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Palestina mon amour

Ogni cosa a suo tempo. Così si diceva una volta, ma poi di tempo ne è passato troppo e le cose non sono state messe a posto.

Ora s’è fatto tardi, quasi per tutto.

Passato è il tempo delle ribellioni e poco ne resta per fare fronte al peggio che avanza.

Eppure lo sapevamo, noi che gentili non fummo, ma non abbastanza da scuotere l’indifferenza del mondo per i crimini commessi contro l’umanità più indifesa.

Ci sono molti modi di uccidere.

Si può uccidere una persona con le armi, privarla di cibo e acqua, impedirle di curarsi, confinarla in una prigione a cielo aperto, espropriarla della terra su cui è nata, spingerla al suicidio, negarle lo status di essere umano.

Nessuno di questi modi è proibito a Gaza e solo alcuni lo sono per il diritto internazionale.i

Per questo, a Gaza, si muore di più che in ogni altro luogo.

In questa striscia di terra c’è tutta l’indifferenza del mondo occidentale, l’immagine nascosta della sua ingannevole predicazione universalistica.

Gaza è una bugia, il significante osceno di un linguaggio che ammicca all’esistenza di un mondo capovolto: l’apartheid ammicca ai diritti; i diritti ammiccano alle libertà; le libertà ammiccano alle privazioni che ammiccano ai bisogni, alla terra, e a tutto ciò che è vanto e gloria del mondo occidentale, ingessato com’è dentro una colossale menzogna.

Gaza è inumana e perciò sfugge a qualsiasi rappresentazione, anche la più ardita che si possa concepire.

Vista in sezione, la struttura sociale del presente dovrebbe configurarsi all’incirca così: su in alto i grandi magnati dei trust dei diversi gruppi di potere capitalistici che però sono in lotta tra loro; sotto di essi i magnati minori, i grandi proprietari terrieri e tutto lo staff dei collaboratori importanti; sotto di essi – suddivise in singoli strati – le masse dei liberi professionisti e degli impiegati di grado inferiore, della manovalanza politica, dei militari e dei professori, degli ingegneri e dei capufficio fino alle dattilografe; ancora più giù i residui delle piccole esistenze autonome, gli artigiani, i bottegai, i contadini e tutti quanti; poi il proletariato, dagli strati operai qualificati meglio retribuiti, passando attraverso i manovali fino ad arrivare ai disoccupati cronici, ai poveri, ai vecchi e ai malati.

Solo sotto tutto questo comincia quello che è il vero e proprio fondamento della miseria, sul quale si innalza questa costruzione, giacché finora abbiamo parlato solo dei paesi capitalistici sviluppati, e tutta la loro vita è sorretta dall’orribile apparato di sfruttamento che funziona nei territori semi-coloniali e coloniali, ossia in quella che è di gran lunga la parte più grande del mondo. Larghi territori dei Balcani sono una camera di tortura, in India, in Cina, in Africa la miseria di massa supera ogni immaginazione.

Sotto gli ambiti in cui crepano a milioni i coolie della terra, andrebbe poi rappresentata l’indescrivibile, inimmaginabile sofferenza degli animali, l’inferno animale nella società umana, il sudore, il sangue, la disperazione degli animali.

Questo edificio, la cui cantina è un mattatoio e il cui tetto è una cattedrale, dalle finestre dei piani superiori assicura effettivamente una bella vista sul cielo stellato.ii

Gaza non si presta ad essere raffigurata così, la sua composizione sociale è tutta schiacciata verso il basso; non ci sono grattacieli e non esiste nemmeno un vero e proprio mattatoio. Non ci sono animali da macellare perché non c’è lo spazio per allevarli. Al loro posto si macellano prevalentemente bambini, tanti quanti ne sarebbero bastati in tutti questi anni, per risollevare gli indici di natalità di un paese come il nostro.

Gaza è il mattatoio dell’Occidente progredito e lassista; l’unica vista possibile dai piani superiori dei suoi palazzi, è un abisso di orrori che si apre sulla civiltà occidentale.

Dell’inganno e del disprezzo

Nel 2006 il settimanale francese Charlie Hebdo rilanciò delle vignette satiriche pubblicate in Svezia che ritraevano Maometto in varie fogge tra cui una dove, al posto del turbante, Maometto portava una bomba.

