Fayez Badawi è nato in una terra che non era la sua. Durante la Nakba la sua famiglia fu espulsa dalla Palestina, così che dovette passare l’infanzia in un campo di rifugiati vicino Beirut. A dodici anni, vide la testa di suo padre sbattere contro il suolo sotto il piede di un soldato.
Quel giorno, ammesso che non fosse già da prima, cominciò la propria militanza. Dopo aver lottato molto, divenne portavoce in Europa del Fronte per la Liberazione della Palestina (FPLP), un’organizzazione laica e marxista-leninista che forma parte dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).
Oggi ha superato i settant’anni e la sua militanza consiste nello spiegare la resistenza del proprio popolo davanti alla barbarie sionista e capitalista. Quando diceva «Piuttosto morti che schiavi», Castelao [repubblicano, padre del nazionalismo indipendentista galiziano NdT] si riferiva ai palestinesi, dice Badawi in galiziano prima di cominciare l’intervista a El Salto Diario Galiza.
I mezzi di comunicazione occidentali si guardano bene dal parlare di genocidio e scrivono di una “guerra di Israele contro Hamas”. È d’accordo a parlare di guerra? Ed è una guerra contro Hamas?
No, i palestinesi non hanno un esercito e quello a cui stiamo assistendo è un genocidio, uno sterminio. I bambini e le bambine che stanno assassinando non sono di Hamas. Stanno distruggendo scuole, moschee e chiese.
Nelle sue ultime dichiarazioni il ministro della difesa israeliano – nazista e terrorista – diceva che i palestinesi si sarebbero ritrovati senza elettricità, acqua, cibo, medicine… Che sarebbero morti come animali.
E per quel che riguarda Hamas, si tratta di un’organizzazione recente, la lotta del popolo palestinese non è iniziata con Hamas.
Prima di tutto bisogna dire chiaramente che quando un popolo vive sotto occupazione ha diritto alla resistenza, in tutte le sue forme. È la legge internazionale in difesa dei popoli oppressi e espulsi dalla propria terra.
Dal 1948 al 1956 non c’è stata resistenza in Palestina, nell’indifferenza del diritto internazionale, cosa che portò alla nascita dell’OLP, formata d 13 organizzazioni palestinesi. Hamas nacque dopo l’inganno della comunità internazionale, orchestrato con la Conferenza di Madrid del 1991, con gli Accordi di Oslo e con la creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP).
Dicevano che sarebbe arrivata la pace, dal canto nostro sostenevamo che questo risultato sarebbe stato impossibile senza l’espulsione dei coloni e della macchina militare di Israele. Prima di questo inganno, in Cisgiordania c’erano 200.000 coloni.
Oggi sono un milione e formano non una società civile, bensí una società militare. Sono armati. Russi, ucraini, tedeschi, spagnoli, francesi, inglesi, nordamericani, argentini… È un’internazionale, un’internazionale fascista.
Lei si scontra politicamente contro Hamas però difende la unità della lotta e della resistenza
Siamo un popolo maturo e democratico, dobbiamo stare uniti. Hamas ha una ideologia, noi ne abbiamo un’altra. Abbiamo studiato. A chi non conosce la storia o condanna il “terrorismo di Hamas”, dico studiate la storia, leggete.
In Palestina ci sono molte organizzazioni con differenti ideologie. Siamo un popolo normale, come tutti i popoli del mondo, con gente cristiana, musulmana, ebrea, atea… Però questa canzonetta che ripete sempre “Hamas, Hamas…”, chi ci casca o è complice o non conosce la storia.
Hamas ha il diritto di difendere il proprio popolo. Hanno vinto le ultime elezioni democraticamente e hanno il diritto di governare, però l’Occidente si scandalizza. Mi spiego: quando voi scegliete l’estrema destra è democrazia, però quando il mio popolo sceglie Hamas, no. Perché?
I governi europei vogliono darci delle lezioni quando sono responsabili di catastrofi in tutto il mondo. Chi saccheggia l’Africa? Chi ha scatenato le guerre? Si compiono molti atti barbarici in nome della democrazia e della libertà. Però proibiscono le manifestazioni in favore della Palestina. È questa la libertà democratica?
Ci spieghi perché crede che la lotta armata sia una posizione rispettabile. Fino a che punto sono utili la resistenza pacifica e il diritto internazionale, dopo tutti questi decenni di apartheid e di risoluzioni inutili dell’ONU?
L’Autorità Nazionale Palestinese parla di resistenza pacifica, però quale resistenza? Quando i tank entrano a Gaza cosa gli diciamo? “Per favore, andatevene”? Certo che no! No, no, no!
Bisogna affrontare la situazione perché stiamo morendo ogni giorno. La mia famiglia, la famiglia accanto, tutto il mio popolo. Abbiamo il diritto di resistere usando tutti i mezzi. Noi non abbiamo mai fatto la guerra: ce l’hanno fatta gli altri.
