavano Gruppo di Armate) dell’Armata Rossa, ma si riferiva all’area in cui avanzava nel dato periodo il fronte di guerra.

Tant’è che, prima di prendere il nome di ‘1° Fronte ucraino’, il medesimo Gruppo di Armate si chiamava ‘Fronte di Voronež’ che – per dire – nel 1942, assieme ai Fronti di Sudovest, del Don e di Stalingrado, si contrapponeva al Gruppo di Armate “Süd” hitleriano e che, prima ancora di esser definito Fronte di Voronež, era chiamato ‘Fronte di Brjansk’. Oppure, il ‘2° Fronte ucraino’, chiamato in precedenza ‘Fronte della steppa’.

Ora, non si pretende che taluni pensatori, usi come sono a librarsi ad altezze ultraterrene, trovino il tempo di porsi una domanda di una semplicità per loro offensiva; e infatti la poniamo noi, la domanda, per quanto sciocca.

Si è mai sentito parlare, a proposito della guerra in Unione Sovietica, di un ‘Fronte siberiano’, o di un ‘Fronte kazakho’, mentre hanno avuto un ruolo determinante nel respingere l’aggressione nazista, ad esempio, il ‘Fronte di Kalinin’, o il ‘Fronte di Volkhov’?

Se veramente i due Fronti ucraini avessero ricevuto il nome per il fatto che gli uomini che componevano le rispettive Divisioni e Armate fossero stati esclusivamente ucraini  (si può dire la stessa cosa anche per i tre Fronti bielorussi, o i Fronti baltici) allora perché tutte le Divisioni affluite dalla Siberia non ebbero l’onore di denominarsi “Fronte della Siberia”?

Eppure nemmeno le centinaia di migliaia di soldati provenienti dalle Repubbliche centro-asiatiche ebbero tale onore, mentre, ragionando alla maniera dei campioni della nouvelle philosophie, si dovrebbe credere che piccoli (secondo il metro di paragone dell’allora URSS) centri quali Kalinin o Volkov, in cui vivevano, secondo il censimento del 1939, rispettivamente oltre 200.000 e 30.000 persone – donne, bambini e anziani compresi – avrebbero ricevuto la denominazione per il fatto di esser formati da soldati di Kalinin e Volkhov.

Ma basta…

Il fatto è però, come evidenzia Vladimir Kornilov su Ria Novosti, che la questione posta – in maniera “filosofica” – da BHL merita di esser presa sul serio. Ovviamente, per tutt’altre ragioni. Ragioni che, per comodità, possono esser riassunte con quanto affermato dal Ministro degli esteri russo Sergej Lavròv.

Osservando come la distribuzione di seggi e voti al Consiglio di sicurezza rifletta tutt’oggi la disposizione dei centri e forze mondiali al 1945, Lavròv ha detto che tale distribuzione non corrisponde dunque più al peso sociale, economico e politico assunto dal Sud del mondo nell’odierna realtà multipolare; così che, al Consiglio di sicurezza, continua a dominare una spropositata rappresentanza occidentale.

Si tenga conto quindi di certe uscite “neo-filosofiche”, senza dimenticare però che la bocca da cui escono appartiene a qualcuno che, come disse il dantesco fra’ Catalano, è «bugiardo e padre di menzogna».

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2 Commenti


  • Mauro

    E niente,ancora gli brucia il culo che l’Unione Sovietica abbia sconfitto i nazisti…


  • Sergio

    bravo fabrizio!

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