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Gli ucraini non sfondano: in Occidente inizia lo scaricabarile?

Alcuni giorni fa giornali e tv osannavano una “grande avanzata” ucraina in almeno due direttrici, con uno “sfondamento” in profondità di “almeno 16 chilometri”. Il solito Piagnerelli, inviato Rai, rilanciava a 20 chilometri, ma vebbeh, come fai a misurare esattamente qualcosa che non puoi vedere?

Poi la notizia è scomparsa. Il fronte è tornato sotto silenzio, i media sono tornati ad occuparsi di missili e droni (russi) abbattuti ma in grado di fare comunque danno (solo ai civili, però), e missili e droni ucraini che comunque vada vanno esalatati.

Propaganda di guerra, certo, a “nostro beneficio” per cercare di convincere che tutto sta andando nel migliore dei modi e bisogna perciò continuare ad alimentare di armi e soldi la giunta paranazista di Kiev (che nel frattempo mette in atto repulisti interni in nome della “lotta alla corruzione”).

Però la domanda resta: che fine ha fatto quello sfondamento in due direzioni? Il silenzio di tomba si accompagna ad analisi sempre meno ottimistiche sui media statunitensi. Il New York Times, tra i più convinti sostenitori fin qui della strategia di Biden, semina ora parecchi dubbi:

La maggior parte dei comandanti ha dichiarato di aver visto le unità, comprese le proprie, decimate più volte durante gli ultimi 16 mesi di combattimenti. Il comandante del battaglione, Oleksandr, ha raccontato che le perdite sono state così elevate durante la controffensiva a Kherson lo scorso anno che è stato costretto a sostituire i membri della sua unità per tre volte.” Ed anche il campione dei liberals statunitensi, il Washington Post, ammette ormai che”

KYIV, Ucraina – Questa nazione è esausta.

Per quasi 18 mesi, l’Ucraina si è opposta agli invasori russi, raccogliendo il sostegno delle sue truppe con le vittorie dello scorso anno sul campo di battaglia nelle regioni di Kiev, Kharkiv e Kherson.

Queste vittorie hanno consentito agli ucraini assediati di superare un inverno di attacchi aerei sulle infrastrutture civili e una brutale e simbolica battaglia per Bakhmut, la città orientale caduta in mano ai russi a maggio.

Per tutto il tempo, i funzionari ucraini e i loro partner occidentali hanno pubblicizzato l’imminente controffensiva che, sostenuta da un’ondata di nuove armi e addestramento, speravano potesse ribaltare le sorti della guerra.

Ma due mesi dopo che l’Ucraina è passata all’attacco, con pochi progressi visibili sul fronte e un’estate incessante e sanguinosa in tutto il Paese, la narrazione dell’unità e della perseveranza senza fine ha iniziato a sfilacciarsi.

L’articolo prosegue poi affermando che, sebbene non esista un bilancio ufficiale delle vittime, quasi tutti conoscono più persone morte al fronte.

Insomma, un quadro sconfortante, ma nessuna riflessione sulla bestialità statunitense che ha “mandato avanti” Kiev nell’illusione che potesse “logorare la Russia” al punto di farla entrare in una crisi devastante.

Per avere un quadro informativo quasi “neutrale”, siamo andati a vedere il sito Analisi Difesa (insospettabile di “putinismo” o “pacifismo”), trovando questo lungo articolo che entra nei dettagli con la competenza dei militari. Che si rendono ormai conto anche delle pesanti conseguenze economiche e politiche di una “sconfitta” occidentale in questa guerra.

Soprattutto per l’Europa, vera protagonista perdente, comunque la si voglia vedere…

Buona lettura.

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Sui fronti di Zaporizhia e Donetsk in oltre due mesi di controffensiva gli ucraini vantano di aver liberato un’area di 360 chilometri quadrati, meno dell’estensione del comune di Ferrara (402 kmq) e una superficie pari allo 0,02% del territorio ucraino controllato dai russi (nella mappa qui sotto in blu le aree conquistate dagli ucraini in due mesi di attacchi sul Fronte di Zaporizhia).

