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“Are you ready to rumble?” La lotta di classe negli USA

Come sindacato, dobbiamo portare avanti la battaglia per la giustizia economica – non solo per noi stessi ma per l’intera classe lavoratrice

Shawn Fain, presidente della UAW

I 150 mila aderenti al sindacato dei lavoratori del settore automobilistico statunitense, United Auto Workers International Union (UAW), hanno votato a stragrande maggioranza a favore dello sciopero all’interno della vertenza per il rinnovo contrattuale.

Con il 97% di voti favorevoli, la UAW ha ora la possibilità di scioperare negli stabilimenti delle cosiddette Big Three: Ford, General Motors e Stellantis.

I lavoratori potrebbero incrociare le braccia già dal 15 settembre, cioè il giorno successivo all’estinzione del contratto, se non sarà raggiunto un accordo tra le parti. E potrebbe essere lo sciopero più grande di tutto il settore industriale negli ultimi 50 anni.

É il risultato di un approccio più assertivo dell’attuale dirigenza sindacale, con il nuovo leader della UAW, Shawn Fain, che ha rotto con la tradizione della contrattazioni “all’americana”, quelle in cui i vertici del sindacato e il management discutevano tra loro amichevolmente e alla fine si stringeva la mano.

Stavolta la Uaw ha preferito stringere quelle dei lavoratori, conducendo una campagna a tappeto per il rinnovo contrattuale.

A chi gli ha chiesto perché Fain ha risposto secco che stringerà la mano alla controparte: «quando i nostri lavoratori avranno la giustizia economica». Fino a quel momento, non se ne parla nemmeno.

In precedenza, in un video, aveva buttato nel cestino della carta le proposte fatte dal padronato dicendo che le stava rimettendo al loro posto.

Per la precisione, la proposta cestinata era quella avanzata da Stellantis, che comprendo ora i marchi Chrysler, Peugeot, Citroen e Fiat.

Fain è stato eletto in marzo grazie alla “corrente” progressista Unite All Workers for Democracy con una piattaforma contro la corruzione, le concessioni ed il sistema dei tier, rompendo il one-party rule che durava da 70 anni nel sindacato automobilistico.

É un ritorno alle origini, ad una «progressive, fighting union», come ha dichiarato un dirigente in un’intervista pubblicata sulle pagine di More Perfect Union.

Secondo quanto riporta Luis Feliz Leon, in una bella inchiesta pubblicata su Jacobin Magazine, durante uno dei meeting un lavoratore aveva spiegato ad una organizzatrice sindacale perché era “contro” lo sciopero: «Possiamo occupare il posto di lavoro, come hanno fatto a Flint nel sit-down strike?».

Si riferiva addirittura allo storico sciopero a Detroit, negli Anni Trenta!

La nuova leadership ha spinto i lavoratori ad organizzarsi in ogni stabilimento, pubblicizzare la loro vertenza, organizzare dei parking lot rallies e fare pratica dei picchetti, vedersi sul posto di lavoro con gli altri lavoratori in “10-minute meetings” di natura informativa e motivazionale.

Una rottura quindi non solo nei “gesti”, ma anche nella pratica militante.

Per molto tempo avere un lavoro nel settore dell’auto, in un’azienda che ammetteva la presenza del sindacato, ha significato avere un buono stipendio e stabilità.

Nonni e padri degli attuali operai sindacalizzati più anziani se lo ricordano bene.

L’aristocrazia operaia del settore automobilistico statunitense si considerava, non a torto, quasi middle class per gli standard di vita che aveva nel tempo acquisito.

Ma da molto tempo non è più così.

E le condizioni dei lavoratori del settore – considerati “essenziali” durante la pandemia – non sono migliorate, anzi…

«Se vai a lavorare per Ford ora, puoi guadagnare di più da McDonalds o White Castle» dice un lavoratore nel video prima menzionato.

Molti lavoratori sono costretti a fare un secondo lavoro, magari part-time, per andare avanti.

Un lavoratore intervistato nell’articolo di Jacobin fa questo esempio: «Mia madre è andata in pensione dalla Ford nel 2004, e la sua top pay era di 28 dollari all’ora. La nostra paga massima è di 31,77. Così in vent’anni, il livello di paga più alto è aumentato di appena 4 dollari».

Con un’inflazione alle stelle, i salari non sono stati più adeguati al costo della vita. Un problema che prima non sussisteva perché il contratto collettivo della UAW prevedeva un adeguamento in busta paga, il cosiddetto COLA, acronimo che sta per cost-of-living adsjustments. La scala mobile, insomma…

I lavoratori della General Motors l’avevano ottenuto nel 1948, e negli Anni Settanta la UAW era riuscita ad estenderla a tutti i suoi iscritti.

