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L’Ecuador invade militarmente l’ambasciata messicana per sequestrare un rifugiato politico

Nella notte di venerdì scorso forze speciali di polizia hanno fatto irruzione all’ambasciata messicana di Quito per arrestare l’ex-vicepresidente del periodo progressista, Jorge Glas, calpestando le più elementari norme del diritto internazionale e la sovranità messicana.

Dopo aver scontato 5 anni di carcere a seguito del golpe giudiziario con cui la destra si riprese il controllo del governo nel 2017, Glas risiedeva all’interno dell’ambasciata messicana con lo status di rifugiato politico di fronte a nuove condanne che lo volevano traslare nuovamente in carcere.

Sentenze eseguite senza il rispetto delle basi del diritto, come riconosciuto dal tribunale federale del Brasile, tanto da aprire una chiamata generale contro la persecuzione politica presente in Ecuador.

Un atto che può essere considerato facilmente una dichiarazione di guerra da qualsiasi Paese al pari, per capirsi, del bombardamento dell’ambasciata iraniana a Damasco – di fronte a violenza esercitata non solo sul suolo dell’ambasciata quanto anche sui rappresentanti diplomatici messicani presenti, a soli due giorni dall’espulsione dal Paese dell’ambasciatrice messicana.

Espulsione derivante dal risentimento del governo ecuadoriano davanti alle parole del presidente messicano Amlo Lopez Obrador, che aveva evidenziato come l’uccisione del candidato ecuadoriano Fernando Villavicencio avesse favorito la destra durante le ultime elezioni ecuadoriane.

Nonostante egli fosse agli ultimi posti nei sondaggi era infatti un riconosciuto giornalista anti-Correista e i sospetti furono facilmente direzionati dai media contro le forze progressiste.

Un assassinio politico che sembra però eseguito da principianti dato che gli esecutori del gesto, tutti arrestati, furono trovati morti nelle loro celle in carcere pochi giorni dopo, proprio mentre stavano emergendo vincoli tra alcuni clan criminali che li avrebbero assoldati e il governo di destra in carica.

Il nuovo Ecuador dell’oligarca Noboa, sotto l’ala militare e operativa statunitense,  incrementa la propria involuzione autoritaria, mentre il sicariato e la violenza nel Paese continuano ad aumentare.

Nel caos generato da una situazione securitaria sempre più grave, nonostante mesi di militari nelle strade e centinaia di arresti di minorenni dei quartieri popolari, si assiste ad un giro di vite feroce per abbattere l’opposizione, ancora primo partito del Paese, e reprimere le organizzazioni sociali.

Nelle ultime settimane sono stati uccisi tre amministratori pubblici del partito progressista Revolucion Ciudadana. Tra i quali spicca quella che era la sindaca più giovane del Paese, eletta a soli 27 anni.

Il suo omicidio è stato fatto passare dalla stampa in modo rivoltante come “delitto passionale”, nonostante il giudice che segue il caso abbia rifiutato questa ipotesi. Un vecchia tattica tipica, anche alle nostre latitudini, nei delitti di mafia o politici.

Contemporaneamente nuove rivelazioni di “testimoni chiave” starebbero alimentando le inchieste giudiziarie tutte volte a coinvolgere esponenti del mondo progressista con le inchieste sul narcotraffico.

Un’accelerazione, da parte della destra oligarchica, che dopo aver aperto le proprie frontiere a personale militare degli Stati Uniti si avvia ad un referendum con l’obiettivo di unire il superamento di norme elementari dello stato di diritto, proponendo l’impunità per tutte le forze dell’ordine, con una riforma neoliberale che prevede la possibilità di stipulare contratti di lavoro di una sola ora.

Azioni di protesta si sono svolte di fronte alle ambasciate ecuadoriane in vari paesi dell’America Latina, mentre Bolivia e Nicaragua stanno avviando le procedure per interrompere le relazioni diplomatiche con l’Ecuador in sostegno al Messico.

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