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«Dicono che combattono i terroristi, ma sono gli imperialisti i maestri del terrorismo»

Intervista a Leila Khaled, militante storica della sinistra rivoluzionaria palestinese. In esilio da 75 anni, è membro del comitato centrale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), un’organizzazione che, a seconda della latitudine e dei governi, viene bollata come terrorista.

Recentemente bersaglio delle critiche di un ventaglio politico che va dal PD a Fratelli d’Italia, che hanno cercato di censurare il suo intervento all’università di Torino, è impegnata da anni a testimoniare la lotta del popolo palestinese in tutto il mondo.

L’intervista che segue è stata realizzata pochi giorni dopo il 7 ottobre a Johannesburg, in occasione di una conferenza internazionale organizzata dal network Assemblea Internazionale dei Popoli.

Intesa nel suo senso più ampio, stiamo assistendo a una accentuazione storica della resistenza palestinese contro l’occupazione sionista? Cosa rappresenta il risultato dell’unità tra differenti gruppi che storicamente sono stati divisi e che hanno un’ideologia differente?

Prima di tutto dobbiamo dire che non è certo dalla rivoluzione e dall’intifada del 1987 che siamo stati divisi. Dopo gli accordi di Oslo, firmati alle nostre spalle dai dirigenti dell’OLP, abbiamo dovuto unirci. E facciamo appello sempre all’unità nazionale, perché l’unità di un popolo che soffre l’occupazione militare è un arma. Nei territori stiamo lavorando tutti insieme.

Israele dice che sta attaccado Hamas però i bambini non sono Hamas, le donne non sono Hamas. Stanno attaccando il nostro popolo e questa volta l’attacco ha le caratteristiche di un vero e proprio genocidio.

Il ministro israeliano Gideon Sa’ar ha affermato in un’intervista che «alla fine della guerra Gaza deve ritrovarsi più piccola». Questa dichiarazione rivela le vere intenzioni nascoste dietro al brutale attacco contro Gaza?

Oggi Gaza è presente in tutto il mondo. Grazie ai popoli che appoggiano la lotta dei palestinesi, oggi Gaza arriva in tutti i continenti. Nonostante continuino a uccidere, uccidere e uccidere, ci sarà ancora vita a Gaza. Ora siete voi, i mezzi di comunicazione, gli occhi di Gaza. Non abbiamo paura di quello che dice Netanyahu – sono loro che hanno paura – perché siamo uniti dalla speranza di realizzare grazie alla lotta i nostri sogni.

Abbiamo solo una opzione: lottare, liberare la nostra terra e liberarci dall’occupazione. Stanno facendo quello che fecero i nazisti, e ancora peggio graze alle nuove armi di oggi. Stanno provocando un olocausto. Quello che stanno facendo è un crimine di guerra.

L’ONU sta dibattendo una risoluzione su Gaza [l’intervista risale al 17 ottobre, NdT.]. Possiamo sperare che l’azione dell’ONU faccia la differenza per il popolo palestinese?

Nel 1948 le Nazioni Unite riconobbero lo stato d’Israele. E non riconobbero né il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese né il diritto a tornare nella nostra terra, dalla quale eravamo stati cacciati dalle milizie sioniste. Da allora hanno adottato molte risoluzioni che non sono state messe in pratica.

Ieri [16 ottobre, NdT.] il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non ha accettato la proposta russa che denunciava l’attacco di Israele. Ora sappiamo che il mondo è diviso secondo interessi precisi e che l’interesse degli Stati Uniti è difendere la propria base, il proprio arsenale militare in Palestina, quello che chiamano Israele.

Oggi in tutto il mondo vediamo una marea dipersone che scendono in piazza per sostenere il diritto dei palestinesi a uno stato in cui vivere con dignità e giustizia. Non dipendiamo dalle Nazioni Unite, dipendiamo prima di tutto da noi stessi. E questo ci da la forza per affrontare la sofferenza. Siamo tutti pronti a pagare a caro prezzo la nostra terra, siamo pronti a pagare con il sangue, con la nostra carne, con le nostre famiglie, per liberare la nostra terra. La libertà richiede il sacrificio delle persone.

