Scadenza significativa delle nuove relazioni tra l’America Latina e l’Africa, il viaggio della vice-presidente colombiana Francia Marquez in Etiopia, Kenya e Sudafrica ha segnato un’importante accelerazione delle dinamiche interne al mondo multipolare in gestazione.
«Oggi si apre un capitolo fondamentale delle relazioni internazionali della Colombia nella prospettiva della cooperazione Sud-Sud, della giustizia razziale e climatica e delle riparazioni storiche». A maggio scorso, alla vigilia del suo viaggio in tre paesi africani, la vice-presidente colombiana Francia Marquez ha spiegato sul suo profilo twitter le ragioni e gli obiettivi di un’iniziativa di portata storica.
Il popolo colombiano ha vissuto anni di brutalità da parte della polizia e delle forze armate direttamente o indirettamente a guida statunitense; nessun rappresentante istituzionale si è mai posto il problema di andare incontro alle esigenze della popolazione a carattere-contadino-indigeno campesinos.
Migliaia e migliaia di famiglie sono state divise e sottoposte a massacri, a bagni di sangue. Anche i cosiddetti villaggi contadini in cui si è detto in passato ci fosse la possibilità di far vivere la gente umile e sofferente erano in realtà baraccopoli; nella migliore delle ipotesi con migliaia di persone, bambini, anziani, donne, famiglie a cui non solo è stato negato il diritto all’abitare e a una vita dignitosa ma addirittura hanno dovuto in continuazione combattere contro fame, sete e per la sopravvivenza quotidiana.
Dove anche le necessità di base non sono state mai garantite, la maggior parte dei campesinos e indios hanno vissuto con dignità e in piena condizione di resistenza per portare avanti le proprie ragioni di vita.
Nonostante gli abusi e soprusi, le stragi e gli attacchi della polizia e gli attacchi dei corpi paramilitari, la dignità è rimasta indenne, la dignità afro-indigena; quella dignità che porta nella sua ragione di esistere le parole che da sempre in maniera chiara hanno detto i popoli dell’Africa e sono state anche dette da Mandela e da Fidel Castro “schiavi mai!”.
Questi popoli hanno cercato di trovare insieme una soluzione per una possibilità che dia loro una vita dignitosa, una possibilità che parte dalla dignità di battaglia di idee e di lotta a difesa della terra e contro ogni latifondo.
Il problema della droga che continua, costituisce un vero e proprio punto di snodo per i popoli della Colombia e dell’America indo-africana è originato fin dall’inizio dall’enorme domanda di cocaina da parte degli Stati Uniti, dove i governi mai hanno deciso di combattere il traffico in maniera decisa, mentre hanno sempre assegnato momenti di controllo repressivo della Colombia e dei paesi del Sudamerica per mantenerli in uno stato di sottosviluppo e mantenere schiavi masse interne intere di contadini che coltivavano la foglia di coca come si coltiva il caffè il caffè, i prodotti della tradizione appunto del Sud America.
L’attacco alle popolazioni indigene con la follia di accusare i campesindios che la masticazione delle foglie di coca – pratica religiosa che si perde nella notte dei tempi- fosse invece equiparata al traffico e al consumo della cocaina.
Le popolazioni indigene sono state sottoposte anche a progetti di sfollamento, popolazioni intere sono state sradicate dai loro territori e sono stati assolutamente depredate dai loro bisogni anche spirituali e nativi. Il vero obiettivo era quello ovviamente di favorire il narcotraffico verso gli Stati Uniti, paese al mondo maggior consumatore di cocaina, e per depredare il paese dalle risorse naturali a partire dal petrolio.
Il controllo di ogni attività economica che è stata colpita militarmente o tassata per consolidare l’influenza delle oligarchie e del colonialismo, post colonialismo e imperialismo e per realizzare un vero e proprio sterminio delle popolazioni indigene da parte dei paramilitari.
Sono comunità che hanno tentato di reagire cercando anche attraverso l’allegria e la cosmo visione attraverso la lotta anche dura di farsi appunto protagonista con coordinamenti permanenti fra i popoli nativi colombiani, i popoli indo africani, con opposizione al neoliberismo all’imperialismo. I governi che in decenni hanno completamente ucciso l’anima oltreché i corpi delle popolazioni indigene.
Prima vice-presidente afro-discendente uscita da un’alternaza inedita -la prima a sinistra nella storia del paese-, che ha portato al potere il presidente Gustavo Petro, eletto a giugno dell’anno scorso alla testa della coalizione progressista «Pacto Historico», questa militante «decoloniale» ed ecologista è una delle principali promotrici della svolta nelle relazioni internazionali del suo paese che ora si aprono a nuove forme di cooperazione con le nazioni dell’emisfero meridionale.
