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Spagna. L’”esquerra independentista”: con l’amnistia il PSOE vuole seppellire la repubblica catalana

Se qualcuno si aspettava una autocritica del PSOE riguardo ai fatti accaduti prima e dopo il referendum del primo ottobre, viene chiaramente smentito dalla lettura del provvedimento d’amnistia presentato questa settimana dai socialisti.

Sia la proposta d’amnistia redatta dai partiti indipendentisti nel 2021 (di cui il PSOE non permise neppure la discussione in aula) che il testo elaborato da Sumar nelle scorse settimane, sottolineavano la sproporzione dell’intervento repressivo dello stato contro il movimento indipendentista: le dure condanne di prigione, la destituzione d’autorità del governo della Generalitat e lo scioglimento della camera catalana con l’applicazione dell’articolo 155 della costituzione.

Il testo a suo tempo presentato da Esquerra, Junts e la CUP ricordava inoltre la necessità del rispetto della volontà politica maggioritaria dell’elettorato catalano. Nel testo del PSOE si parla invece di una generica tensione sociale e di uno scollamento tra l’elettorato catalano e le istituzioni statali ai quali l’amnistia dovrebbe porre rimedio, al fine di consolidare la convivenza.

La reale portata dell’amnistia non è inoltre ancora chiara. Secondo molti osservatori, ci sono seri dubbi che sia i militanti dei CDR accusati di terrorismo, che gli indagati di Tsunami Democràtic, possano beneficiarsi del provvedimento.

Non solo: il PSOE ha parlato di poche centinaia di amnistiati ma Alerta Solidaria, l’organizzazione contro la repressione dell’esquerra independentista, stima gli imputati per i fatti connessi al referendum e alle mobilitazioni successive in più di 4.000 persone. Evidentemente i conti non tornano.

A questi dubbi si aggiunge la beffa: alcune decine di agenti delle forze dell’ordine, indagati per reati commessi durante la repressione delle manifestazioni, sono inclusi nell’amnistia. Una possibilità che i CDR avevano già paventato nelle scorse settimane e che l’ex deputato della CUP e avvocato di molti processati, Benet Salellas, aveva definito una sciocchezza monumentale.

Davanti alla stampa Salellas aveva spiegato che se è vero che l’amnistia può beneficiare anche coloro i quali hanno compiuto dei reati nel segno del nazionalismo spagnolo, è altrettanto vero che è invece contrario al diritto internazionale amnistiare «i delitti commessi da funzionari pubblici contro beni individuali come l’integrità morale e l’integrità fisica, ovvero atti che possono essere considerati di tortura, come specialmente le cariche poliziesche del primo ottobre».

Certo è che i socialisti hanno confezionato il provvedimento con due obbiettivi nel mirino. Nell’immediato, la conferma di Pedro Sánchez alla guida dell’esecutivo spagnolo; nel medio e lungo periodo la smobilitazione definitiva del movimento indipendentista.

Dopo l’indulto concesso ai leader del primo ottobre, l’amnistia rappresenta nelle intenzioni del PSOE un vero e proprio funerale alla domanda di trasformazione istituzionale e sociale rappresentata dalle varie anime del movimento per la repubblica catalana.

Bisogna inoltre segnalare che già prima di conoscerne il testo, cinque sindacati della Guardia Civil, tra cui il sindacato maggioritario del settore, hanno firmato un comunicato in cui denunciano l’accordo tra Sánchez e Puigdemont e la legge d’amnistia come un attacco all’indipendenza dei giudici e allo stato di diritto.

La presa di posizione della Guardia Civil rappresenta una vera e propria invasione di campo nell’area della politica, a margine della quale dovrebbe invece mantenersi ogni corpo militare. Anche la più grande associazione dei fiscales spagnoli (una figura equivalente al pubblico ministero) ha condannato senza mezzi termini qualsiasi legge d’amnistia, anche in questo caso già prima di conoscere il contenuto del provvedimento.

I fiscales ritengono che l’amnistia sia un attacco al potere giudiziario e conduca alla fine dello stato di diritto. Quasi contemporaneamente la CEOE, la principale associazione degli imprenditori spagnoli, si è a sua volta schierata nettamente contro l’accordo Sanchez-Puigdemont e contro l’amnistia, che a suo dire rappresentano un ostacolo alla crescita economica e una minaccia per la sicurezza giuridica.

Queste prese di posizione dei poteri forti e di parti significative dell’apparato statale illustrano bene l’attualità e la fondatezza della critica alla transizione spagnola formulata dall’esquerra independentista: la transizione non soltanto non ha tagliato le radici fasciste degli apparati repressivi dello stato ma ha anche traghettato nella cosiddetta democrazia le elite politiche e economiche del franchismo, perpetuandone il potere finanziario e garantendone la sopravvivenza della cultura politica.

La portavoce della CUP, Laia Estrada, ha denunciato il fatto che la legge d’amnistia riproponga il rispetto della cornice costituzionale spagnola, mentre Poble Lliure (organizzazione interna alla CUP) ha sostenuto che l’amnistia dovrebbe servire per «acuire la crisi dello stato e indebolirlo, per delegittimare (sia all’esterno che all’interno) la sua strategia repressiva, non certo per dimostrarne la clemenza, per compiere un nuovo passo in avanti verso la rottura che vogliamo, non verso una nuova transizione».

Ma la critica più netta è arrivata da Endavant, l’altra importante componente della coalizione indipendentista e anticapitalista.

Riferendosi all’amnistia e all’accordo Sánchez-Puigdemont, Endavant ha affermato in un comunicato che «questo è un patto che servirà per rilegittimare e rafforzare il regime. Per fare una seconda transizione riproducendo la democrazia depotenziata del regime del ’78 e consolidando lo stato neoliberale e patriarcale che opprime le classi popolari.

L’amnistia sarà utilizzata come un elemento di pacificazione e di smobilitazione della lotta della società catalana per l’autodeterminazione e l’indipendenza.

L’accordo tra Junts per Catalunya, ERC, PSOE e Sumar non si propone in chiave di avanzamento del processo di liberazione nazionale e emancipazione sociale dei Països, Catalans bensì come la chiusura definitiva di un ciclo di lotta».

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