In Ciad, Yaya Dillo, oppositore e cugino del presidente, è stato ucciso dall’esercito. Le autorità hanno ammesso giovedì che il leader dell’opposizione, del Parti Socialiste Sans Frontières, è morto in un assalto militare al quartier generale del suo movimento, nella capitale N’Djamena.
Lo stato dell’edificio, trasformato in un groviera di cemento, contrasta con l’apparente calma che sembra essere tornata nella capitale ciadiana giovedì 29 febbraio.
«Dopo essere tornati di corsa alle loro case o a tutto ciò che potevano offrire un riparo il giorno prima, la maggior parte degli abitanti è tornata alle proprie attività. Come se nulla fosse accaduto», riporta il corrispondente di Le Monde nel paese.
«Tuttavia, il numero di impatti e l’ampiezza dei fori nei muri testimoniano l’intensità degli spari», ha chiosato il giornalista del quotidiano francese.
Alla fine, come riporta Rfi, ciò che rimaneva della sede è stata demolita dai buldozers!
Intorno alle 13.30 di mercoledì, l’esercito ha fatto irruzione negli uffici del Parti Socialiste Sans Frontières (PSF). Per quasi un’ora, raffiche di armi automatiche e detonazioni soffocate hanno scosso il centro della città di N’Djamena. Ma non è stato possibile ricostruire la dinamica dei fatti.
In serata, sui social network ha iniziato a circolare la foto del corpo del leader dell’opposizione Yaya Dillo, presidente del PSF, con un foro alla tempia destra. Le autorità hanno ufficializzato la sua morte giovedì, tramite Oumar Kebellaye, procuratore presso l’Alta Corte di N’Djamena. Gli eventi hanno provocato “decine di feriti e di morti” e “26 persone sono state arrestate“, ha aggiunto.
Si tratta probabilmente di una vera e propria esecuzione – come denuncia l’opposizione – a cui il dissidente era precedentemente sfuggito, in piena campagna presidenziale.
Con questa strage politica cade definitivamente la “maschera democratica” del processo di transizione.
Proprio nel corso di una cerimonia organizzata dal partito fondato dal padre, il MPS, l’attuale presidente “golpista” ha ufficializzato sabato la sua candidatura per le elezioni previste per il 6 maggio di quest’anno.
Max Kemkoye, rappresentante di una piattaforma politica che si è opposta a questo “processo di transizione” e vicina alle posizioni. di Dillo, ha dichiarato ad una intervista fatta con RfI che: “siamo i candidati in attesa di morire”.
Occorre fare “un passo indietro” rispetto a come si stavano configurando queste elezioni, convocate in un periodo di profonda destabilizzazione della regione e di crisi sociale aggravata.
Il processo elettorale, cardine di un processo transizione gattopardesco
All’apparenza, la politica ciadiana non sembrava così giovane da più di tre decenni. Meno di un anno separa infatti il presidente di transizione Mahamat Idriss Déby, 39 anni, dal suo ex avversario diventato primo ministro Succès Masra, 40 anni.
Dietro questa facciata di apparente “rinnovamento” il Paese attraversa però una grave crisi sociale innescata dal forte aumento del prezzo del carburante.
Lunedì 26 febbraio, la borsa del lavoro della capitale N’Djamena ribolliva di rabbia. I sindacati centrali hanno votato per estendere lo sciopero, iniziato il 20 febbraio, per altre due settimane dopo che il prezzo della benzina è aumentato del 40%, facendo lievitare i prezzi dei beni di prima necessità e dei principali mezzi di trasporto pubblico.
Con l’avvicinarsi del mese di Ramadan – che inizia ufficialmente il 10 marzo – che generalmente porta un picco nei consumi delle famiglie, la misura non poteva certo essere accolta con favore.
Per giustificare questa decisione impopolare, il governo invoca la crisi umanitaria nell’est del Paese. Dallo scoppio delle ostilità in Sudan – tra i generali Abdel Fattah Al-Bourhane e Mohammed Hamdan Daglo, detto “Hemetti”, circa un anno fa – il Ciad ha accolto più di mezzo milione di rifugiati.