La politica estera colombiana, dettata da più di un secolo dalla «stella polare» statunitense, si muove adesso in tutt’altra direzione.
Una volta finita l’epoca dell’allineamento marziale sugli interessi di Washington, inaugurata una settantina d’anni fa con la sua partecipazione -in quanto solo paese sud-americano- a la guerra di Corea (1951-53), la Colombia aveva cominciato ad emanciparsi dell’ingombrante tutela dello Zio Sam subito dopo l’elezione di Petro. Alla fine d’agosto del 2022 vengono ristabilite le relazioni diplomatiche col Venezuela, che erano state sospese nel 2020.
Nella stessa occasione, le autorità prendono ufficialmente posizione contro le sanzioni americane applicate contro Caracas dagli USA. Coerentemente con questa svolta politica, Bogotà uscì dal Gruppo di Lima, costituito nel 2017 sotto comando americano nella capitale peruviana.
Vi prendevano parte i paesi latino-americani governati dalla destra e la sua intenzione dichiarata era il rovesciamento delle autorità bolivariane dirette dal presidente Nicolas Maduro.
Rottura col passato
La Colombia è un paradiso che contrappone le bellezze naturali e le bellezze dei suoi popoli indigeni afro-discendenti con la grande contraddizione del dominio colonialista ed imperialista, che ne ha fatto per molti decenni un paese insanguinato e che ancora oggi, nonostante le grandi politiche progressiste democratiche del presidente Pedro, vive la condizione del ricordo e della attualità di quelle atrocità imposte da settori dell’esercito e quindi dai narcotrafficanti.
I sorrisi delle donne, i sorrisi della gente indios rilassata e cordiale, i contadini hanno nella loro anima le atrocità, che però non sono riuscite a distruggere i valori ancestrali e i valori indigeni e della cultura indo-africana e rurale; le comunità di contadini hanno vissuto l’emarginazione più totale per decenni con aggressioni frequentissime, con attacchi mercenari, con attacchi dei narcotrafficanti e una continuità di aggressività militare e paramilitare.
Noi pensiamo che ovviamente le realtà oggettive parlano chiaro e cioè gli Stati Uniti mai sono stati amici della Colombia e di tutti i popoli dell’America del sud, della Nuestra America Indo africana.
Per più di un secolo e mezzo i territori della Colombia sono stati saccheggiati delle proprie risorse naturali, gli Stati Uniti hanno aggredito la cultura oltre che i territori, hanno aggredito e sabotato ogni intento unitario di lotta e di affermazione dell’indipendenza e dell’autodeterminazione e hanno posto addirittura un conflitto, chiamiamolo, tra poveri all’interno delle società indigene.
Durante gli ultimi sessant’anni i colpi militari e la tirannia assolutamente assassina da parte degli Stati Uniti hanno significato centinaia di migliaia di Desaparecidos, di torturati, di assassinati in Colombia come nel centro e nel sud America; le scuole militari del paese si sono formate con le scuole golpiste di torturatori e la gravità di ogni crimine contro i popoli è una responsabilità di genocidio dei governi terroristi degli Stati Uniti e dei loro lacchè esterni che hanno governato la Colombia prima del presidente democratico e progressista Pedro.
Le FARC hanno portato avanti un grande processo rivoluzionario in Colombia, con un’idea di autodeterminazione e di creare un esercito di liberazione reclutando anche oltre 30.000 uomini e questo esercito si è mosso all’interno dei territori indigeni campesinos portando avanti uno straordinario sforzo di guerriglia e rendendo difficile la penetrazione da parte del nemico; le FARC per loro concessione operativa mai hanno portato avanti attacchi terroristici ma l’esperienza di guerriglia è stata sempre coordinata con le forze del territorio e con le forze appunto popolari.
Ancora oggi dopo i processi di pace che si sono realizzati a Cuba ci sono ancora migliaia di prigionieri politici e prigionieri di guerra. Ovviamente bisogna riflettere fino in fondo su quelli che sono i processi di realizzazione di una pace che sia una pace dignitosa per tutti e che apre la possibilità finalmente dell’autodeterminazione della Colombia, dei popoli indigeni, salvaguardando i grandi valori materiali spirituali ancestrali di queste popolazioni.
Fa parte di questa rottura col passato la visita, nel maggio scorso, della vice-presidente a Pretoria, Nairobi ed Addis-Abeba, le tre capitali del Sudafrica, Kenya e Etiopia. Una viaggio definito di «riconnessione e di opportunità», formula suggestiva che evoca le origini africane di gran parte della popolazione colombiana.