Con quale diritto i coloni vengono dell’Europa a prenderci la terra? Quale diritto ha questa gente per espellere la mia famiglia? Per smembrarla? Ho parenti che se ne andarono in Libano, altri in Siria, altri in Giordania… Altri rimasero e sono perseguitati.
Nella “terra del 1948” – perché non dico mai “lo stato di Israele” – assassinarono centinaia di palestinesi, quelli che chiamano arabo-israeliani. Per questo la resistenza è…
Vediamo, prendiamo la resistenza del Vietnam. I vietnamiti si lasciarono schiacciare? E in Algeria? Siamo orgogliosi del popolo algerino perché dopo 132 anni di colonialismo francese riuscirono a liberarsene.
Noi siamo a metà strada e continuiamo in avanti. Mahmud Darwish [scrittore e militante palestinese NdT.]diceva: “Hanno provato ogni tipo di arma contro di noi. Ma l’incredibile è che non siamo morti”. E non possiamo morire. Non possono avere la meglio su un popolo, mentre gli israeliani sono soltanto uno stato fabbricato artificialmente.
Negli ultimi giorni il segretario generale dell’ONU ha ricordato l’occupazione. Crede che le immagini dello sterminio stiano danneggiando la reputazione di Israele o non c’è niente da fare in questo senso?
L’ONU non funziona a causa del veto americano, sono gli Stati Uniti che dirigono il genocidio contro il popolo palestinese.
Prendiamo la dichiarazione dei cinque – USA, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia. Tutti questi paesi, la UE e la Von Der Leyen devono essere portati davanti a un tribunale internazionale. Parlano tanto di Ucraina e poi non si schierano con il popolo palestinese.
Lo dico chiaramente: non mi fido dell’ONU così come non mi fidavo del trio delle isole Azzorre [George Bush, Tony Blair e José Maria Aznar NdT] che appoggiava il massacro in Irak. Dov’erano le armi di distruzione di massa? Oggi Israele è una base dell’imperialismo, del capitalismo e del suo braccio armato, la NATO.
In Occidente è difficile capire il contesto della resistenza armata in Palestina. I mezzi di comunicazione parlano costantemente di “terroristi”. Perché non abbiamo questa capacità di empatia, o di capire quello che sta accadendo?
Chomsky, di origine ebraica, diceva: “I mezzi di comunicazione mostrano la faccia angelica del capitalismo”. È questo il capitalismo che ci opprime. È la maggior parte dell’informazione che ci arriva. Se pronuncio una frase, la tergiversano, mi è successo molte volte. Quello che interessa è dare la colpa al più debole, alla vittima, e appoggiare il boia, in gran parte per gli interessi economici nella zona.
Noi distinguiamo tra mezzi di comunicazione e giornalisti. I giornalisti che raccontano quello che vedono sono assassinati. Fino a ieri, solo a Gaza erano 22 [l’intervista è del 28 ottobre NdT].
D’altro canto, che qualcuno mi spieghi in quale paese gli USA hanno mai portato la pace. Ora sono nel nord della Siria dove rubano il gas e il petrolio. Hanno appoggiato più di 36 dittature in America centrale e in America del Sud.
Questi sono gli USA, l’impero. I barbari sono loro. Ora dicono che abbiamo degli ostaggi. No, la resistenza ha catturato dei prigionieri e tali sono, ma non si preoccupano dei 7.000 prigionieri palestinesi in carcere.
Gli Stati Uniti hanno il controllo totale sul racconto della UE?
Si, sono tutti uniti. Per questo hanno inscenato la dichiarazione dei 5, capeggiati dalla signora Von Der Leyen. Siamo in un mondo unipolare che speriamo cambi. In un mondo multipolare, le cose sarebbero diverse, per noi palestinesi e per tutti i popoli del mondo.
Quanto dista questo cambiamento? Le immagini così dure dello sterminio possono influenzarlo in qualche modo?
Non abbiamo alcuna speranza nei governi dell’Unione Europea. Abbiamo fiducia nei suoi popoli, che si sono schierati con la Palestina. Ma se i governanti dell’UE non rispettano la propria gente, come si può pensare che rispettino i palestinesi?
Speriamo che i popoli rompano le relazioni commerciali con Israele, oltre alle cosiddette relazioni accademiche tra le università. Che rappresenta Israele in Eurovisione o negli europei di calcio?
Ringrazio per le bandiere palestinesi che riempiono lo stadio di Riazor. Questo è appoggiare il popolo palestinese, e questo è quello che non vogliono. Se c’è un cambiamento, sarà grazie ai popoli.
La lotta dei popoli può costringere i governi a cambiare il proprio atteggiamento?
Questo dipende dai popoli della UE. Noi dobbiamo andare avanti, morire e resistere. Esistiamo perché resistiamo come popolo.
I mezzi di comunicazione di solito presentano i palestinesi in modo molto semplice. Da un lato i malvagi, terroristi, fondamentalisti, dall’altro una società civile rappresentata normalmente da donne e bambini che non sono politicizzati e che vogliono solo continuare con la loro vita normale, come se il fatto di vivere nell’apartheid e sotto occupazione non rendesse inevitabile la politicizzazione e la lotta collettiva. È qualcosa che si percepisce velocemente quando si va in Cisgiordania. Quanto è complessa e collettiva la resistenza?
