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Gabon: un altro colpo alla Françafrique ?

Il colpo di stato militare che ha messo fine a 56 anni di potere della petro-dinastia della famiglia Bongo, è stato annunciato alla televisione nazionale del Gabon – paese di due milioni e mezzo di abitanti ricco di risorse, in particolare forestali ed energetiche, situato sulla costa atlantica dell’Africa Centrale- da una dozzina di ufficiali dell’esercito, delle forze speciali e della polizia.

Pochi istanti prima, intorno alle 3,30 del mattino, la commissione nazionale incaricata delle elezioni aveva proclamato vincitore con il 64,27% dei voti Ali Bongo, il capo di Stato uscente.

La reazione dei militari è stata immediata. Bongo è stato messo in residenza sorvegliata, suo figlio Noureddin arrestato e accusato di malversazioni finaziarie, internet ristabilito, il coprifuoco tolto e un comunicato letto al piccolo schermo: “L’organizzazione dell’elezione presidenziale del 26 agosto non ha rispettato le condizioni di uno scrutinio trasparente credibile e inclusivo.

A questi fatti si aggiunge una governance irresponsabile e imprevedibile, che si traduceva in un degrado sistematico della coesione nazionale che rischiava di far sprofondare il paese nel caos. Oggi, 30 agosto 2023, noi, forze della difesa e della sicurezza, riunite nel Comitato per la transizione e la restaurazione delle istituzioni (CRTI), abbiamo deciso di difendere la pace e metter fine all’attuale regime“.

Di conseguenza, i risultati dello scrutinio, considerati soggetti a frodi massicce, sono stati annullati e tutte le istituzioni, Parlamento e governo compresi, sono state sciolte.

Questi eventi di portata storica – il Gabon, vecchia colonia facente parte dell’Africa equatoriale francese (AEF) – è stato da sempre, a partire dall’indipendenza “negoziata” del 1960, uno degli Stati emblematici della Françafrique, il sistema mafioso di corruzione e predazione che permette ancora oggi a Parigi di mantenere il controllo politico, economico e militare sui paesi del suo ex impero coloniale – sono stati accompagnati da un’esplosione di gioia e di sollievo popolari e delle manifestazioni spontanee si sono svolte nelle strade di Libreville e Port-Gentil, capitali amministrativa e economica.

Tra i primi commenti, quello dello storico Amzat Boukari-Yabara, figura importante della corrente panafricana contemporanea e autore di Africa Unite! Une histoire du panafricanisme (non tradotto in italiano): “Aspettando il seguito degli avvenimenti con saggezza e lucidità, dato che un sistema neocoloniale come quello del Gabon non si sradica in qualche ora, che piacere di vedere il popolo gabonese felicitarsi di un colpo di Stato mlitare immediato contro l’ultimo colpo di Stato elettorale d’Ali Bongo!“.

Presidente della repubblica dal 2009, alla morte del padre Omar che occupava la presidenza dal 1967, Ali Bongo stava imbrogliando in un terzo mandato incostituzionale ed era pronto a mantenersi al potere dopo aver manipolato i risultati delle votazioni.

Sabato 26, alla fine delle operazioni di voto, il suo rivale, Albert Ondo Ossa, aveva denunciato una serie di frodi orchestrate dal campo avverso. Due giorni dopo, aveva esortato Bongo ad accettare la sua sconfitta senza provocare un bagno di sangue.

Nel 2016, quando Jean Ping, concorrente alle elezioni presidenziali di quell’anno, aveva contestato la vittoria di Ali Bongo, messa perlatro in discussione dai responsabili della società civile con prove di numerosi brogli alla mano, alcune unità dell’esercito avevano compiuto dei massacri di civili che protestavano contro la rielezione fraudolenta di Bongo.

Cosa altrettanto grave, questi attacchi si erano svolti con l’accordo delle autorità militari francesi presenti sul posto. L’assalto da parte delle forze speciali gabonesi del quartier generale di Ping, dove avevano trovato rifugio centinaia di persone, era situato in prossimità del campo “Charles De Gaulle” del contingente militare francese in Gabon.

Nel frattempo, con la Francia che segue la situazione “con la più grande attenzione“, secondo le dichiarazioni di Elisabeth Borne, primo ministro, la Cina dal canto suo, ha invitato le “parti implicate a garantire la protezione d’Ali Bongo“.

Wang Wenbin, portavoce della diplomazia di Pechino, ha auspicato davanti alla stampa un “ritorno immediato all’ordine normale“. Una posizione dettata da una realpolitik che non tiene conto degli interessi dei Gabonesi che, dal 1960, patiscono sotto il giogo di una dittatura da operetta. E che si spiega col rafforzamento recente della cooperazione economica tra l’Impero di Mezzo e Libreville.