A questa pressione sulle già scarse risorse del Paese si aggiungono la scarsa capacità della raffineria nazionale e il contrabbando di idrocarburi. Il 16 febbraio, il Paese ha dichiarato lo stato di emergenza alimentare e nutrizionale nella speranza che i donatori sblocchino nuovi fondi per sostenere l’economia.
In una inchiesta sulle condizioni sociali del paese condotta da Le Monde, il presidente dell’Unione dei sindacati del Ciad, afferma: “Si tratta di argomentazioni fasulle. Che fine hanno fatto i soldi del petrolio? Vengono usati solo per distribuire gradi di generale dopo gradi“.
Da quando si è cominciato ad estrarre il greggio, all’inizio degli anni 2000, le spese militari hanno assorbito la maggior parte delle entrate petrolifere del Paese, anche perché questo tipo di governance clientelare e militare ha tenuto in piedi il regime.
“Il prezzo del barile di petrolio è ai massimi storici“, aveva affermato anche Yaya Dillo al quotidiano francese, convinto che il denaro del petrolio alimenti i “fondi neri” del regime e “finanzi gli imbrogli elettorali“.
Le elezioni presidenziali sembravano dominare il panorama politico nazionale, anche per Succès Masra – cooptato in ambito governativo -, tornato dall’esilio e nominato primo ministro con un accordo politico alla fine del 2023.
La rabbia dei sindacati è rivolta contro di lui. “Sta affrontando la sua prima prova reale“, analizzava l’analista politico Evariste Toldé.
I manifestanti non hanno parole abbastanza dure per l’uomo che, non molto tempo fa, manifestava al loro fianco, ma che ha rinunciato alle sue precedenti convinzioni pur di avere un posto rilevante nel governo.
“In Ciad ci sono problemi che abbiamo da sessant’anni. Non cambierò le cose in sessanta giorni“, si era difeso il primo ministro davanti alla stampa, il 20 febbraio.
È stata un’ammissione di impotenza prima di volare negli Stati Uniti per cercare nuovi finanziamenti dalle istituzioni finanziarie internazionali, in particolare dal FMI, che non ha convalidato la sua ultima revisione a causa della mancanza di trasparenza sulle principali spese fuori bilancio. Segno che la corda è stata tirata un po’ troppo.
Un anno prima, Succès Masra era stato uno dei critici più virulenti del regime: “Non si riforma una dinastia, ci si separa da essa“, aveva dichiarato il 17 marzo 2023 sulle colonne della rivista Jeune Afrique, riferendosi all’ascesa al potere di Mahamat Idriss Déby, pochi giorni dopo la morte del padre, il presidente Idriss Déby, ucciso in scontri con un gruppo di ribelli.
Il 20 ottobre 2022, Succès Masra, insieme ad altre organizzazioni, aveva invitato la popolazione a scendere in piazza per protestare contro il prolungamento della “transizione”. La repressione aveva allora provocato almeno 128 morti, secondo la Commissione nazionale per i diritti umani (CNDH), ma più del doppio secondo gli organizzatori della marcia; senza che la cosiddetta Comunità Occidentale dicesse una parola su quel massacro.
Dopo i negoziati guidati dal presidente congolese Félix Tshisekedi, il leader dell’opposizione ha concluso un accordo con le autorità ciadiane che gli ha consentito di tornare discretamente a N’Djamena il 3 novembre 2023. L’accordo ratifica l’amnistia dei funzionari civili e militari coinvolti nel massacro, di fatto garantendone l’impunità.
Di fatto la carriera politica di Masra è stata scambiata con l’assoluzione senza processo per la strage del 22 ottobre del 2022.
“Tutti coloro che hanno cercato di cambiare il sistema dall’interno hanno fallito, anche noi“, affermava l’oppositore di lunga data Yaya Dillo, anch’egli ex-membro del clan al potere.
“Ha guidato un governo in cui è riuscito a piazzare un solo ministro“, aggiunge Evariste Toldé che conclude. “Come si può pensare che abbia un margine di manovra? Il massimo che può fare è ristabilire la sua salute finanziaria ed estendere la sua rete nell’amministrazione, ma se vuole sopravvivere politicamente e mantenere la leadership del suo partito Transformers, deve presentarsi alle elezioni presidenziali”.