A seguito delle proteste delle comunità musulmane che chiedevano il ritiro del numero della rivista (non accettato dalle autorità), un gruppo di intellettuali francesi pubblicò un comunicato (il manifesto dei dodici) in cui scrissero:

Dopo aver sconfitto il fascismo, il nazismo e lo stalinismo, il mondo si trova ad affrontare una nuova minaccia globale di tipo totalitario: l’islamismo. Noi, scrittori, giornalisti, intellettuali, chiediamo la resistenza al totalitarismo religioso e la promozione della libertà, delle pari opportunità e della laicità per tutti. […] Chiediamo l’universalizzazione della libertà di espressione, affinché il pensiero critico possa essere esercitato in tutti i continenti, contro ogni abuso e ogni dogma. Facciamo appello ai democratici e agli spiriti liberi di tutti i paesi affinché il nostro sia un secolo di luce e non di oscurantismo.”

Nel 2008 Charlie Hebdo pubblicò una vignetta di Maurice Sinet (conosciuto come Sinè) in cui si ironizzava sulla conversione all’ebraismo del figlio dell’allora presidente francese Sarkosy. Sinè fu accusato di antisemitismo, motivo per cui il direttore della rivista gli chiese di scrivere una lettera di scuse che Sinè rifiutò di fare e quindi fu licenziato.

Il 16 ottobre 2023 Steve Bell, vignettista del quotidiano inglese Guardian, è stato licenziato per una caricatura di Nethaniau giudicata antisemita.

Nel 2011 Charlie Hebdo pubblicò altre vignette su Maometto a causa delle quali subì un attentato incendiario a cui fece seguito, nel 2015, un attacco sanguinoso di matrice islamica in cui furono uccisi, tra gli altri, sei collaboratori della rivista.

Pochi giorni dopo l’hashtag ♯ “je suis charlie”si diffuse in tutti i paesi europei come simbolo di rivendicazione e difesa dei valori Occidentali, in opposizione all’islamismo.

Nel 2020, in occasione dell’apertura del processo agli autori dell’attentato del 2015, il presidente Macron disse: ” In Francia abbiamo il diritto alla blasfemia e alla critica della religione. Ed io sono qui per farli rispettare.”

Dall’inizio di questo anno, in più di un paese europeo, si sono svolte manifestazioni di fronte ad ambasciate o sedi di rappresentanza di stati arabi. A Malmoe, Oslo, Copenaghen, sono state bruciate copie del Corano con il permesso delle autorità, perché ciò costituiva insindacabile diritto ad esprimere le proprie opinioni.

Dopo il 7 ottobre scorso (attacco di Hamas ad Israele e inizio della offensiva militare contro Gaza e la Cisgiordania) l’unico diritto ribadito universalmente è stato quello di Israele a difendersi, mentre ai palestinesi si è negato tutto, sia in patria che all’estero:

In Francia è stato impedito il diritto a manifestare in solidarietà con loro e due sindacalisti della CGT sono stati arrestati per “apologia del terrorismo”, a causa di un volantino distribuito a Lille che invitava a manifestare a sostegno dei palestinesi.iii

In Germania, oltre a vietare qualsiasi manifestazione in favore della Palestina, è stato introdotto il divieto agli studenti di indossare la kefia a scuola.

Henry Kissinger, a proposito delle manifestazioni pro Palestina, ha detto: “La Germania ha commesso un grave errore accogliendo un numero eccessivo di migranti appartenenti a culture, fedi religiose e idee del tutto differenti. L’accoglienza eccessiva ha creato un gruppo di pressione in ogni Paese”

Marco Rubio, senatore repubblicano del congresso Usa, rispondendo ad una domanda dell’intervistatore della CNN sulle vittime civili a Gaza, ha detto: “Non credo che ci si possa aspettare in alcun modo che Israele coesista o trovi qualche via d’uscita diplomatica con questi selvaggi…. Devono essere sradicati. E come tu hai sottolineato la sfida è molto difficile. Sarà incredibilmente doloroso. Sarà incredibilmente difficile. E sarà orribile, il prezzo da pagare.” iv

Il cancelliere tedesco Scholtz ha dichiarato: “La sicurezza dello Stato di Israele è un obbligo per noi e per la ragion di Stato tedesca. Siamo legati ai nostri partner e amici in Israele non solo storicamente, ma anche in una comunità democratica di valori”. Conseguentemente ha sospeso ogni tipo di aiuto alla Palestina.

