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Guerra dei semiconduttori. La Cina “stringe” sulle esportazioni di terre rare

A fine giugno l’Assemblea Nazionale del Popolo, l’equivalente cinese del parlamento, ha approvato la prima legge sulle relazioni estere. Già in vigore, la norma, divisa in sei capitoli, farà da pietra angolare nel governare i limiti, le forme e gli obiettivi dei rapporti economici internazionali di Pechino.

L’applicazione della legge significherà poter adottare misure giudiziarie e amministrative indirizzate alla salvaguardia della sovranità, della sicurezza e degli interessi di sviluppo del Dragone. Si dà, insomma, un orientamento politico alle relazioni commerciali.

Analisti cinesi hanno sottolineato come questa legge va a riempire un vuoto in termini di diritto, soprattutto di fronte all’arbitrio delle ‘sanzioni unilaterali9 dell’Occidente e ad altre interferenze simili. E subito le autorità della Cina ne hanno tratto un primo meccanismo di difesa.

Un avviso congiunto del Ministero del Commercio e dell’Amministrazione Generale delle Dogane ha infatti stabilito lo scorso lunedì che “al fine di salvaguardare la sicurezza e gli interessi nazionali, con l’approvazione del Consiglio di Stato, si decide di attuare controlli sulle esportazioni di articoli relativi a gallio e germanio”. Due metalli centrali nella filiera dei chip.

Dal primo agosto, per esportare otto articoli relativi al primo materiale e sei relativi al secondo dovrà richiedersi una licenza e dovrà essere il ministero del Commercio ad approvarla. Le aziende devono comunicare chi sono gli acquirenti, e le revisioni possono arrivare fino al Consiglio di Stato.

La Cina è il principale produttore di gallio grezzo, rappresentando da sola circa il 95% del prodotto e l’85% delle riserve globali. Queste limitazioni andrebbero a colpire pesantemente l’industria militare statunitense, poiché il metallo è ampiamente usato nei sistemi radar avanzati delle forze armate.

Non è un embargo o un taglio delle forniture, e per ora sono gli stessi governi dove si concentrano le aziende dei semiconduttori a rassicurare il mercato. Ma è pur sempre un messaggio netto a Washington, a ridosso della visita della segretaria al Tesoro, Janet Yellen, dopo che Biden ha definito Xi Jinping “un dittatore”.

Pechino è un importante fornitore anche di germanio, utilizzato nelle fibre ottiche, nell’elettronica e nei pannelli solari. Controlla circa il 60% della produzione mondiale e la UE, ad esempio, ne importa dal Dragone il 45% del totale che impiega: è sorta dunque un po’ di preoccupazione per la transizione ecologica.

Un portavoce della Commissione Europea ha dichiarato che Bruxelles sta valutando un possibile ricorso all’Organizzazione Mondiale del Commercio per scongiurare il peggio, compresi i rialzi dei prezzi già cominciati. Sembra assurdo che siano gli euroatlantici a lamentarsi dei limiti alle esportazioni, loro che più di tutti li stanno usando in maniera unilaterale.

Secondo il Treasury Sanctions Review, nel 2021 erano 9.400 le designazioni sanzionatorie degli Stati Uniti.

È notizia di questi giorni che il colosso delle stampanti per chip ASML, basato in Olanda, ha seguito Washington e ha introdotto controlli simili a quelli di Pechino, ma contro le imprese cinesi.

Le potenze che sul libero mercato hanno costruito il proprio predominio per un trentennio, ora si incamminano sulla strada della deglobalizzazione e del protezionismo per lo stesso motivo.

Inevitabilmente, i paesi colpiti dalle decisioni unilaterali occidentali reagiscono sullo stesso piano. Se tu vieti le esportazioni di chip in Cina, la Cina blocca le esportazioni di gallio e germanio che servono a fare i chhip….

C’è di più: nel dettato legislativo si può leggere chiara la volontà che questa norma promuova lo sviluppo di un partenariato globale e il coordinamento e l’interazione positiva tra paesi. Può sembrare contraddittorio, considerato che si tratta di limitazioni su cui decide la Cina e la Cina soltanto.

Ma è qui l’elemento che rende questo passaggio ancor più importante. In un discorso del 2021 al Politburo, Xi Jinping indicò tra le componenti principali dello “stato di diritto relativo all’estero” l’applicazione extraterritoriale delle leggi cinesi, usate per lottare contro le sanzioni e con una funzione persino preventiva.

Nella normativa appena approvata osserviamo il tentativo della Repubblica Popolare di porre il proprio agire come fulcro di una rimodellata governance globale. Essa può essere abbracciata e divenire strumento di emancipazione anche per il Sud del mondo, diffidente verso i precedenti padroni coloniali.

Nelle mosse della Cina non c’è unicamente la competizione strategica sui materiali fondamentali della digitalizzazione e della transizione ecologica. C’è anche la sfida all’ordine dell’imperialismo euroatlantico e al suo doppio standard, per far crescere un mondo multipolare in cui la cooperazione sia inevitabile.

Un’opportunità da cogliere al volo per far crescere un’alternativa anche da noi.

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