Israele e i suoi alleati cercano di rappresentare la resistenza palestinese come terrorista. Come si deve rispondere a questa accusa?

Parlano di terrorismo però sono loro i maestri del terrorismo. Le forze imperialiste, in ogni parte del mondo: in Irak, in Siria e in altri paesi. Si stanno preparando per attaccare la Cina. Tutto ciò che dicono riguardo al terrorismo rivela invece le loro pratiche. Le persone hanno diritto a resistere a tutto ciò con ogni mezzo, inclusa la lotta armata.

Questo diritto è sancito dalla Carta delle Nazioni Unite. Cosicché stanno violando il diritto della gente a resistere, perché recuperare la propria libertà è un diritto. E come dico sempre, questa è una legge fondamentale: dove c’è repressione, c’è resistenza. La gente non vuole vivere sotto occupazione e nella repressione. La storia ci insegna che quando un popolo resiste riesce a mantenere la propria dignità e la propria terra.

Che emozione prova quando vede una nuova generazione di palestinesi gettarsi nella lotta, sia nella Palestina storica che nella diaspora?

La nostra è una storia di resistenza. Fin dal principio sapevamo che per recuperare la nostra terra ed essere liberi era necessario il lavoro di più generazioni. Cosa accadde in Palestina? Venimmo cacciati dalla nostra terra, vennero da fuori con le armi e compirono dei massacri.

Era stato preparato tutto dal movimento sionista, con l’appoggio dell’occidente che si è protratto fino ai nostri giorni. Israele è il loro arsenale, la loro base nei paesi arabi e nel Medio Oriente.

Per giustificarsi dicono ancora una volta che combattono i terroristi. Ma sono loro i terroristi. Il loro è un terrorismo di stato, il terrorismo di Israele e degli altri governi schierati contro il nostro popolo.

Chiamano l’America Latina il cortile di casa degli Stati Uniti. Insultano i popoli, la loro terra e perfino i loro governi. I loro alleati vengono persuasi con una forte pressione a usare questo tipo di linguaggio. Tutto ciò significa che non gli importa della gente, del loro diritto a vivere nel proprio paese e a godere delle proprie risorse naturali, a cominciare dall’acqua.

Vogliono rubare il petrolio dei paesi che lo possiedono. Guardate cosa accadde al Venezuela. Agitando lo slogan “democratizzare il popolo di questo paese” gli Stati Uniti non promuovono la democrazia ma seminano invece la paura e l’odio, come se il popolo non fosse capace di ottenere ciò che vuole e di cui ha bisogno. E così alla gente non resta che ribellarsi.

Ricordiamo che anche ciò che accadde in Cile durante l’epoca di Pinochet fu un genocidio. Ricordiamo ciò che accadde in Argentina. Ciò che accadde a Cuba, che è assediata da 60 anni. Ciononostante Cuba continua a resistere, continua a costruire il proprio paese. Cuba ha inviato medici in tutto il mondo durante l’emergenza del coronavirus.

Un giorno Cuba e il suo popolo si sono ribellati e sono arrivati addirittura a dichiarare il socialismo nel proprio paese, un esempio per tutti. Noi ammiriamo Cuba. Questa è la lezione che abbiamo imparato da Cuba.

Nel corso della sua battaglia contro l’occupazione e l’oppressione, lei ha compiuto qualcosa di eroico nel 1969, quando era giovane. Siamo nel 2023 e l’apartheid di Israele è peggiore di allora. Come si sente ora? Cosa la spinge a continure a lottare?

Cominciai a lottare quando avevo 15 anni. Mi unii al movimento nazionale arabo ma non venni accettata in quel momento. Dissero che ero troppo giovane e risposi che era vero ma che potevo essere d’aiuto. E come giovani svolgemmo un ruolo, partecipammo alle manifestazioni. Stavo vivendo in Libano. Mi unii alla rivoluzione attraverso il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), perché era alla testa del movimento nazionale arabo.