Sul quotidiano Repubblica del 10 e 16 ottobre 2023, sono apparsi questi commenti: “La questione non è più la ricerca dell’intesa tra due popoli (arabi e israeliani) in vista di un’ardua convivenza pacifica, bensì lo scontro finale tra un Islam estremista che persegue la destabilizzazione totale e chi crede in quei valori occidentali di cui Israele è tuttora il testimone.” (Stefano Folli)

– “Nei kibbutzim intorno alla Striscia è stata infranta la legge morale alla base della nostra civiltà. Gli sventurati non sono stati semplicemente uccisi ma torturati, mutilati e squartati con deliberata ferocia non nascosta ma, al contrario, esibita, postata sulle reti sociali, con un obiettivo psicologico e uno politico. Terrorizzare l’intera popolazione d’Israele, rendere evidente l’inutilità di ogni tentativo di pacificazione come, per esempio, i colloqui in corso con l’Arabia Saudita.” (Corrado Augias)

– “ La negazione al diritto di esistere dell’Ucraina e di Israele viene perseguito (dalla Russia e dall’Iran, ndr) con ogni mezzo a cominciare da un progetto speculare di esportazione sistematica di instabilità e insicurezza in Europa e in Medio Oriente. Russia e Iran sono alleati fra loro. Ogni notte i droni Shahed di fabbricazione iraniani uccidono i civili nelle città dell’Ucraina e Vladimir Putin non ha esitato a paragonare, due giorni fa, l’azione militare di Israele contro Hamas nella striscia di Gaza all’eroica resistenza di Stalingrado durante l’assedio nazista. Difendere la libertà e il diritto ad esistere di Israele e Ucraina sono dunque un imperativo non soltanto per l’occidente ma per l’intera comunità delle democrazie.” (Gianni Vernetti)

Quest’ultimo commento, a prescindere dal suo contenuto, contiene una insopportabile travisazione della storia in quanto Putin non ha paragonato l’assedio di Gaza a Stalingrado, ma all’assedio di Leningrado la cui popolazione civile soffrì e morì letteralmente di fame e di malattie per l’impossibilità di ricevere aiuti alimentari e medicine, per questo Putin lo ha associato all’assedio di Gaza. La commissione d’inchiesta straordinaria sui crimini di guerra nazisti, presso il tribunale di Norimberga, stimò che l’assedio di Leningrado -durato 900 giorni – costò la vita a 642.000 civili.

Il ministro israeliano della difesa, Yoav Gallant, nel tentativo di giustificare il taglio di acqua, elettricità, cibo alla popolazione della Striscia di Gaza ha detto: “Stiamo combattendo contro animali umani e ci comportiamo di conseguenza”.v

Il ministro israeliano delle finanze, Bezalel Smotrich, ha detto: “L’esistenza di un popolo immaginario che rivendica diritti in Terra d’Israele serve solo a combattere il movimento sionista. Questa è la verità storica. Questa è la verità biblica. Il popolo palestinese è una invenzione che ha meno di cento anni. Hanno una storia, una cultura? No. Non ci sono palestinesi, ci sono solo arabi.”vi

Lo scrittore americano Jack Engelhard, ha detto: “ Biden ha invitato gli israeliani a non farsi accecare dalla rabbia e di tenere presente che a Gaza ci sono civili innocenti. Ma in guerra, per le regole di ingaggio, non esiste un premio per il secondo classificato o il miglior secondo, e i morti non hanno una seconda possibilità. O noi o loro. A Gaza non esistono civili innocenti, pertanto ogni vittima a Gaza è responsabilità di Hamas e dei vari terroristi che hanno trasformato la vegetazione lussureggiante in spazzatura e cellule terroristiche. Hamas ha dato il via a tutto questo. Israele deve porvi fine con giustificata ferocia biblica.”vii

Nel periodo compreso tra il 2008 e il 2023 (escluso il conflitto in corso) le vittime degli scontri tra Israele ed i palestinesi sono state: 308 per gli israeliani; 6407 per i palestinesi, di cui 5360 erano abitanti di Gaza. In pratica solo negli ultimi 15 anni, il 95% del totale delle vittime è costituito da palestinesi, di cui l’83% risiedevano a Gaza.viii

Dal 7 ottobre scorso ad oggi i bombardamenti israeliani su Gaza hanno causato più vittime che negli ultimi 15 anni.

Fuori dalla grande menzogna

Di tempo dunque, non ce n’è più per mettere a posto le cose in Palestina. Se mai ce n’è stato uno, nei decenni passati, è stato definitivamente rimosso dall’agenda politica del mondo. Chi tenta di ricordarlo, menzionando ciò che hanno subito i palestinesi in 75 anni di occupazione di questa terra, viene espulso dal consesso civile.