Successi territoriali a dir poco limitati a qualche villaggio raso al suolo nella “terra di nessuno” dove peraltro i russi hanno riguadagnato posizioni contrattaccando negli ultimi giorni. Piccoli successi inficiati soprattutto dall’avanzata delle truppe di Mosca tra le regioni di Luhansk e Kharkiv, specie nel settore di Kupyansk dove le truppe di Mosca sarebbero a meno di 7 chilometri dalla città e avrebbero ammassato ampie riserve, forse per lanciare una più ampia offensiva.

Le aree in blu sulla mappa corrispondono alle conquiste territoriali ucraine in quasi tre mesi di offensiva a prezzi umani e materiali devastanti

 

Pesanti le perdite subite da Kiev. Secondo i russi i caduti tra il 4 giugno e fine luglio sarebbero tra 36mila e 42 mila a seconda delle stime, oltre a 1.700 mezzi corazzati e blindati e 350 pezzi d’artiglieria distrutti, danneggiati o finiti in mani russe.

La distruzione di molti mezzi non ha scoraggiato i comandi ucraini che continuano a rinnovare gli assalti sui fronti di Zaporizhia e Donetsk affidandoli soprattutto alla fanteria, con conseguenze sulle perdite ben evidenziate da molti canali Telegram militari sia russi che ucraini.

La controffensiva a lungo preannunciata e poi scatenata il 4 giugno aveva l’obiettivo (più politico che militare) di strappare a ogni costo quanto più territorio ucraino alle truppe russe per continuare a ottenere il supporto militare ed finanziario dell’Occidente: impossibile infatti ritenere che l’obiettivo di riconquistare tutti i territori perduti (inclusa persino la Crimea) fosse alla portata delle forze di Kiev.

Un obiettivo che, come ha sostenuto in più occasioni il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, permetterebbe agli ucraini di negoziare da una posizione più forte con i russi. Per Kiev invece nessun negoziato sarà possibile fino al completo ritiro russo anche dalla Crimea.

Verso un cambio di narrazione

Anche per queste ragioni la controffensiva ucraina continua, sanguinosa anche se meno intensa, in cerca di successi spendibili sul piano politico. Nonostante si continuino a inviare armi e mezzi a Kiev, in Occidente appare sempre più palpabile il progressivo cambio di narrazione e di prospettive.

Se nella primavera 2022 l’accordo mediato dalla Turchia (e rivendicato anche recentemente da Ankara) per far cessare il conflitto venne fatto fallire dalla linea sostenuta apertamente da Londra e Washington per cui “la guerra doveva continuare per logorare la Russia”, oggi anche i vertici della NATO si limitano a spingere gli ucraini a cercare successi per negoziare meglio con Mosca.

Da un lato USA e alleati dichiarano che sono gli ucraini a dover scegliere se e quando negoziare con i russi, dall’altro Zelensky ha messo fuori legge tutte le opposizioni e si appoggia sulle forze ultra-nazionaliste che non gli perdonerebbero negoziati in cui giocoforza Kiev dovrebbe cedere ampi territori.

I grandi media statunitensi hanno sempre offerto uno sguardo sulla guerra più realistico rispetto a quelli europei e soprattutto italiani ma negli ultimi giorni reportage, commenti e analisi pubblicati oltre Atlantico sembrano preparare l’opinione pubblica alla possibile sconfitta o quanto meno alla mancato successo della controffensiva Ucraina.

Ieri il New York Times segnalava, in un articolo che citava alcuni analisti militari, progressi ucraini in due settori del Fronte di Zaporizhia rilevando avanzate di 16/19 chilometri, ma rispetto alle linee di partenza delle forze di Kiev nella controffensiva, non in profondità nelle linee russe che restano intatte.