La scopo della tournée diplomatica era quindi stato individuato nel ristabilimento dei legami con il continente nero per lavorare in comune sui diversi dossier riguardanti le guerre e i conflitti – in particolare sui temi della pace e della riconciliazione -, la lotta contro il razzismo e la difesa dell’ambiente nel quadro della crisi climatica.
Tale prospettiva era stata presa in conto dal neo-presidente Petro durante la presentazione della sua «agenda del cambiamento sociale», in vista della realizzazione di «grandi accordi nazionali» che avrebbero anticipato la formazione di una coalizione di governo aperta al centro e alla destra moderata.
Nella stessa circostanza, il capo dello Stato aveva colto l’occasione del suo discorso inaugurale della magistratura suprema per affermare che la Colombia progettava di stabilire delle alleanze economiche durevoli e stabili con i paesi africani.
Quando, alla vigilia della partenza di Francia Marquez per l’Africa, l’opposizione di destra aveva scatenato una virulenta campagna politica e mediatica contro la vice-presidente (un «safari costoso», aveva intitolato il settimanale conservatore Semana), del resto considerata frutto di «razzismo puro e semplice», Petro non aveva esitato a manifestare la sua solidarietà a quella che era stata la sua principale alleata nella battaglia per la presidenza: «La Colombia deve rivolgersi al mondo intero, a tutta l’umanità. Nel nostro paese, vivono dei Neri e dei Mulatti, noi veniamo anche dall’Africa, con la quale ci uniscono cultura e interessi comuni», aveva allora affermato.
D’altronde, nulla di differente si può dire a proposito dei legami storici tra l’Africa e la Colombia. Secondo le statistiche ufficiali, più del 10% dei 51 milioni di abitanti del paese sono i discendenti degli schiavi africani della Tratta transatlantica, deportati dai conquistadores tra il 1510 e il 1851 sulle coste colombiane dei Caraibi e del Pacifico Sud per essere sfruttati nelle miniere del Choco, nelle piantagioni della canna da zucchero e nei cantieri delle ferrovie.
Senza dimenticare che questa cifra del 10% è soggetta a cauzione perché, secondo altri computi non ufficiali, gli Afro-discendenti colombiani sarebbero all’incirca il doppio.
Ora, chi avrebbe potuto incarnare questi legami con l’Africa meglio di Francia Marquez, la militante indigenista figlia di questa storia secolare, nata da una famiglia povera della città di Cali, centro situato a due ore dalla costa del Pacifico, dove la comunità afro-colombiana è la più importante del paese?
Il ruolo propulsore di Algeri e di Bogotà
La programmazione di questi nuovi partenariati con le nazioni africane era già stata abbozzata subito dopo la formazione della prima compagine dell’esecutivo. All’epoca, un accordo-quadro per rafforzare l’assistenza tecnica colombiana in Africa fu firmato tra l’Agenzia colombiana di cooperazione internazionale e l’Agenzia di sviluppo dell’Unione africana.
Queste interazioni inedite tra forze emergenti che sostengono l’avvento di un ordine internazionela più giusto e multi-polare, ricordano sia lo spirito della Conferenza di Bandung (Indonesia) – dove 29 paesi non-allineati affermarono nel 1955 la volontà d’indipendenza di tutti i popoli dell’Africa e dell’Asia – che quello della Tricontinentale del 1966 a L’Avana (Cuba), che raggruppava 82 paesi del Sud in lotta contro l’imperialismo e la globalizzazione.
Esse sono, come si vede, promosse dai paesi più determinati nell’opporsi all’asse di dominazione euro-atlantico e suggeriscono la visione del Multicentrismo nelle relazioni internazionali e la dinamizzazione degli scambi e della cooperazione tra i paesi del Sud Globale.
Comunità che hanno vissuto in condizioni realmente disumane e che, pur nella loro legittimità e grandi valori di vita, sono state reputate illegali, sono state allontanate dal loro territorio. Sono state senza acqua; costrette a lavori umili e molto faticose: trattate come schiavi e animali da trasporto che hanno causato loro malattie per fame e malattie da lavoro.
E’ difficile contare i morti tra gli sfollati, tra gli emarginati, la mancanza di lavoro, la mancanza di opportunità per il futuro, le atrocità sui bambini inflitte dai mercenari da forze armate a guida statunitense e CIA e della cosiddetta polizia antidroga che invece tutto ha fatto meno che combattere il traffico di droga; anzi favorendolo e occupando spazi e interi territori della Colombia con basi a carattere militare per controllare ogni forma di ribellione e ogni forma di possibilità di avanzamento di poli progressisti democratici o rivoluzionari.