La potente macchina del Mouvement patriotique du salut (MPS), il partito fondato dall’ex presidente Idriss Déby, ha vinto tutte le elezioni per oltre tre decenni e ha già designato come proprio candidato il figlio, l’attuale presidente di transizione Mahamat Idriss Déby.
Intorno a lui, il partito ha riunito una coalizione di quasi 200 formazioni, tra cui l’Unione Nazionale per la Democrazia e il Rinnovamento (UNDR) dello storico oppositore Saleh Kebzabo, che gli consente di avere un punto d’appoggio nel sud del Paese, ritenuto una roccaforte dell’opposizione e da cui proviene anche Succès Masra.
Le possibilità di Masra e dell’opposizione nel suo complesso erano già molto limitate, perché le istituzioni elettorali sono bloccate dal governo. Tutti i membri dell’Agenzia nazionale di gestione delle elezioni sono stati infatti nominati dalla presidenza, così come il presidente del Consiglio nazionale di transizione, Haroun Kabadi, ex segretario generale dell’Mps.
Il Consiglio costituzionale, responsabile della promulgazione dei risultati finali, è guidato da Jean-Bernard Padaré, avvocato ed ex portavoce dello stesso partito.
In queste condizioni, alcuni oppositori stavano già pensando a un boicottaggio.
Le autorità, forti della loro potente e consolidata macchina di potere, avevano accelerato l’organizzazione delle elezioni anche per prendere in contropiede gli avversari. L’obiettivo principale è porre fine alla transizione entro i tempi previsti e legittimare il potere di Mahamat Déby attraverso le urne.
Una volta eletto sarà in una posizione migliore per negoziare con l’Occidente, ma anche con i generali e i compagni di viaggio di suo padre, che lo hanno messo alla guida del Paese.
Tra il mese di Ramadan, poco propizio alle attività politiche, e la stagione delle piogge da giugno a settembre, durante la quale alcune località sono quasi inaccessibili, il primo turno si terrà il 6 maggio.
Combinata con la crisi sociale, una crisi post-elettorale farebbe naufragare gli sforzi del regime. Come tutte le manifestazioni degli ultimi sei mesi, la marcia programmata dalle organizzazioni della società civile per protestare contro l’aumento del prezzo del carburante era stata vietata, mentre Mahamat Idriss Déby sta cercando da tempoi di stringere l’apparato di sicurezza attorno ai suoi più fedeli collaboratori.
Consapevole che le elezioni presidenziali rappresentano una svolta decisiva per il consolidamento del suo potere, il presidente di transizione non vuole chiaramente lasciare nulla al caso.
La “morte annunciata” di Dillo e le sue conseguenze politiche
Yaya Dillo è stato accusato di aver organizzato l’attacco al presidente della Corte suprema il 19 febbraio e di aver guidato una protesta davanti alla sede dell’Agenzia di sicurezza nazionale, i servizi segreti, il giorno prima della sua morte, in cui sono state uccise diverse persone ma allo stato delle cose sarà difficile chiare veramente la dinamica dei fatti.
La carriera di Yaya Dillo, 49 anni, nipote del defunto presidente Idriss Déby e cugino del suo successore “golpista”, Mahamat Idriss Déby – , è stata caratterizzata da un continuo avvicendarsi tra gli ambienti del potere e della ribellione armata.
La sua prima impresa politica è stata l’opposizione pubblica all’emendamento costituzionale che ha permesso allo zio di rimanere al potere nonostante i limiti di mandato. All’epoca non aveva ancora 30 anni e, come molti dissidenti ciadiani, prese le armi e si diresse verso il vicino Sudan. Alla fine, però, i due uomini si sono riconciliati e Dillo è tornato nel Paese dopo che i ribelli dell’Unione delle Forze di Resistenza non sono riusciti a prendere il potere con la forza delle armi nel febbraio 2008.
In seguito ha ricoperto diversi incarichi governativi fino a quando, all’inizio del 2021, ha deciso di affrontare nuovamente il presidente Déby, ma alle urne. L’escalation, inizialmente verbale e politica, ha preso una piega drammatica quando un commando della Direzione Generale dei Servizi di Sicurezza delle Istituzioni Statali (DGSSIE), ha cercato di arrestarlo a casa sua. Sua madre e uno dei suoi figli furono uccisi nell’operazione.
