Il rimpasto di governo con cui il premier conservatore britannico Sunak ha cooptato e silurato alcuni ministri, è avvenuto all’indomani dell’enorme manifestazione popolare in solidarietà con il popolo palestinese che sabato 11 novembre ha attraversato le strade di Londra. Potrebbe trattarsi di mera coincidenza ma altri fattori si incrociano con questa decisione.
La dimissionata ministra degli Interni Braverman aveva infatti attaccato frontalmente la manifestazione e alimentato un clima di tensione intorno ad essa, arrivando ad accusare la polizia di eccessiva tolleranza verso i manifestanti per la Palestina e maggiore intransigenza verso i gruppi di destra.
Le sue dichiarazioni avevano suscitato un vespaio di polemiche ed è stata sostituita dal ministro degli Esteri. Al posto di quest’ultimo, Sunak è stato costretto dalla mancanza di personale politico adeguato a richiamare in servizio l’ex premier conservatore Cameron, personaggio politico uscito di scena dopo la sconfitta nel referendum sulla Brexit.
Una conferma in più che la classe dirigente di una potenza come la Gran Bretagna è in una crisi profonda e conclamata. Un dato però che non le ha impedito di fare grossi guai in giro per il mondo, a cominciare dalla linea guerrafondaia sull’Ucraina fino alla esplicitata complicità con Israele e i crimini di guerra a Gaza.
Ma se i conservatori sono in crisi, anche tra i laburisti la questione palestinese sta suscitando, di nuovo, un aspro scontro interno.
L’ex segretatio Jeremy Corbin era stato silurato proprio a causa delle sue posizioni filopalestinesi (e non certo casualmente era in testa all’enorme corteo di Londra per la Palestina). Contro Corbyn si era scatenata la lobby sionista britannica sia all’esterno che all’interno del Partito Laburista.
Ma adesso il rifiuto dell’attuale leader del Partito Laborista, Keir Starmer, di chiedere un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, gli sta costando il sostegno politico dei suoi stessi parlamentari e potrebbe intaccare le sue possibilità di vittoria alle elezioni generali previste il prossimo anno.
Nei sondaggi d’opinione degli ultimi mesi, il partito guidato da Starmer ha sempre goduto di un notevole vantaggio rispetto ai conservatori al governo guidati dal primo ministro Rishi Sunak.
Ma da quando Israele ha scatenato la sua ferocia contro i palestinesi nella Striscia di Gaza, per Starmer è iniziato il periodo più complicato dei suoi tre anni alla guida del partito.
La crisi interna dei laburisti è iniziata l’11 ottobre, quando Starmer ha espresso il suo sostegno all’offensiva israeliana contro Gaza durante un’intervista rilasciata all’emittente radiofonica Lbc. Alla domanda del conduttore radiofonico se tagliare l’elettricità e l’acqua da Gaza fosse una risposta militare appropriata, Starmer ha risposto: “Sì, Israele ha questo diritto”.
Le sue dichiarazioni hanno suscitato un fortissimo dissenso all’interno del partito e sono state particolarmente criticate dalla comunità musulmana britannica che tradizionalmente sostiene i laburisti.
Un sondaggio comparso sul quotidiano Evening Standard, indica che i laburisti hanno perso un’importante quota di consensi da parte di questa comunità dopo i commenti di Starmer. Mentre in precedenza il 71 per cento dei musulmani britannici aveva dichiarato di voler votare per i laburisti alle prossime elezioni, secondo il sondaggio questa percentuale è crollata ad appena il 5 per cento a metà ottobre.
La crisi interna è poi precipitata all’inizio di novembre, quando due consigli comunali a guida laburista del nord dell’Inghilterra hanno chiesto le dimissioni di Starmer per non avere sostenuto il cessate il fuoco a Gaza.
Pochi giorni dopo le sue dichiarazioni, il leader del consiglio comunale di Burnley, insieme ad altri dieci consiglieri, si è dimesso dal partito proprio per la decisione del suo leader nazionale di non sostenere un cessate il fuoco a Gaza. Anche molti parlamentari laburisti stanno pubblicamente sollecitando un cessate il fuoco a Gaza, evidenziando le criticità interne al partito.
Il deputato britannico Imran Hussain, che ricopriva il ruolo di ministro nel “governo ombra” con delega al lavoro, ha lasciato l’incarico per poter “sostenere con forza un cessate il fuoco” a Gaza.
Nella sua lettera di dimissioni pubblicata sui social media e ripresa dal quotidiano The Guardian, Hussain ha detto che intende rimanere sia un deputato che un membro del partito, ma che la sua visione su Gaza differisce “sostanzialmente” dalla posizione adottata da Starmer.
Al contrario, David Lammy, ministro degli Esteri del “governo ombra” laburista pur riconoscendo che “il numero di civili e bambini palestinesi morti è scioccante” e invitando Israele a compiere ulteriori passi per fermare una “catastrofe umanitaria”, in articolo comparso sul quotidiano The Guardian, ha difeso il rifiuto del suo partito di sostenere un cessate il fuoco.
Secondo Lammy – in linea con quanto sostenuto dalle autorità israeliane e da quelle USA – ha detto che, pur comprendendo le richieste di cessate il fuoco, ciò “non farebbe altro che incoraggiare Hamas”, che detiene ancora centinaia di ostaggi israeliani.
Secondo quanto riporta la stampa britannica, potrebbero esserci altri quattro ministri del cosiddetto “governo ombra” che sarebbero pronti a dimettersi nei prossimi giorni proprio per la mancata richiesta di Starmer di un cessate il fuoco a Gaza.
Insomma, la questione palestinese e lo scontro interno potrebbe costare caro al Partito Laburista, soprattutto in vista delle prossime elezioni generali e nonostante la crisi interna e di leadership del Partito Conservatore al governo.
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