Sul periodico The Nation, Jack Mirkinson, scrivendo della guerra in corso in Palestina, si chiede: “A chi è concessa l’umanità e a chi no? Quali morti sono tragedie a cui vale la pena prestare attenzione e quali morti possono essere affrontate in pochi secondi? Quali sono i bambini che vale la pena conoscere? Su quale dolore vale la pena soffermarsi? E quali persone, di fronte a uno spargimento di sangue, meritano che il mondo metta tutto in pausa e si precipitino dalla loro parte? La risposta è chiara. I palestinesi vengono uccisi continuamente da Israele, anche quando protestano pacificamente. Ma il mondo non si ferma mai per testimoniare del loro dolore”.ix

Comunque si affronti la questione, chiamando in causa i diritti, le risoluzioni dell’Onu o le condizioni umanitarie in cui versano i palestinesi, il risultato non cambia: le ragioni della forza prevalgono su ogni altra considerazione e la forza, in questa caso, sta tutta dalla parte di Israele, non fosse altro perché la sua stessa nascita fu resa possibile con un atto di forza concordato tra le potenze dell’epoca.

Se ciò spiega come stanno le cose in pratica (cioè che i rapporti di forza materiali sono tali da consentire ad Israele di affrontare qualsiasi confronto), non ci fa capire come tutto ciò appaia e ci venga presentato come legittimo e giusto sul piano dei principi, a meno di operare uno scarto deciso nel nostro modo di affrontare questa vicenda, una rottura netta con le nostre stesse tradizioni culturali.

A mio avviso, la guerra di Palestina, pur con tutte le sue specificità, è entrata a far parte del quadro che delineai a proposito della guerra in Ukrainax: dietro ed oltre quella guerra c’è la messa in discussione del sistema mondo che conosciamo, delle sue regole e dei suoi meccanismi economici e amministrativi, ma soprattutto degli aspetti fondativi di quello che Samir Amin chiama “processo di costruzione” dell’Occidente, fondato sull’ellenismo, le radici giudaico-cristiane, l’interazione tra capitalismo e cristianesimo fino al vantato universalismo dei suoi valori etico-sociali.

La recente “espulsione” della Francia dai paesi dell’Africa nord occidentale è un sintomo inequivocabile di questa tendenza, nel cui solco si colloca oggi anche la guerra di Palestina.

Non c’è commento odierno infatti, da quelli più intransigenti a quelli moderati – di destra o di “sinistra” che siano – che sulla questione palestinese non metta avanti a tutto la difesa di quei valori occidentali di cui Israele è rappresentante o testimone.

E’ questa costruzione del mito occidentale che occorre mettere in discussione, il suo vantato primato morale edificato sulla menzogna e sugli artifici, come quello di fregiarsi del giudaismo in quanto tratto distintivo e fondante della civiltà occidentale. Ma quando mai?

Gli ebrei (la loro cultura e la loro religione), per secoli non hanno mai trovato cittadinanza nella vecchia Europa, risultandone al massimo tollerati, quasi sempre vilipesi o perseguitati con diversa intensità; né si può dire che le cose andarono diversamente nel nuovo mondo.

Nemmeno l’avvento del nazismo ha scosso questo atteggiamento, che ancora nel 1938, poco prima della notte dei cristalli, alla conferenza di Evian convocata per discutere della situazione degli ebrei tedeschi, nessuno tra i paesi presenti (salvo la Repubblica dominicana) si mostrò disposto ad accogliere gli ebrei.

Non la Francia, non l’Inghilterra né gli Stati Uniti che, anzi, negli anni successivi operarono restrizioni sui visti d’ingresso agli ebrei in fuga dall’Europa occupata dai nazisti pur conoscendo, ormai, cosa veniva inflitto loro da Hitler.

Ci sono volute le camere a gas, affinché la cattiva coscienza dell’Occidente cercasse rimedio a questa vergogna, ma la soluzione trovata dalle tre potenze vincitrici (con l’assenso incerto dell’Urss) per porre fine al perenne destierro degli ebrei, segnò l’inizio della questione palestinese.

Questione aggravatasi nel tempo anche a causa dell’aberrante principio di transitività riservato dall’Occidente al neonato stato di Israele: quello per cui l’intangibilità degli ebrei, dovuta loro come riparazione per gli immani torti subiti, si è tramutata nella intangibilità dell’operato dello stato ebraico, con il risultato che chi oggi critica Israele, per la proprietà transitiva su richiamata, è automaticamente antisemita.

