Il 18 luglio la Russia si è definitivamente ritirata dal cosiddetto “Accordo sul grano”, la Black Sea Grain Initiative. Mosca ammoniva da tempo che, dopo le tre proroghe accordate, non avrebbe rinnovato l’accordo per l’esportazione di grano, mais e girasole ucraino, dal momento che, praticamente sin dal suo avvio, un anno fa, non sono state rispettate le altre clausole annesse.
Il Cremlino ha informato anche l’Organizzazione marittima internazionale delle Nazioni Unite sul ritiro russo dalle garanzie per la sicurezza della navigazione nel mar Nero. Il presidente turco Recep Erdogan ha detto lapidario che «La Black Sea Grain Initiative è storia».
In una nota dettagliata, il Ministero degli esteri (MID) russo ricorda che il 22 luglio 2022 erano stati firmati a Istanbul due accordi interconnessi: la “Black Sea Initiative” sull’esportazione di prodotti agricoli ucraini e dell’ammoniaca russa e il Memorandum Russia-ONU sulla normalizzazione delle esportazioni russe di prodotti agricoli e fertilizzanti.
L’obiettivo dichiarato dall’ONU era quello di garantire la sicurezza alimentare globale, ridurre la minaccia della fame e aiutare i paesi bisognosi in Asia, Africa e America Latina. Allo scopo, era stato individuato un corridoio marittimo umanitario, e il Centro di coordinamento congiunto (JCC) a Istanbul operava registrando e ispezionando le navi destinate all’esportazione dei prodotti agricoli.
Il fatto è che nell’anno di operatività dell’Accordo, ai paesi considerati bisognosi – Etiopia, Yemen, Afghanistan, Sudan Somalia – non è andato che il 3% (meno di un milione di tonnellate) sugli oltre 32 milioni totali di prodotti esportati: oltre il 70% (26,3 milioni di tonnellate) ha preso la via di paesi con livelli di reddito medio-alto, UE compresa.
Altre stime parlano di 8% ai paesi poveri e 53% ai paesi occidentali.
Come che sia, nulla di strano, se si ricorda che oltre 17 milioni di ettari di fertilissime ‘terre nere’ ucraine sono oggi di proprietà di colossi quali Cargill, DuPont, Monsanto, che se le erano assicurate quando, con l’ex presidente golpista Petro Porošenko, nel 2016 Kiev aveva revocato, su dettame del FMI, la moratoria di 20 anni sulla loro vendita.
Da parte europea, nota il MID, si acquista grano ucraino a prezzi di dumping, lo si trasforma e lo si rivende «come prodotto finito ad alto valore aggiunto. Gli occidentali guadagnano due volte, sia sulla vendita che sulla lavorazione del grano. Inoltre, USA e UE stanno speculando sui prezzi, creando una carenza artificiale di merci, e stanno spingendo i prodotti agricoli russi fuori dai mercati mondiali attraverso l’imposizione di sanzioni unilaterali illegali».
Per quanto riguarda il Memorandum Russia-ONU, esso in realtà non è mai entrato in vigore: da luglio 2022 la sola UE ha emesso cinque nuovi pacchetti di sanzioni, così che i pagamenti bancari russi, le assicurazioni e la logistica dei trasporti, le forniture di pezzi di ricambio e le attività estere sono completamente bloccate.
Nessuno dei cinque obiettivi previsti dal Memorandum è stato assolto, a cominciare dal previsto riavvio del collegamento di Rosselkhozbank al SWIFT.
Un esempio illuminante di come l’Accordo abbia “operato” è quello delle previste forniture gratuite di fertilizzanti minerali russi ai paesi più poveri, sotto egida ONU. Delle 262.000 tonnellate di prodotti bloccati in Lettonia, Estonia, Belgio e Paesi Bassi, sono state effettuate solo due spedizioni: 20.000 tonnellate in Malawi e 34.000 tonnellate in Kenya.
Altro punto non rispettato è quello dell’importazione in Russia di pezzi di ricambio e attrezzature per produzione agricola e fertilizzanti: vietata perché, si dice, si tratta di beni “a duplice uso”. «L’intero territorio del nostro Paese è stato dichiarato zona a rischio di guerra con tassi assicurativi esorbitanti fino a livelli proibitivi, e i porti esteri sono chiusi alle nostre navi e ai nostri carichi. I conti esteri delle aziende agricole nazionali sono congelati».
Non rispettata nemmeno la riattivazione del condotto Togliatti-Odessa per l’ammoniaca, prevista da entrambi gli accordi di Istanbul: semplicemente, lo scorso 5 giugno, il regime golpista ha fatto saltare in aria il condotto.
Per parte sua, durante l’anno di attuazione dell’accordo, l’Ucraina ha guadagnato 9,2 miliardi di dollari dall’esportazione di circa 33 milioni di tonnellate di cereali via mare. Però, nota il politologo ed ex capo del governo della LNR, Marat Baširov, Kiev non ha ricevuto tale somma in soldi: sono andati tutti nel pagamento delle armi occidentali: da qui l’isteria dei golpisti ucraini.
