Il 22 giugno il primo ministro indiano Narendra Modi si è recato negli USA, invitato da Biden per un incontro bilaterale cui tanti commentatori davano un peso determinante in questa fase politica. Le aspettative non sono state deluse, anche se non si può ancora parlare di ‘salda alleanza’ tra i due paesi.
L’India di Modi è un paese che sta acquisendo in maniera sempre più chiara un ruolo di attore fondamentale a livello globale. Sul modello instaurato, una sorta di variante indiana del fascismo, c’è però omertà in Occidente, perché gli euroatlantici sperano di arruolare quel paese nello schieramento anti-cinese.
Sicuramente Nuova Delhi non nutre simpatie per Pechino. Sul confine tra i monti dell’Himalaya sono avvenuti ancora recentemente degli scontri, e in occasione di questo incontro l’India ha deciso di acquistare 3 miliardi di dollari di droni Predator, proprio per pattugliare quell’area di tensione.
Inoltre, i droni saranno assemblati nel paese acquirente, così come vuole la campagna «Make in India» di Modi. Questo, così come la condivisione di tecnologie per motori a reazione per aerei da combattimento, mostra la salda volontà statunitense a un partenariato strategico per contrastare la Cina.
Non è solo l’ambito militare ad essere stato al centro degli accordi stipulati a Washington. Il capo di governo indiano vuole rendere il suo paese il nuovo hub internazionale dei semiconduttori, e varie aziende a stelle e strisce sono pronte a investirvi sia nella produzione sia nella formazione di ingegneri.
I colossi dell’informatica hanno cominciato da tempo a guardare all’India, così come ad altri paesi, per ridurre la dipendenza dal Dragone, e gli USA sono ben contenti di favorire questo processo. Già oggi gli Stati Uniti sono il primo partner commerciale di Nuova Delhi, che a sua volta è l’ottavo di Washington, con 190 miliardi di dollari di scambi complessivi.
Un quantitivo rilevante, destinato ad aumentare ancora, con 2 miliardi di investimenti sul territorio statunitense annunciati dall’imprenditoria indiana nell’energia solare, nell’acciaio, nella fibra ottica, e altri settori ancora.
Con la firma dell’accordo Artemis, l’India è il 27esimo paese che prenderà parte alla missione che vuole riportare l’uomo sulla luna.
Nella dichiarazione congiunta finale, primo ministro indiano e presidente statunitense hanno concordato di porre fine a sei controversie aperte presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Inoltre, Modi ha espresso la volontà di entrare nella lista del Trade Agreements Act di Washington, per migliorare l’integrazione economica, ma su questo ci sarà da aspettare.
Comunque, rimane il versante militare il fulcro dello sviluppo dei rapporti con il Blocco Euroatlantico: le collaborazioni con Leonardo sono state al centro anche dell’incontro della Meloni con Modi di qualche mese fa.
Qui iniziano i problemi, perché, ad esempio, la Russia contribuisce ancora per quasi la metà dell’importazione di armi in India, mentre gli USA solo per un decimo.
È probabile che i dati andranno riequilibrandosi, ma ad ora Modi continua a perseguire una politica di rafforzamento dell’autonomia del proprio paese, senza legarsi mani e piedi a nessun’altra potenza.
Se fino al 22 febbraio 2022 i barili di petrolio importati dalla Russia erano in numero irrisorio, nel giro di un anno sono diventati 1 milione sui 4,6 milioni al giorno.
Oltre ad aver evitato sempre di condannare esplicitamente l’intervento russo in Ucraina, il capo di governo indiano si è limitato a dire che “questa non è l’era della guerra”: riferibile a Mosca, e allo stesso tempo più vicina alle dichiarazioni di Pechino che a quelle della Casa Bianca.
Con la Cina, l’India partecipa anche ai BRICS, che in agosto avranno un incontro fondamentale.
L’articolo del Time riguardo la visita diplomatica titola – tradotto – “L’India non è un alleato degli Stati Uniti e non ha mai voluto esserlo”. Raymond Vickery, del think tank Center for Strategic and International Studies (CSIS) ha commentato: “non è un rapporto da alleato, ma è un rapporto da pari partner e con uguale interesse strategico”.
Questo interesse, a Washington, è quello del contenimento della Cina e del de-risking. Quello di Nuova Delhi è di ritagliarsi un proprio ruolo nell’arena internazionale, stimolando di conseguenza l’emergere di un mondo multipolare.
L’ordine internazionale imperniato sul predominio a stelle e strisce è evidentemente in rapido deperimento, e persino l’establishment USA se ne accorge se si affida a questo tipo di accordi, piuttosto che alla forza bruta dell’economia e delle armi, come ha sempre fatto.
È in questo quadro che, anche alle nostre latitudini, si può e si deve finalmente pensare a un’alternativa sistemica. Questo è il momento, per non rimanere incastrati nella barbarie del capitalismo.
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