E’ così che il cerchio dell’ingannevole universalismo dei valori occidentali si chiude. In Europa si può bruciare il Corano o sbeffeggiare Maometto perché, in ossequio alla libertà di espressione, c’è il diritto alla blasfemia, ma non si può manifestare per la Palestina o dire che lo stato di Israele pratica l’apartheid.

E non è questione solo di islamofobia come qualcuno sostiene, ma di smisurato narcisismo culturale, di inossidabile presunzione di rappresentare, sempre e comunque, il giusto e il bene per tutta l’umanità, per cui si dispensano condanne e meriti, sanzioni o premi, in base all’esclusivo criterio della supremazia dell’Occidente.

Si era visto già negli anni ‘90 con la guerra dei Balcani, quando l’ostilità ai serbi si era manifestata oltre ogni ragionevole critica a Milosevic e al governo della Serbia, si è ripetuto durante la guerra all’Ukraina con l’ostracismo e la censura di tutto ciò che era russo (scrittori, musicisti, sportivi), ed ora si sta configurando con la Cina.

«Lasciamo quest’Europa che non la finisce più di parlare dell’uomo pur massacrandolo dovunque lo incontra, a tutti gli angoli delle sue strade, a tutti gli angoli del mondo».

Non ci sono parole più chiare di quelle di Franz Fanon per descrivere il nocciolo della questione e come affrontarlo, anche perché l’assimilazione del conflitto medio-orientale a quello che si sta svolgendo in Ukraina tra Russia e Nato (con l’appendice di Taiwan in riferimento alla Cina) è cosa richiamata costantemente dall’establishment europeo e americano, tanto che Biden si appresta a chiedere al congresso Usa 105 miliardi di dollari per sostenere le guerre di Ukraina, Israele e Taiwan.

Contrastare questa tendenza alla guerra può apparire una impresa disperata, ma non bisogna mai dimenticare che se le guerre si fanno (soprattutto) con le armi, chi le fomenta ha bisogno di legittimarle, di carpire il consenso popolare, orientando l’informazione secondo due direttrici.

Da un lato si costruisce una immagine demoniaca del nemico, come sta succedendo con la Russia e la Palestina a cui una falsa informazione attribuisce le peggiori efferatezze: bambini israeliani decapitati da Hamas, bambini ukraini rapiti e deportati dai russi; bombardamento di ospedali; autoattentati (come quello del Nord Stream o della diga di Kakhovska).

Dall’altro isolando i singoli eventi dai processi che, se non li hanno determinati, certamente non vi sono estranei: l’invasione russa dell’Ukraina appare come un colpo sferrato a freddo che non ha relazione con i precedenti anni di guerra in Donbass, con l’abbandono degli accordi di Minsk o l’espansione della Nato verso est; così come l’attacco di Hamas e la strage di civili israeliani è presentato come l’evento monstre che cancella dalle cronache e dai commenti il mancato rispetto delle risoluzioni Onu da parte di Israele; la cacciata dei palestinesi dalle loro terre per darle ai coloni israeliani; le uccisioni dei palestinesi da parte dei coloni e dell’esercito israeliano, che assommano a cifre (per chi tiene a questi lugubri confronti) enormemente superiori alle vittime tra gli israeliani.

Operata questa separazione, ciò che resta e che viene presentato all’opinione pubblica, è il diritto di Israele a difendersi: insindacabile, indiscutibile e senza misura.

Ma, come ho detto, non basta chiamare in causa i diritti dei palestinesi, perché la legittimazione della strage che l’esercito israeliano sta compiendo a Gaza (il diritto di Israele a difendersi), non serve tanto ad Israele, quanto all’Occidente complessivo per giustificare l’appoggio incondizionato che esso gli ha sempre fornito sul piano economico e militare, ma che viene ostentatamente riferito, sempre e comunque, alla difesa di quei valori occidentali che Israele rappresenta.

E’ questa la grande menzogna da smentire, il soffocante e minaccioso imbroglio da cui dovremmo uscire. Oggi con la Palestina nel cuore; domani chissà.

* da La Bottega del Barbieri

i Rielaborazione di una frase di Bertolt Brecht

ii  Max Horkheimer, «Il grattacielo», da Crepuscolo.Appunti presi in Germania 1926-1931, Einaudi 1977

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