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Francia: quando brucia “il giardino di casa”

La morte di Nahel M. – il giovane 17enne ucciso dalla polizia a Nanterre la mattina di martedì 27 luglio – ha scatenato una reazione inedita per intensità e continuità degli ultimi vent’anni rispetto ad episodi analoghi avvenuti ai danni degli abitanti delle periferie.

In ciò che gli organi di informazione hanno universalmente definito “una notte più calma delle precedenti” – tra sabato e domenica – sono state fermate 719 persone, 45 tra poliziotti e gendarmes sono rimasti feriti, 577 veicoli e 74 edifici sono stati incendiati, ma sono stati contabilizzati ben 871 incendi – secondo il Ministro dell’Interno – nella pubblica via.

Non proprio un “ritorno alla normalità”.

Se lo Stato non è ricorso all’“etat d’urgence” – come fece nel 2005 dopo dodici notti di émeutes – le misure intraprese non sono certo state meno drastiche: il dispiegamento di più di 45mila effettivi delle forze dell’ordine, mobilitando i blindati della Gendarmeria (come al livello più alto del movimento dei Gilets Juanes nel dicembre 2018), delle unità specializzate del RAID, del GIGN e della BRI e degli elicotteri che hanno trasformato le tre principali città francesi come Parigi, Lione e Marsiglia in zone di occupazione militare a tutti gli effetti.

Non solo le maggiori metropoli dell’Esagono hanno conosciuto “notti di fuoco”, ma anche quasi tutte le città di media grandezza, oltre ai Territori d’Oltre-Mare (DOM-TOM); segno di una estensione della rivolta che non si è fermata alla periferia parigina ma la Francia urbana nel suo complesso.

Di fatto, nei giorni scorsi, tutti gli eventi ‘mondani’ e scolastici sono stati cancellati preventivamente, i mezzi di trasporto locale come bus e tram hanno cessato di funzionare alle nove di sera, ci sono stati differenti divieti prefettizi per manifestazioni e l’imposizione di numerosi  coprifuoco.

Il soldato francese dei reparti speciali, di guardia al “giardino”, incredibilmente è armato con un fucile d’assalto Vepr-12 di fabbricazione russa

Macron ha fatto sapere, venerdì mattina, che era pronto ad ogni evenienza “senza tabù”, scegliendo di mostrare i muscoli – come invocato da conservatori ed estrema destra – piuttosto che cercare di calmare gli animi.

Il governo non è ricorso quindi ad una legge approvata nel 1955 – nel contesto della lotta di liberazione algerina (1954-1962) – com’è stato dopo quasi due settimane di scontri notturni in seguito alla morte a Clichy-sous-Bois (Seine-Saint-Denis) di Zyed Benna e Bouna Traoré -, anche se il tuo utilizzo è stato comunque fortemente caldeggiato dai gollisti di LR e al neo-fascista Éric Zemmour.

E’ stata però imposta una notevole militarizzazione, con un numero decisamente elevato di fermi che, nella notte tra venerdì e sabato, hanno superato il migliaio, e poco più di 700 nella notte successiva.

La strategie giudiziaria è stata subito quella della tolleranza zero nei confronti dei fermati e delle loro famiglie, considerando che per esempio nella notte tra giovedì e venerdì un terzo dei 900 fermati, erano minori e quindi con una età compresa tra i 14 e 18 anni.

Il Presidente e l’esecutivo, invece che mettere in discussione il processo di fascistizzazione crescente tra le forze dell’ordine – con il comunicato del maggiore sindacato di polizia Alliance, insieme alla branca di categoria dell’UNSA che venerdì ha affermato espressamente di “essere in guerra contro orde selvagge” – ha spostato il baricentro dell’attenzione sulla responsabilità delle famiglie dei ceti popolari, inasprendo quel processo di colpevolizzazione delle classi subalterne che è uno dei tratti dei suoi due mandati di Macron.

Sono di fatto cadute nel vuoto le parole di Ravina Shamdasani, porta-voce dell’Alto Commissariato dell’ONU ai diritti dell’uomo: «è il momento per il paese di affrontare seriamente i profondi problemi di razzismo e discriminazione razziale all’interno delle forze dell’ordine».

Una conferma del “doppio standard” che l’Occidente applica riguardo al rispetto dei diritti dell’uomo: strumentalmente agitati quando si tratta di attaccare un avversario, ma ignorati quando vengono calpestati in quello che Josep Borell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha di recente definito “il giardino” contrapponendolo alla presunta “jungla”, che sarebbe il resto del mondo.