Quando l’industria dell’auto era sul punto del collasso, nel 2008, il sindacato rinunciò a questo meccanismo affinché il settore potesse riprendersi, con la promessa che sarebbe stato ripristinato quando le industrie automobilistiche avessero risalito la china.

Ma non è stato così. E non è stata l’unica concessione “a vuoto” fatta nel tempo.

Le Big Three, insieme, nei primi sei mesi di quest’anno hanno realizzato circa 20 miliardi di profitti. 250 negli ultimi dieci anni, secondo quanto riporta il sito di informazione Labor Notes.

Fain, in un live di Facebook diretto ai propri iscritti, è stato netto: «andando alle trattative il nostro messaggio è stato chiaro: profitti da record significano contratti da record».

Mentre il management è rimasto ai vecchi fasti: ai lavoratori neanche le briciole.

«Ho fatto sacrifici affinché la Ford possa continuare ad assumere persone a 16 dollari all’ora?», si chiede un vecchio membro del sindacato.

Ma il COLA non è stato l’unica garanzia persa con l’ultima recessione.

I lavoratori assunti prima del 2009, finita la loro attività lavorativa, avevano diritto a pensione e cure sanitarie,  e raggiungevano il massimo della paga in 3 anni.

Ora, come testimonia un lavoratore, i tempi si sono estremamente dilatati: «mi ci sono voluti 9 anni e mezzo per prendere la paga più alta», senza garanzie per una pensione e senza assenza sanitaria.

Il risultato è stato deleterio anche per il sindacato, perché vi sono operai che fanno lo stesso lavoro con paghe e standard piuttosto differenti.

Una delle richieste è infatti la fine del sistema dei tiers – “End tiers. No 2nd class workers”.

L’altro problema è quello dell’uso discrezionale dei contratti a tempo, per cui i temp workers in realtà lavorano ad orario pieno senza però mai passare full-timers.

L’accettazione delle richieste fatte nel contratto collettivo sono così l’unica chance per cambiare la condizione di falsi “lavoratori a tempo”, e limitare fortemente il loro uso in futuro.

Una delle altre richieste principali è assicurarsi che la transizione all’auto elettrica non venga usata per minare ulteriormente le condizioni dei lavoratori.

Ma la piattaforma include anche un aumento per i lavoratori già in pensione (è dal 2003 che non c’è stato un incremento), il “working family protection program”, che garantisce ai lavoratori licenziati in caso di chiusura dell’impianto di essere pagati dalle aziende come lavoratori che svolgono attività comunitaria (“community social work”).

I contenuti della piattaforma e la maniera in cui è portata avanti stanno facendo fare un vero e proprio “salto di qualità” al movimento operaio nord-americano, dopo la vittoriosa vertenza dei teamsters – che ha dei forti punti di contatto con quella della UAW – che hanno ottenuto un contratto storico per i lavoratori dell’UPS, approvato dall’86,3% dei dipendenti.

Sta continuando anche lo sciopero degli scrittori e degli attori di Hollywood, che da più di 100 giorni hanno incrociato le braccia per non avere avuto risposte all’altezza, visto che la controparte ha proposto un aumento di appena il 5% sulle paghe per gli sceneggiatori. Per di più nel momento sbagliato…

Come riporta Fortune: «il giorno dopo che i Teamsters dell’UPS hanno approvato un contratto con un aumento del 35% ed i piloti hanno ottenuto il 21%».

Sebbene il tasso di sindacalizzazione negli USA sia attorno al 10% della forza-lavoro totale, in differenti settori  le unions sono tornate ad essere uno strumento effettivo di miglioramento delle condizioni dei lavoratori, riscoprendo l’azione collettiva come unico mezzo per conseguirle.

Una recente inchiesta del Financial Times, Ethan Wu si interroga se Wall Street debba preoccuparsi delle maggiori aspettative salariali e di questo nuovo slancio militante dei sindacati, quantificabile in un aumento degli scioperi.

La risposta di Archer, della AFL-CIO – la centrale sindacale statunitense – è piuttosto interessante: «Forse dovrebbero. Se continui a fare le cose scorrettamente, le persone si organizzeranno per cambiarle».

E’ quello che stanno facendo diverse porzioni di classe negli States, dai corrieri ai metalmeccanici, dai lavoratori della ristorazione agli infermieri, che sono ora disposte a “rumble”, cioè a “combattere”. Letteralmente “picchiarsi per strada”.

Are you going to rumble?”, ha chiesto il segretario della UAW in un grande meeting, raccogliendo le ovazioni degli operai.

Un ottimo segnale.

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1 Commento


  • Mauro

    Qui , invece,si sciopera ogni tre mesi x 4ore…ma anche no…

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