L’obiettivo di Kiev è raggiungere il Mar d’Azov per interrompere la continuità geografica tra il Donbass occupato dai russi e la Crimea. Meta che resta al momento lontana, mentre gli stessi analisti citati dal quotidiano statunitense avvertono che le forze ucraine devono ancora affrontare una lunga, lenta e sanguinosa avanzata contro le truppe russe posizionate dietro difese ben progettate e fortificate.

Il 3 agosto il New York Times evidenziava il fallimento della controffensiva e dell’addestramento impartito dall’Occidente agli ucraini mettendo in guardia dai rischi di puntare sul logoramento delle forze russe considerato che Mosca gode di un significativo vantaggio sull’Ucraina in termini di uomini e risorse e che Putin sembra contare proprio sull’esaurimento delle forze e delle riserve di munizioni ucraine per vincere il conflitto.

Sul piano territoriale, inoltre, i successi ucraini restano circoscritti, e “le speranze della NATO di grandi avanzate da parte delle formazioni corazzate ucraine non si sono materializzate, almeno per ora”.

Il NYT sottolineava inoltre che la rinuncia alle dottrine occidentali da parte delle forze ucraine solleva quesiti in merito alla qualità e all’efficacia dell’addestramento e dei mezzi forniti dall’Occidente, visto anche il vasto dispendio economico (quasi 50 miliardi di dollari di aiuti militari elargiti finora solo dagli Stati Uniti).

Nei giorni scorsi ancora il New York Times riferiva delle pesanti perdite subite da molte brigate ucraine, alcune ritirate dal fronte perché ormai prive di capacità di combattimento.

Molti pensavano che sarebbe stato molto veloce e che saremmo stati in Crimea in autunno. Ma ogni metro è molto difficile”, ha detto il comandante di un battaglione che ha ammesso di aver subito pesanti perdite a causa dei campi minati, dell’artiglieria e degli attacchi aerei russi.

Ho perso molto e alcuni dei nuovi arrivati ​​sono mentalmente a pezzi”, ammettendo di aver subito perdite simili nella regione di Kherson l’anno scorso.

Militari sentiti dal NYT  accusano i comandanti di spingere le reclute in battaglia, di utilizzare unità impreparate come avanguardia e che il tipo di addestramento e molti mezzi ricevuti dall’Occidente sono forse adatti alle guerre anti-insurrezionali in Iraq e Afghanistan ma non certo a confrontarsi con la potenza di fuoco dei russi in una battaglia convenzionale.

Un riferimento ai mezzi ruotati MRAP, concepiti per proteggere i militari dagli ordigni improvvisati (IED) di talebani e ISIS, poi forniti in gran quantità all’esercito di Kiev e mostrati distrutti o danneggiati in gran numero dai media e dai social russi.

Il 10 agosto il Washington Post ha scritto che dopo due mesi di controffensiva con pochi progressi visibili sul fronte e un’estate implacabile e sanguinosa in tutto il paese, la narrativa di unità e perseveranza senza fine ha cominciato a sfilacciarsi.

Il numero di morti – migliaia, incalcolabili – aumenta ogni giorno. Milioni di persone sono sfollate e non vedono alcuna possibilità di tornare a casa. In ogni angolo del paese, i civili sono esausti per l’ondata di recenti attacchi russi…

A Smila, nell’Ucraina centrale, la fornaia Alla Blyzniuk, 42 anni, ha detto al WP di vendere giornalmente dolci per i ricevimenti funebri mentre i genitori si preparano a seppellire i loro figli uccisi sul fronte a centinaia di chilometri di distanza.

Prima, ha detto, anche quando la situazione era dolorosa, “le persone erano unite”. Si sono offerti volontari, hanno preparato i pasti l’uno per l’altro e hanno consegnato cibo ai soldati. Ora, ha detto, c’è un senso di delusione collettiva. 