Era il 28 febbraio 2021, tre anni prima della morte di Yaya Dillo, e l’uomo a capo del commando venuto ad arrestarlo era Mahamat Idriss Déby, figlio del presidente, e suo successore manu militari dopo l’improvvisa morte in combattimento del padre.
Quest’ultimo, infatti succederà al padre, ucciso al fronte nell’aprile 2021, due mesi dopo. Nonostante la morte dello zio gli abbia dato l’opportunità di tornare nel Paese dopo un breve esilio, Yaya Dillo era profondamente preoccupato.
Di fatto era il principale oppositore al blocco di potere che uno degli ultimi perni di un certo peso della Françafrique nella regione da cui Parigi – e non solo – è stata cacciata dopo una serie di “colpi di Stato” di militari patriottici con un vasto consenso della regione: Mali, Burkina Faso e Niger.
“Era l’ultimo oppositore radicale del clan al potere“, riassume la sociologa Ladiba Gondeu. “Non ha mai lesinato parole quando si trattava di denunciare gli eccessi del regime, perché era certo di essere protetto dai suoi legami familiari e dai suoi sostenitori nell’esercito”.
Nella mappa politica ciadiana, Yaya Dillo non era un avversario come gli altri. Per il governo, era un nemico dall’interno, con, tra l’altro, solide reti all’interno del gruppo etnico Zaghawa, da cui Idriss Déby discendeva e che detiene molti dei posti di sicurezza del Paese.
Ma negli ultimi mesi ci sono stati importanti sviluppi in Ciad. Il giovane presidente di transizione ha introdotto un mix etnico nell’apparato statale e di sicurezza, che sotto il regno del padre era stato monopolizzato dal clan Zaghawa.
L’assalto alla sede del PSF non è stato effettuato dalla DGSSIE, ora guidata dal generale Tahir Erda, fedele amico di Idriss Déby e cognato di Yaya Dillo, ma dalla Forza di Intervento Rapido, un organismo di recente creazione guidato da un intimo del presidente di transizione che ha voluto assicurarsi la formazione di una ennesima “guardia pretoriana” che fosse l’assicurazione sulla vita del regime.
È difficile dire che scenari apre questo omicidio politico che non sembra avere suscitato reazioni significative a Parigi e tra le cancellerie europee che confermano di avere una concezione “a geometria variabile” dei dissidenti di cui interessarsi.
A meno di dieci settimane dalle elezioni presidenziali, previste per il 6 maggio, “attaccare Yaya Dillo è un modo per mettere a tacere qualsiasi dissenso nel nord del Paese“, afferma la ricercatrice Ladiba Gondeu, ed aggiungiamo noi, il ricorso all’omicidio politico con un’assalto militare ad un quartier generale del maggior partito d’opposizione conferma che l’attuale leader ciadiamo è disposto a tutto per mantenere la propria rendita di posizione politica e che Parigi, e Bruxelles, sono pronte a concedergli ampi margini di azione.
Difficile, all’oggi, individuare un avversario in grado di competere con Mahamat Idriss Déby.
In una conferenza stampa giovedì, il segretario generale del Mouvement patriotique du salut, il partito fondato da Idriss Déby, Mahamat Zen Bada Abbas, ha avuto parole molto dure per il defunto avversario: “I cosiddetti attori politici hanno cercato di minare il processo di transizione proprio quando sta per concludersi“, ha dichiarato, prima di ribadire il suo sostegno al presidente della transizione, il candidato scelto dal partito per le elezioni.
In assenza di Yaya Dillo e con uno dei più accaniti oppositori del regime, Succès Masra, finalmente succeduto a un altro oppositore, Saleh Kebzabo, come primo ministro, sembra ormai difficile individuare un avversario in grado di competere con Mahamat Idriss Déby.
Le elezioni quindi saranno nuovamente una partita truccata tra un ex leader dell’opposizione “cooptato” nel blocco di potere ed uno ucciso durante un assalto armato nella sede della propria formazione da un reparto
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