Dovetti prepararmi per la mia prima missione. Si trattava di dirottare un aereo e non avevo mai sentito parlare di niente di simile. Nella nostra terminologia parlavamo di lotta, di battaglie, della possibilità di finire in prigione. Ricevetti la formazione dal FPLP, fin dall’inizio agitavamo questa parola d’ordine: “uomini e donne nella battaglia per la liberazione”.

In questo modo volevamo rappresentare non solo le palestinesi ma tutte le donne, di qualsiasi nazionalità, che pativano una oppressione. Nel nostro pensiero la causa palestinese non riguarda solo il popolo palestinese ma è parte di un movimento internazionale di liberazione.

Quando entrai nella cabina di comando mi presentai con il nome della prima donna martire dopo il 1967, Shadia Abu Ghazale. E dissi al pilota: “Siamo della unità Che Guevara”, in modo da evidenziare i nostri legami con il movimento di liberazione.

Questa era la tattica che utilizzavamo: la nostra intenzione era semplicemente che il mondo ci ascoltasse, perché non ci ascoltava quando stavamo nei campi profughi, dove ci bombardavano mentre eravamo nel sonno. Non si ascoltava la sofferenza delle donne e degli uomini incarcerati e torturati.

Pensavamo che con questa azione la gente ci avrebbe ascoltato. Avrebbero chiesto “perché, chi sono queste persone?”. E volevamo agire bene, senza ferire nessuno. E lo facemmo: fu una operazione pulita. Chiedevamo la liberazione dei nostri prigionieri. Sapevamo bene che i passeggeri non avevano niente a che fare con il conflittto. Eravamo preparati e avevamo ricevuto istruzioni dai nostri leader di non ferire nessuno.

In quanto ad essere donna e all’immagine delle donne arabe in generale (tutte con il velo, che dedicano la vita semplicemente a sposarsi, fare figli ed essere controllate dai propri mariti o dai propri padri) è necessario cambiare tutto ciò attraverso la lotta nazionale.

Che messaggio vuole trasmettere alla comunità internazionale in questo momento così critico per la liberazione della Palestina?

In primo luogo un appello ai mezzi di comunicazione. Come voi. Anche voi fate parte del popolo che lotta. Come tutti coloro che con le proprie macchine fotografiche racconteranno gli eventi della lotta. Siete altrettanti nostri ambasciatori e ambasciatrici, perché siete con noi.

I mezzi di comunicazione possono svolgere due ruoli differenti: possono mettersi al servizio degli oppressori, che hanno forza a sufficienza per trasmettere il proprio messaggio; o possono fare come voi, che avete la forza di inviare un altro messaggio al mondo.

Come Palestinesi dipendiamo dal popolo in lotta. Non dipendiamo dai governi, neppure quando dicono di sostenerci. Dipendiamo dalle forze progressiste delle comunità in cui vivete, oltre che dalla diffusione dei fatti riguardanti la lotta e la sua relazione con il capitalismo e l’imperialismo. Il movimento sionista è`parte dello schiermento imperialista. Sono i nemici dell’essere umano, ovunque.

Faccio anche un appello ai popoli di tutto il mondo perché espellano gli ambasciatori israeliani e chiudano le loro ambasciate nei propri paesi. Perché se le ambasciate israeliane stanno ancora nella vostra terra, significa che le riconoscete mentre il loro paese e il loro governo assassinano il nostro popolo. Se state a fianco della lotta palestinese, dovete agire di conseguenza.

[Traduzione di A.Q.]

Il testo originale dell’intervista, realizzata collettivamente da Iolanda Depizzol, Pedro Stropasolas, Phakamile Hlubi-Majola y Zoe Alexandra (del gruppo comunicazione dell’Assemblea Internazionale de Popoli), si trova alla pagina https://capiremov.org/es/entrevista-es/leila-khaled-donde-hay-represion-hay-resistencia/

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