Blyzniuk vive anche nella paura che suo marito o due figli in età da combattimento vengano mobilitati. Ha già notato che molti meno uomini camminano per le strade della sua città rispetto a prima. L’Ucraina non rivela il conteggio delle sue perdite militari, ma tutti condividono storie, ha detto, di reclute al fronte sopravvissute solo due o tre giorni.

Un militare dei reparti sanitari ha detto al WP che “a volte i corpi dei soldati sono così fatti a pezzi che devono usare due o tre sacchi per contenerli. Ci sono momenti in cui un soldato viene restituito con solo il 15% del corpo. Non ho mai visto così tanto sangue prima. È un prezzo così duro per la libertà”.

Brucia anche il contrasto tra i drammi della guerra e la vita “normale” di tanti a Kiev. Yulia Paltseva, 36 anni, ha detto al WP di essere rimasta scioccata dal modo in cui i residenti di Kiev continuano a fare feste e socializzare. Il suo ragazzo è al fronte e sarà presto trasferito a combattere vicino a Bakhmut.

Tutte quelle persone che ballano e sorridono dovrebbero ricordare che ci sono quei soldati come il mio ragazzo nelle trincee senza alcuna rotazione e che vengono bombardati ogni giorno”, ha detto.

Le critiche tedesche ai militari ucraini

Testimonianze e analisi crude appaiono sempre più spesso sui media statunitensi, con minore frequenza su quelli europei, mentre in Germania il quotidiano Bild ha rivelato il 24 luglio un documento riservato della Bundeswehr intitolato “Osservazioni sule Forze armate ucraine”, in cui con molti dettagli si esprimono critiche alle forze armate ucraine per la fallita controffensiva.

In particolare i militari tedeschi lamentano la disorganizzazione delle forze di Kiev nonostante l’addestramento ricevuto in Germania.

L’Ucraina, secondo la Bundeswehr, ha creato troppe piccole unità formate a volte solo da 10-30 soldati addestrati in occidente. Una situazione che aumenta il “pericolo di fuoco amico” e non aiuta a “stabilire una supremazia” sul campo come ci si aspettava, mentre “gli elementi di manovra mancano di punto focale per costruire il proprio slancio o stabilire la supremazia del fuoco”.

Le Forze armate tedesche quindi attribuiscono il flop della controffensiva alla “dottrina operativa Ucraina”.

Secondo la Bundeswehr, non c’è stato un corretto apprendimento dell’addestramento occidentale, che ha contrastato con la dottrina di combattimento dei soldati ucraini più esperti.

Secondo il documento, infatti, i militari più giovani o con esperienza recente di combattimento hanno ottenuto maggiore successo a livello di formazione rispetto ai veterani. Tuttavia, una volta tornati in Ucraina, hanno dovuto affrontare il problema di essere comandati da ufficiali che non hanno agito secondo le procedure occidentali.

Il documento tedesco evidenzia che la superiorità delle truppe ucraine su quelle russe, auspicata dagli addestratori dei Paesi occidentali, è “svanita” e sottolinea che “più un militare ucraino acquisisce esperienza di combattimento e più sale di gerarchia, meno interiorizza o accetta i fondamenti dell’addestramento occidentale”.

Secondo l’analista militare Julian Röpke, in questo modo il comando ucraino annulla i successi dei soldati addestrati in Occidente e perde un vantaggio nel conflitto.

A Londra invece, il report quotidiano attribuito all’intelligence (in realtà un classico prodotto delle Operazioni Psicologiche) ha scritto qualche giorno or sono che la crescita della vegetazione sul campo di battaglia nel sud dell’Ucraina è probabilmente uno dei fattori che contribuiscono al generale lento progresso della controffensiva ucraina.

Erbacce e arbusti sulla terra lasciata incolta per 18 mesi aiuterebbero i russi a camuffare le posizioni difensive rendendo più difficile la bonifica dei campi minati.