Il Ministro della giustizia, Eric Dupont-Moretti, ha insistito nel dire che «non è lo Stato che educa i figli», rincarando la dose rispetto a ciò che aveva affermato Macron, e facendo appello ai genitori affinché di fatto impedissero loro di uscire di casa, per accettare invece passivamente quest’ennesimo sviluppo della torsione autoritaria.

L’altra “crociata” lanciata dall’esecutivo è stata quella contro le reti sociali come Snapchat e TikTok, ampiamente usate come strumento di comunicazione e di organizzazione di questi giorni.

Alla faccia della “libertà di informazione”, Dupont-Moretti vuole procedere di fatto ad un processo di identificazione di massa di coloro che hanno usato queste applicazioni durante le rivolte, ricorrendo a tipologie di reato comunemente utilizzate per associazioni criminali.

Macron non ha perso tempo nel denunciare “l’inaccettabile strumentalizzazione” di una parte de La France Insoumise di ciò che stava avvenendo. Gli ha subito risposto jean-Luc Mélanchon dicendo che «le elucubrazioni contro la LFI non coprono le responsabilità di coloro che hanno creato questa situazione».

E non sembra che da questo impasse politico il Presidente e l’Esecutivo vogliano uscire con una soluzione che non sia il “pugno di ferro”, attaccando tutti i coloro che stanno mettendo in evidenza le storture di un modello di sviluppo in cui precarietà lavorativa, segregazione urbana, e razzismo istituzionale sistematico sono la condizione esistenziale per milioni di persone dei ceti subalterni che vivono nei quartieri popolari.

É chiaro che la settimana appena conclusa ha fatto emergere un elemento ben spiegato da Erwan Ruty, responsabile associativo e autore di Une histoire des banlieus française – mai tradotto in italiano – al quotidiano Le Monde:

«il movimento sindacale, associativo, politico riusciva ad inquadrare fino agli anni 2000 la rabbia delle banlieue. Oggi l’ estrema destra la rinfocola, e l’estrema sinistra non riesce ad occuparsene. E due mondi si squadrano in cagnesco uno di fronte all’altro: i giovani e la polizia».

La crisi politica in Francia è talmente grave che, in tempi differenti, diverse porzioni sociali si sono mobilitate con modalità comunque radicali contro il ‘Presidente dei Ricchi’ ed i suoi governi durante questi due mandati: il movimento dei gilets jaunes, il primo e poi il secondo movimento contro la riforma pensionistica, le mobilitazioni contro la gestione della pandemia e, non ultimo, la legittima rabbia dei giovani delle periferie, oltre alle lotte ecologiste e quella di singoli comparti della classe lavoratrice.

Ora, “il giardino” ha preso fuoco, e non è chiaro quando verrà domato l’incendio.

La  legittima rabbia che ha scatenato l’assassinio poliziesco a sangue freddo di un 17enne incensurato è frutto di una crisi sistemica (economico, istituzionale e politica) che non sembra avere altra soluzione, per le élite, se non la fascistizzazione strisciante dei suoi apparati.

Qui ormai liberisti, conservatori ed estrema destra vanno avanti a braccetto, svolgendo solo pro forma ognuno una parte differente.

É una sfida, a cui la sinistra di classe, non solo in Francia, è chiamata a dare una risposta all’altezza perché, dopo la pandemia ed in tempi di guerra, dalle ceneri della governance neoliberista sta sorgendo una filosofia di governo tesa a sbriciolare le residuali garanzie democratiche e lo Stato di Diritto.

Per fare la guerra ai poveri.

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3 Commenti


  • Giancarlo staffo

    E Melenchon???……


  • Pasquale

    Da tanto tempo, ormai, una associazione di oligarchi a livello europeo o anche mondiale, ha disegnato la guerra ai poveri invece che alla povertà. Sull’onda della rivolta francese, la speranza è che la protesta si allarghi in Europa e oltre e diventi, però, organizzata per mettere nel mirino i centri di potere e salvaguardare cittadini e proletari inermi. Tutti i poveri del mondo uniti insieme ai lavoratori per una vera lotta di classe planetaria contro il potere costituito di tutti i governi borghesi che incarnano un sistema criminale e affaristico.


  • M.P.

    Amen.

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