Tre paesi sudamericani hanno deciso di prendere provvedimenti contro Israele, un quarto ci sta ancora pensando: la Bolivia ha annunciato di aver interrotto le relazioni diplomatiche, il Cile e la Colombia hanno richiamato i loro ambasciatori a Tel Aviv.
Il Venezuela, al momento, si è limitato a condannare l’attacco di Tel Aviv al campo profughi di Jabaliya.
Sono i primi effetti, in Sudamerica, del conflitto in corso in Medio Oriente.
La Bolivia, governata dal presidente di sinistra Luis Arce, è il primo Paese latinoamericano a prendere le distanze dallo Stato ebraico dallo scoppio della guerra, “come segno di rifiuto e condanna dell’aggressiva e sproporzionata offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza“, ha dichiarato il viceministro degli Esteri Freddy Mamani in una conferenza stampa.
Il segretario generale della Presidenza, Maria Nela Prada, ha annunciato l’invio di aiuti umanitari alla Striscia di Gaza. “Chiediamo la fine degli attacchi (…) che finora hanno causato migliaia di morti tra i civili e lo sfollamento forzato dei palestinesi“, ha aggiunto.
Per la verità, la Bolivia aveva già interrotto le relazioni diplomatiche con Israele nel 2009. L’intenzione dell’ex presidente di sinistra Evo Morales era quella di protestare contro gli attacchi israeliani nella Striscia di Gaza, anche se La Paz aveva riconosciuto uno Stato palestinese fin dagli anni Ottanta.
I legami diplomatici erano poi stati ristabiliti nel novembre 2019 da un governo provvisorio di destra, prima che Luis Arce, all’epoca candidato di Morales, vincesse le elezioni presidenziali del 2020.
Il governo cileno, invece, ha voluto richiamare il proprio ambasciatore in Israele, Jorge Carvajal, per consultazioni a causa delle “inaccettabili violazioni del diritto internazionale umanitario che Israele ha commesso nella Striscia di Gaza“.
“Il Cile condanna fermamente e nota con grande preoccupazione che queste operazioni militari – che in questa fase del loro sviluppo comportano una punizione collettiva della popolazione civile palestinese a Gaza – non rispettano le norme fondamentali del diritto internazionale“, ha dichiarato il governo in un comunicato.
Il governo cileno ha sottolineato che ciò “è dimostrato dalle oltre ottomila vittime civili, per lo più donne e bambini“. Inoltre, il ministero degli Esteri ha ribadito l’appello del Paese sudamericano per la “fine immediata delle ostilità“.
A rincarare la dose è stato il presidente del Cile, Gabriel Boric, che ha accusato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di “violare apertamente il diritto internazionale” con le azioni dell’esercito contro i civili a Gaza, in particolare con le azioni di ieri quando un bombardamento israeliano ha causato almeno decine di morti in un campo profughi a Jabalia.
“420 bambini vengono feriti o uccisi ogni giorno a Gaza dallo Stato di Israele guidato da Netanyahu. Non sono ‘danni collaterali’ della guerra contro Hamas, ma le sue principali vittime, insieme a civili innocenti, soprattutto donne. Fonte? Il capo dell’UNICEF“, ha scritto il leader cileno sui suoi social network.
Come il Cile, anche la Colombia ha annunciato di aver richiamato il proprio ambasciatore in Israele per consultazioni.
Il presidente colombiano Gustavo Petro ha accusato lo Stato ebraico di aver compiuto un “massacro“ di palestinesi nel corso della guerra a Gaza contro Hamas che il suo Paese non può tollerare.
All’inizio del mese, la Colombia ha chiesto che l’ambasciatore israeliano lasciasse Bogotà, dopo che Israele aveva annunciato di voler interrompere le esportazioni di sicurezza verso il Paese sudamericano a seguito delle dichiarazioni di Petro che aveva paragonato le azioni israeliane a Gaza al genocidio degli ebrei da parte della Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale.
A quanto pare, nei paesi abituati da sempre alla violenta ingerenza statunitense si vede con più chiarezza che un massacro è un massacro, e non c’è nulla che lo possa trasformare in un “diritto a difendersi”.
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