Valutazioni opportunistiche

Le valutazioni ingenerose della Bundeswehr non sembrano tenere conto di alcuni aspetti che peraltro avrebbero dovuto risultare evidenti già da tempo e che in più occasioni abbiamo evidenziato su Analisi Difesa.

Dal quartier generale di Berlino non è emerso nessun cenno di autocritica per l’addestramento sommario impartito in Germania come altrove per appena un paio di mesi in molti a casi a reclute del tutto inesperte, al rapido addestramento di equipaggi trasformati in carristi in appena 8 settimane e mandati all’assalto in mezzo a campi minati, droni, missili anticarro e artiglierie a bordo di carri armati e veicoli corazzati occidentali privi di protezioni aggiuntive e corazzature reattive.

Comprensibile che reclute inesperte abbiano appreso meglio come impiegare un veicolo corazzato occidentale rispetto ai veterani, abituati a impiegare quelli di tipo russo/sovietico (solo per citare una differenza, i carri russi hanno 3 uomini di equipaggio, quelli occidentali 4). 

Per i vertici militari di Berlino le problematiche emerse in battaglia non sono legate a singoli errori o carenze nell’addestramento effettuato dagli eserciti occidentali ma alla “dottrina operativa Ucraina”.

Eppure basterebbe notare che l’esercito di Kiev ha sofferto il sacrificio di tante brigate di veterani nelle battaglie invernali di logoramento a Bakhmut, Soledar, Avdiivka e Marinka.

O che l’Ucraina ha ricevuto – sì – tanti armamenti e veicoli, ma delle tipologie più varie mettendo in campo 170 diversi sistemi d’arma principali e veicoli corazzati e blindati di cui è impossibile gestire la logistica, specie in un contesto così usurante come una guerra convenzionale su vasta scala.

In un Occidente abituato da decenni a impiegare numeri limitati di militari professionisti in conflitti anti-insurrezionali non dovrebbe sfuggire “la difficoltà a impiegare in una guerra a elevata intensità truppe di leva, spesso poco e mal addestrate ed equipaggiate, tenuto conto che l’Ucraina sta raschiando il fondo del barile” per colmare nei ranghi i vuoti lasciati dalle perdite subite.

Sul sito del ministero della Difesa ucraino è recentemente apparsa un’ampia sezione che invita combattenti stranieri ad arruolarsi nella Legione Internazionale.

Peraltro le criticità anche sociali del sistema di arruolamenti di massa in una nazione ad altissimo tasso di corruzione e illegalità è apparsa in tutta la sua evidenza con la rimozione, ordinata da Zelensky l’11 agosto, di tutti i comitati militari regionali.

Sono già in corso 112 procedimenti penali contro funzionari dei comitati con l’accusa di abuso di potere con casi di “arricchimento illegale e fondi ottenuti irregolarmente per profitti personali”.

Nell’ultimo mese alcuni responsabili dei Centri territoriali di reclutamento e sostegno sociale sono stati coinvolti in scandali e avrebbero incassato denaro, case all’estero e auto di lusso per evitare a qualcuno il richiamo alle armi. Senza contare che in tema di corruzione e malversazione anche la posizione del ministro della Difesa Oleksi Reznikov appare da mesi traballante.

Quanto alle critiche per i mancati successi ucraini, qualche domanda dovremmo pure porcela anche in ambito Ue/NATO.

Possibile che nessuno abbia notato che per armare le reclute ucraine abbiamo svuotato i magazzini di munizioni ma anche di armi e mezzi a volte nuovi e in servizio, più spesso radiati da tempo e a volte in pessime condizioni?

Semmai dovremmo chiederci quanti reparti di eserciti NATO reggerebbero per oltre due mesi le perdite e l’usura di un’offensiva contro le linee russe a Bakhmut o l’assalto alla Linea Surovikin.

Siamo certi che ci sia oggi un solo stato membro della NATO in grado di sopportare tra i propri militari di professione le perdite sofferte dagli ucraini di leva nel Donbass? Sopportarle non solo in termini militari, ma anche di tenuta sociale e politica della nazione.