Ad aprile, Bongo si era recato in Cina, che da nove anni è il primo partner commerciale del Gabon, con interessi particolari nei settori del petrolio, dell’agricoltura e delle miniere.

Tuttavia, in questi tempi di risveglio anti-imperialista e di messa in discussione di un ordine mondiale ormai fatiscente e votato alla sua dissoluzione, le forze motrici di questa dinamica emancipatrice – e la Cina ne è una -, che evoca la Conferenza di Bandung (1959) e la Tricontinentale (1966), potrebbero distinguersi per un sostegno conseguente ai movimenti in lotta contro le antiche, ma ancora presenti, forme di dominazione. E la Françafrique ne è certamente una delle più importanti.

Per quello che riguarda Parigi, la perdita del suo feudo gabonese costituirebbe un altro grave smacco dopo il Mali e il Burkina Faso, mentre la crisi del Niger è in corso.

Il gruppo minerario francese Eramet, con 8000 dipendenti, ha interrotto le sue attività da qualche ora. Mentre la multinazionale francese Total, che sfrutta la manna petrolifera, si è limitata a dichiarare che la sua priorità è di “garantire la sicurezza dei suoi impiegati e delle sue operazioni“.

Ma quando si parla di Francia, si deve considerare che, nonostante tutto e benché importanti, i suoi interessi economici vengono dopo il mantenimento e la proiezione della potenza militare, vettore principale della “grandeur” francese.

In Gabon, la Francia, come abbiamo visto, dispone di una base. Il suo Stato-maggiore agisce sul piano regionale anche se i suoi interventi, a livello soprattutto della formazione e della definizione di strategie comuni, sono discreti e dissimulati.

Ma i contatti con le alte sfere delle FARDC della Repubblica democratica del Congo sono noti e pongono numerose questioni sul piano, per esempio, dottrinale: difficile non pensare a un’influenza francese sul posto e nei confronti di un esercito – le FARDC – che da 9 anni pratica massacri reiterati di civili in applicazione della famosa dottrina della “Guerra Rivoluzionaria”, fiore all’occhiello delle teorie della Scuola militare di Parigi.

C’è da aggiungere a questo quadro che la Scuola militare a vocazione regionale di Bamako (Mali), installata dai francesi, è stata chiusa nel 2022, in seguito alla crisi con le autorità locali, e riaperta poco dopo in Gabon, sempre con il concorso della Cooperazione di Parigi.

Il tutto certifica di una volontà irrinunciabile d’espansionismo militare, sulle cui prospettive ci si interroga in seguito al colpo di forza di oggi.

Del generale Brice Ougui Nguema, il comandante della Guardia Repubblicana che ha diretto il putsch, e quindi nuovo uomo forte del paese, non si conoscono le intenzioni. Si sa solo che è un cugino di Bongo, con cui aveva avuto un contenzioso all’inizio del mandato di quest’ultimo.

Inviato all’estero, era rientrato nel 2019 e, due anni dopo, era stato nominato a capo della Guardia Repubblicana.

Il suo profilo non è particolarmente noto e il suo comportamento a venire nei confronti della Francia resta un’incognita.

Quello che è certo è che gli avvenimenti gabonesi dovrebbero iscriversi nell’onda liberatoria, e se si vuole panafricana e sovranista, cha scuote da qualche anno l’Africa.

Le differenze più o meno marcate tra i colpi di Stato in Mali, Guinea, Burkina Faso, Niger e Gabon non sembrano mettere in discussione il portato emancipatore dalla Françafrique e dalle ingerenze imperiali di questi eventi.

Essi fanno anche parte e sono espressione conseguente della crisi irreversibile del governo unipolare del pianeta sotto il dominio dell’Occidente e dell’emergere del nuovo ordine mondiale fondato sull’idea e la pratica del pluripolarismo.

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1 Commento


  • Marco Speciale

    Da cittadino di uno stato occidentale intanto chiedere scusa a tutti i paesi colonizzati per tutto quello che gli stati occidentali a cominciare dalla Francia hanno combinato in Africa
    Poi togliere immediatamente le tende, mani e piedi, a cominciare dai militari e pseudo cooperazione, da tutti gli stati africani
    Terzo, risarcimento totale di tutte le depredazioni, sfruttamenti umani e materiali, e di tutte le violenze fisiche e psicologiche subìte in più di due secoli
    Quarto cominciare a trattare da pari a livello umano ed economico con tutti i Popoli Africani
    Quinto ed ultimo, quando si tratta con loro, i nostri politici e industriali, prima dell’incontro e della stretta di mano, devono genuflettersi ed inchinarsi come fanno i giapponesi, almeno per un tempo pari a tutti i secoli di barbarie, come segno di vergogna a memoria dell’onta perpetrata

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