È il popolo che esige la resistenza. C’è un campo a Gaza, Jabalia, che è martoriato, e poco tempo fa c’è stata una manifestazione che ha chiesto più resistenza.
Mi ricordo di vari casi in Libano, nella battaglia di Beirut del 1982. Vidi nonne di 84 anni preparare il cibo e portarlo in prima linea. Rischiavano la vita per portare il cibo ai propri figli. Gli dicevano: “Tuo figlio non sta qui”. E loro: “Qui sono tutti figli nostri”.
In un altro posto sarà un’altra madre, un’altra nonna, a portare il cibo in prima linea. La resistenza non esiste senza appoggio popolare. È una necessità del popolo. È una necessità.
L’anno scorso abbiamo parlato con un sindacalista di Jabalia, al quale hanno bombardato la casa la scorsa settimana, e ci diceva che “per ogni palestinese che assassinano ne nasceranno altri quattro o cinque”. Si deve interpretare alla lettera?
[Fayez sorride con orgoglio] È così. Per la repressione che soffriamo, per gli omicidi, per tutto questo ci uniamo alla lotta. Nel mio caso accadde quando avevo 12 anni, senza che i miei genitori lo sapessero. Vidi la polizia picchiare mio padre, calpestandogli la testa. Non poteva difendersi perché aveva dei figli da mantenere. E così il figlio si unisce alla lotta senza che il padre lo sappia.
Sono venuto in Europa, però continuo con la mia causa. Vivo bene, anche se ultimamente non è così a causa di quello che sta succedendo nella mia terra. Abbiamo sempre là il cuore.
Arriva un momento che non c’importa più di niente perché ci stanno sterminando. Quello che esigiamo ora è che entri cibo a Gaza, medicine e carburante. Quello che è entrato finora è una goccia d’acqua nell’oceano. Non è che cresciamo i figli per resistere. No. La resistenza nasce dal popolo. E se non c’è resistenza, non c’è popolo. Se non c’è popolo, non c’è resistenza.
Cosa accadrà nelle prossime settimane?
C’è un piano infernale per eliminare le persone da Gaza. Eliminarle o espellerle per avere il loro Israele. I palestinesi di Gaza nel Sinai e quelli della Cisgiordania in Giordania. Però il piano fallirà.
Israele ha fatto un primo imbroglio: “Che vadano al sud e staranno in pace”. Non è andata così. Alla gente non resta nient’altro che rimanere. Entreranno i tank? Che entrino, la resistenza è pronta. E altrimenti sarà la resistenza in tutto il mondo arabo. L’asse della resistenza non lascerà il popolo palestinese solo nel mattatoio. Il mattatoio sostenuto dall’Occidente.
Macron, Sunak e Schultz, specialmente questi tre stanno sostenendo il massacro. Questa è la responsabilità del “mondo libero”. Noi non diciamo la “comunità internazionale”, diciamo la “cosiddetta comunità internazionale”. Se ci fosse una comunità internazionale, Israele non si azzarderebbe a entrare con i tank.
Ci sono cose che non si riescono a capire. Però ribadisco, capisco la resistenza in tutte le sue forme. È quello che deve fare il mio popolo.
Leggo in un tweet: “Come palestinesi non stiamo chiedendo l’elemosina perché qualcuno riconosca la nostra umanità. È la umanità del mondo ciò che stiamo mettendo in discussione”.
La realtà è questa. Come dicevo prima, le vittime devono sempre dimostrare di esserlo. Se non vedono quello che sta accadendo in Palestina, è perché non vogliono vederlo. Sono complici. E certamente, in tutto questo aiuta il potere dei mezzi di comunicazione. Certamente il “mondo libero” è responsabile. Noi siamo umani ma l’Occidente… Tutte le guerre nei vari angoli del mondo sono state fabbricate dall’Occidente.
Qualcosa da aggiungere?
Ringraziamo tutti i popoli del mondo per la loro solidarietà. L’unica soluzione è uno stato palestinese, laico, democratico, dal fiume Giordano al Mediterraneo, con capitale Gerusalemme. Chiunque voglia integrarsi nella nostra società e sia antisionista è benvenuto.
Promettiamo che la Palestina sarà libera perché se resiste, esisterà. Continueremo a difendere il nostro popolo. La Palestina vincerà.
da El Salto Diario Galiza
[Traduzione di A. Q.]
*Pablo Santiago e Elena Martín sono giornalisti impegnati nel Salto Diario, un giornale d’ispirazione anticapitalista, di proprietà collettiva, decentralizzato e senza finanziamenti provenienti dalle grandi imprese.
Qui l’articolo originale: https://www.elsaltodiario.com/palestina/fayez-badawi-resistencia-no-dejara-solo-pueblo-matadero-apoyado-occidente
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