Di certo, dalle notizie emerse in questi ultimi 18 mesi, nessun esercito europeo avrebbe a disposizione il numero di truppe, armi pesanti e soprattutto munizioni per tenere 800 chilometri di fronte contro i russi neppure qualche settimana. 

Sarebbe meglio ricordare tutto questo prima di impartire lezioni col ditino alzato a chi in trincea combatte, muore o resta mutilato, per giunta andando all’assalto quasi sempre senza nessuna copertura aerea.

Prepararsi al peggio?

La tendenza allo scaricabarile, ad autoassolversi dalle responsabilità per una sconfitta che è anche nostra (il sottosegretario di Stato Victoria Nuland ha detto che Washington ha lavorato per molti mesi con gli ucraini a pianificare la controffensiva) mentre i militari ucraini cadono a migliaia di fronte alle linee russe non fa onore all’Europa e alla NATO e potrebbe indicare l’affermarsi in Occidente di una nuova narrazione, tesa a prendere gradualmente le distanze dai fallimenti, sconfitte o mancate vittorie di Kiev.

I primi segnali di questa tendenza legata agli insuccessi della controffensiva ucraina si erano avuti al vertice NATO di Vilnius, con il battibecco a distanza tra il ministro della Difesa britannico Ben Wallace e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky circa la necessità che gli ucraini mostrino riconoscenza per quanto fatto dall’Occidente per aiutarli.

 

Un dibattito presto rientrato, ma a Vilnius gli ucraini hanno toccato con mano l’improvvisa freddezza degli alleati rispetto all’approccio applicato dagli alleati riassumibile nello slogan “armiamoci e partite”.

Non si può escludere quindi che i vertici politici di Stati Uniti ed Europa abbiano ormai compreso che l’Ucraina non può vincere e che qualcuno cerchi una exit strategy dal conflitto, certo poco onorevole ma non sorprendente se guardiamo ai tanti precedenti da Saigon a Kabul.

L’Europa è economicamente in ginocchio, Germania e Italia in testa con le loro industrie manifatturiere: il crollo della produzione industriale unito a energia a caro prezzo ed incerto approvvigionamento e alta inflazione stanno concretizzando il rischio della de-industrializzazione. 

Solo negli ultimi giorni il Financial Times ha reso noto che le perdite dirette delle società europee nel mercato russo ammontano ad almeno 100 miliardi di euro dall’inizio della guerra in Ucraina, senza contare l’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime con il settore petrolifero che ha sofferto maggiormente.

 

Eppure solo un anno or sono Ursula von der Leyen (peraltro in buona compagnia) ci spiegava che la Russia sarebbe collassata in poche settimane e che i soldati russi rubavano le schede elettroniche da frigoriferi e lavatrici per sopperire alle carenze dell’industria bellica.

Invece, comunque vada sui campi di battaglia ucraini, l’Europa ha già rovinosamente perso il conflitto e a spiegarci quello che ci attende nel dopoguerra ha provveduto l’8 agosto l’economista statunitense Kenneth Rogoff, professore d’economia ad Harvard e già capo economista del Fondo Monetario Internazionale [noto peraltro per la demenziale teoria dell'”austerità espansiva“, ndr], spiegando che “i costi della ricostruzione dell’Ucraina saranno probabilmente molto più alti del previsto” (700/1.000 miliardi di euro) e l’Europa, che finora ha contribuito “relativamente poco” alla difesa di Kiev, si dovrebbe assumere “quanto prima” la responsabilità della ricostruzione.

Secondo Rogoff, “la necessità che l’Europa si faccia avanti e si assuma le proprie responsabilità è sempre più urgente” perché gli interessi europei “sono più strettamente allineati con quelli dell’Ucraina”.