In tale contesto di rapporti in piena evoluzione tra l’Africa, l’America Latina e i Caraibi, la Colombia ha svolto un ruolo-pioniere che ha ricevuto il sostegno dell’Algeria. Non è stato un caso che, due settimane prima della partenza della Marquez per l’Africa, l’ambasciatore d’Algeri a Bogotà, Ahmed Hachemi, aveva consegnato alla stampa e alle autorità un documento intitolato «Algeria-Colombia : insieme per una relazione strategica tra l’Africa, l’America latina e i Caraibi».
comunicazione si era svolta nel quadro di un seminario sulle relazioni tra l’Africa e la Colombia organizzato dal Senato colombiano e Hachemi ne aveva approfittato per fare riferimento ai numerosi progetti che Bogotà e Algeri vogliono portare avanti «per il bene dell’Africa, dell’America latina e dei Caraibi».
L’intervento del rappresentante d’Algeri all’attenzione dei membri del Senato colombiano alla vigilia del viaggio della vice-presidente in Africa non era certo un’iniziativa estemporanea. Dieci mesi prima, i rapporti bilaterali tra i due paesi si erano sviluppati con la creazione dei gruppi parlamentari misti delle amicizie colombo-algerine: «Una tappa importante per i due paesi, in vista del consolidamento dei legami d’amicizia tra i due popoli, e della promozione della cooperazione parlamentare bilaterale e multilaterale nel rispetto dei principi, dei valori e degli interessi comuni tra i due paesi», secondo il testo dell’accordo.
Una pagina di storia è stata voltata
Trattandosi di fare un bilancio della tournée africana, si deve sottolineare l’importanza simbolica, economica e politica dei paesi scelti come destinazione. Se l’Etiopia, solo paese africano a non essere stato colonizzato dagli invasori europei, è la sede dell’Unione Africana (UA), gli altri due sono ugualmente caratteristici della volontà d’emancipazione e di auto-determinazione passata e presente del continente.
Liberatasi dagli orrori dell’apartheid, un regime particolarmente odioso e traumatico di segregazione razziale, il Sudafrica è membro del BRICS (con il Brasile, la Russia, l’India e la Cina), cha a partire da ottobre sarà BRICS (Plus), allargato all’Argentina, Etiopia, Iran, Emirati, Arabi Uniti, Arabia Saudita e Egitto, l’alleanza dei paesi che sono alla testa del movimento d’erosione e di contestazione del dominio americano ed europeo nelle relazioni internazionali.
Il Kenya dal canto suo, è uno dei membri trainanti della potente organizzazione regionale della Comunità dell’Africa dell’Est e, in quanto tale, molto attivo e presente nella gestione della crisi della Repubblica democratica del Congo, dove si oppone con fermezza alle posizioni guerrafondaie della Francia e degli Stati-Uniti.
Nairobi è anche tra i più determinati nel sostegno al processo di dedollarizzazione in Africa, una delle grandi sfide in corso nel confronto tra l’area dei paesi che si battono per il Multicentrismo e il blocco occidentale.
A conclusione del suo viaggio, Francia Marquez è tornata in patria con 17 accordi di cooperazione firmati e riguardanti i settori del commercio, dell’educazione e della cultura. Durante le discussioni svoltesi a Pretoria, Nairobi ed Addis-Abeba, le diverse componenti della delegazione colombiana hanno messo a disposizione dei loro interlocutori le proprie competenze in materia di energia, di estrazione delle risorse minerali, delle problematiche legate alla terra e all’agro-alimentare. In tutti questi settori, diverse forme forme di partenariato sono state prospettate.
Ovunque durante il suo viaggio, secondo molti osservatori, le considerazioni e i contributi della Marquez sono stati apprezzati e presi in considerazione. Ed è importante sottolinearlo perché la vice-presidente colombiana si situa chiaramente nelle prospettiva decoloniale tipica della sinistra latino-americana.
Prospettiva che si pone in maniera radicalmente critica nei confronti delle attuali politiche economiche, considerate come un prolungamento della dominazione coloniale, e che integra l’urgenza di aiutare tutte le comunità del Gran Meridione a svilupparsi in maniera diversa, cioè a partire dalle loro concezioni del mondo e dalla loro filosofia della vita, chiamate Buen Vivir dagli Amerindiani e Ubuntu, come in Africa, dagli Afro-Colombiani.
«Come tutti i paesi dell’America latina, la Colombia ha per molto temo voltato le spalle all’Africa e i luoghi comuni sull’Africa sono ancora largamente diffusi in Colombia», spiegava prima della tournée della Marquez il professore Jeronimo Delgado, responsabile degli Studi africani all’Università Externado di Bogotà.
L’iniziativa diplomatica della vice-presidente afro-discendente permetterà con tutta probabilità di voltar pagina, cambiare questo stato di fatto ed aprire una nuova era anche sul piano interno del riconoscimento dell’identità culturale delle popolazioni afro-colombiane.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa