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Sánchez di nuovo a capo del governo in Spagna

Con 179 voti favorevoli e 171 contrari, il leader socialista Pedro Sánchez è stato ri-nominato a capo dell’esecutivo che dovrebbe guidare la Spagna per i prossimi 4 anni.

L’azzardata decisione politica del capo del PSOE, presa il 29 maggio scorso di andare ad elezioni anticipate il 23 luglio sembra per ora una scommessa politica azzeccata.

Dopo l’accordo con gli indipendentisti di Junts la settimana scorsa, l’ultimo tassello che rimaneva era il trovare la quadra con i regionalisti baschi del PNV (la parte più moderata), anche questa raggiunta senza difficoltà.

L’ultima fase del lavoro di cucitura per costituire una maggioranza dietro l’esecutivo nascente è stata caratterizzata da un clima di opposizione reazionaria alla annunciata legge di amnistia per i reati connessi al processo indipendentista catalano, conditio sine qua non dettata ai socialisti in cambio dell’appoggio della formazione di Puigdemont e della “sinistra repubblicana” di ERC, che hanno per ora temporaneamente accantonato la richiesta di un referendum sull’indipendenza.

Mentre la destra fascista di Vox aveva ‘fomentato’ le manifestazioni contro la sede del PSOE a Madrid, il PP aveva organizzato successivamente la protesta in più di 50 capoluoghi di provincia; un fatto comunque inedito per estensione e partecipazione.

nchez, oltre ai 121 voti del PSOE e i 31 della coalizione progressista Sumar, ha comunque ricevuto il sostegno delle formazioni “indipendentiste” catalane ERC (7 voti) e JxC (7 voti), la formazione della sinistra indipendentista basca Bildu (6 voti) e degli “autonomisti” del PNV (5 voti), oltre che del BNG della Galizia e del CC delle Canarie, con un voto entrambe.

A votare contro è stato il Partido Popular guidato da Alberto Nuñez Fejóo – succeduto a Pablo Casado nell’aprile dell’anno scorso -, la formazione che ha ottenuto la maggioranza relativa alle elezioni politiche del 23 luglio, insieme ai neo-falangisti di Vox e all’UPN: rispettivamente con 137, 33 ed 1 voti.

Il leader socialista ha ottenuto tre voti in più della maggioranza assoluta necessaria dopo che, a settembre, il leader del PP – con l’appoggio di Vox e dell’UNP – non aveva raggiunto i voti necessari per formare un governo e che ora si prepara ad un’opposizione senza sconti.

É la terza volta consecutiva che il segretario del PSOE forma un governo.  Era entrato in carica nel 2018, alla caduta del governo di Mariano Rajoy, e una seconda nel 2019. Anche in quel caso con una maggioranza risicatissima: 167 voti favorevoli, 165 contrari.

Dopo le ultime elezioni anticipate lo scenario è rimasto incerto fino all’ultimo momento.

Il PP aveva governato in precedenza con due esecutivi presieduti da Mariano Roy, successivi a quelli di José Luis Rodríguez Zapatero, in un sistema caratterizzato dal bipolarismo e dall’alternanza rigida tra socialisti e popolari.

La variabile “populista di destra”, Ciudadanos, è stata ad un certo punto una sorta di “ago della bilancia” nel panorama politico spagnolo, ma ora  si è dissolta. Mentre Podemos, che aveva in parte terremotato il quadro “a sinistra”, è stata riassorbita e marginalizzata dentro la coalizione progressista guidata da Yolanda Díaz.

I neo-falangisti di Vox, pur in calo rispetto alle elezioni regionali, sono invece diventati la terza formazione politica nazionale, governano diverse regioni insieme ad i popolari, e sono stati ad un passo dall’arrivare alla guida del paese insieme al PP.

Il politico socialista più longevo al governo resta per ora quello di Felipe González che ha governato la Spagna e dominato il PSOE dal 1982 fino all’affermazione di Aznar, nella seconda metà degli Anni Novanta.

Gli otto partiti che sostengono l’esecutivo hanno raccolto il 49,6% dei voti, cioè 12,6 milioni. Nella relativamente breve storia della democrazia spagnola solo Zapatero ha avuto un consenso maggiore, con 13,5 milioni di voti, nel 2004.

Ma è chiaro che, nonostante il consenso di cui teoricamente gode, quella di nchez è una strada in salita vista l’emersione di un’opposizione politico-sociale tutt’altro che marginale a trazione neo-falangista, e l’ostilità permanente di una porzione consistente dello “Stato profondo” – gran parte della magistratura e le associazioni delle forze di polizia – a qualsiasi possibilità di trovare uno sbocco politico alla crisi apertasi con il processo indipendentista in Catalogna.

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