In Russia, al contrario, i produttori agricoli parlano di perdite di circa un miliardo di rubli, a causa degli sconti sul grano ucraino, senza contare le perdite delle aziende produttrici di fertilizzanti.
Il FMI stima in 800 milioni di dollari al mese le potenziali perdite ucraine per il mancato rinnovo dell’Accordo e nel caso la UE proroghi i divieti alle esportazioni di grano ucraino.
Sono proprio i cinque paesi confinanti con l’Ucraina – Ungheria, Bulgaria, Polonia, Romania e Slovacchia – i cui produttori agricoli stanno subendo le conseguenze del dumping ucraino, a chiedere alla Commissione europea di prorogare il divieto di importazione di prodotti agricoli ucraini anche dopo il 15 settembre.
Dalla Casa Bianca, il portavoce John Kirby “suggerisce” a Kiev di orientarsi all’esportazione «via terra, su rotaia, su camion. Pur se è più difficile e meno efficace»; anche perché tale opzione è da molto tempo contestata dagli agricoltori polacchi, moldavi, rumeni, per non parlare dell’onere aggiuntivo per le infrastrutture di trasporto.
Si fa notare che Kiev potrebbe – lo ha annunciato Vladimir Zelenskij – far partire comunque navi, rischiando scientemente di provocare la reazione russa: se Mosca attaccasse una nave ucraina carica di cereali, in Occidente si griderebbe alla “pirateria russa”; se ciò dovesse accadere con vascelli battenti bandiera straniera, la crisi sarebbe molto più rischiosa.
Così che, qualcuno, a Mosca, nel caso Kiev azzardi un tale passo, suggerisce di colpire le strutture portuali di Odessa, come d’altronde è accaduto nella notte del 18 luglio, allorché le forze russe hanno attaccato con lanci missilistici da nave un cantiere navale del porto di Odessa, in cui si allestiscono droni marittimi per attacchi terroristici.
Colpiti anche, a Nikolaev e Odessa, impianti di stoccaggio del carburante per le forze ucraine. Ma, in questo caso, Mosca ha parlato di ritorsione per l’attacco terroristico ucraino al ponte di Crimea nella notte del 17 luglio.
Per quanto riguarda invece la stessa Russia, all’Unione russa del frumento fanno notare che, tra luglio 2022 e giugno 2023, la Russia ha esportato la cifra record di 60 milioni di tonnellate di cereali, di cui 47 milioni di frumento, mentre nella campagna agricola 2021-2022 ne aveva esportato solo 38 milioni, con ricavi nel 2022 – a detta del Ministero dell’Agricoltura – pari a 41 miliardi di dollari.
«Gli acquirenti continueranno a ricevere il nostro grano, come prima, anche dopo la fine dell’accordo. Tutti gli obblighi contrattuali saranno rispettati», dicono all’Unione degli esportatori di cereali.
L’accordo del grano, tra le altre cose, aveva fatto crollare i prezzi mondiali dei prodotti alimentari. «Anche un’analisi superficiale suggerisce che lo scoppio delle ostilità in Ucraina aveva provocato un significativo aumento dei prezzi alimentari sul mercato mondiale», afferma Maksim Maksimov, dell’Università “Plekhanov” di Mosca.
A marzo 2022 «l’indice composito dei prezzi FAO era salito a 160 punti; per cereali e oli vegetali era stato stimato rispettivamente in circa 170 e 210 punti. Poi, dopo l’avvio dell’accordo, il livello dei prezzi ha iniziato a diminuire e nel giugno 2023 il valore medio dell’indice FAO dei prezzi dei cereali era di 126,6 punti».
L’esportazione di fertilizzanti minerali è diminuita di circa il 15% a causa delle sanzioni; ma, nel 2023, la Russia sta gradualmente ripristinando l’export di fertilizzanti e già quest’anno può raggiungere livelli di offerta paragonabili ai record del 2021, quasi 38 milioni di tonnellate.
Ancora Marat Baširov sostiene che, nell’anno trascorso, non si è trattato di «alcun “accordo del grano”. C’è stata la Black Sea Grain Initiative. Un accordo è quando tutte le parti che lo stipulano ottengono un vantaggio. Per un anno abbiamo offerto l’opportunità di esportare grano da tre porti ucraini.
Ci è stato promesso il collegamento ai sistemi SWIFT per effettuare pagamenti per i nostri prodotti agricoli, l’esportazione dei nostri fertilizzanti, anche attraverso il condotto dell’ammoniaca fino a Odessa, e l’opportunità di esportare grano russo con l’assicurazione per le navi». Ma nulla di tutto questo è stato fatto.
Sembra che troppo spesso, a Ovest, le richieste russe di accordo reciprocamente vantaggioso e gli ammonimenti di Mosca, vengano platealmente e provocatoriamente ignorati. Nel caso in questione, sarà curioso vedere come Washington e Bruxelles si arricchiranno di contrabbando, accusando Mosca di “affamare i paesi poveri”.
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