Inoltre, “anche se il sostegno militare degli USA all’Europa e all’Ucraina dovesse essere confermato dopo le elezioni presidenziali, l’entusiasmo dell’America per degli aiuti finanziari a lungo termine probabilmente svanirà indipendentemente dal risultato elettorale”.

I prodromi della sconfitta?

Oltreoceano lo scenario che si sta delineando appare quindi chiaro: dopo essersi suicidata con sanzioni e guerra alla Russia per seguire supinamente gli anglo-americani, l’Europa impoverita, indebolita e disarmata dovrà farsi carico anche della ricostruzione di un’Ucraina devastata che rappresenterà a lungo un fardello per il Vecchio Continente.

Del resto in autunno prenderà il via un’altra infuocata campagna per la Casa Bianca e nessun candidato incasserà consensi dal permanere del rischio di una guerra con la Russia in cui non si può mai escludere l’escalation nucleare, né tantomeno dal buttare denaro nel tritacarne ucraino

 

Lo ha ricordato indirettamente il 4 agosto un sondaggio pubblicato da CNN in cui emerge che il 55% degli americani è contrario ad ulteriori stanziamenti federali per l’Ucraina: il 51% degli intervistati ritiene che Washington abbia fatto abbastanza per Kiev, contro un 48% di opinione contraria, in netto calo rispetto al 62% di un anno fa.

Per quanto riguarda il genere di aiuti da fornire, il 63% menziona la cooperazione d’intelligence, il 53% l’addestramento militare, il 43% la fornitura di armi e solo il 17% sosterrebbe un dispiegamento di truppe statunitensi sul terreno.

Il sondaggio dimostra inoltre una forte divisione basata sullo schieramento politico: il 71% di coloro che si dichiarano Repubblicani si oppongono ad ulteriori finanziamenti da parte del Congresso, mentre il 62% dei Democratici è favorevole.

Per chiarire ancora meglio lo scenario che si sta configurando negli Stati Uniti, il 12 agosto deputato repubblicano Warren Davidson ha scritto su X (ex Twitter) che “gli americani sono stanchi di finanziare infinite guerre per procura. Oggi io e i miei colleghi abbiamo inviato una lettera chiedendo al presidente Biden di ritirare l’ultimo pacchetto di aiuti fino a quando il Congresso non avrà ricevuto una strategia e una missione complessiva per il coinvolgimento in Ucraina”.

 

Nella lettera, sottoscritta insieme con altri 11 colleghi della Camera dei Rappresentanti, si legge: “Stiamo scrivendo per esprimere la nostra forte opposizione alla Sua più recente richiesta di stanziamenti supplementari di 40 miliardi di dollari, inclusi 24 miliardi per l’Ucraina. Questa richiesta aggrava la spesa in deficit fuori controllo della Sua amministrazione e aggira l’accordo bipartisan sul tetto del debito”.

Gli americani sono stanchi di finanziare guerre infinite e vogliono politiche che non solo aiutino a ripristinare la sanità fiscale a Washington, ma mettano anche l’America e i cittadini americani al primo posto”.

Davidson e i repubblicani hanno scritto che prima che “il Congresso possa finanziare responsabilmente la guerra per procura in corso in Ucraina”, l’amministrazione Biden “ha l’obbligo di spiegare, esplicitamente e ufficialmente, ciò che gli Stati Uniti stanno cercando di ottenere in Ucraina”.

I firmatari della lettera chiedono al presidente di “ritirare” la sua richiesta di stanziamenti multimiliardari fino a quando non fornirà “al Congresso una strategia e una missione complessivi per il coinvolgimento degli Stati Uniti in Ucraina”.

La lettera di Davidson costituisce probabilmente solo un anticipo dell’aspro dibattito che si svilupperà nei prossimi mesi negli Stati Uniti sulla guerra in Ucraina, col rischio che dalle critiche alle spese finanziarie e al coinvolgimento militare ad annunciare che “questa non è la nostra guerra“ il passo sia davvero breve.

* da Analisi Difesa

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