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La strana “democrazia” di Ucraina e Israele, parola di Washington

Ogni anno, il Dipartimento di Stato statunitense (l’equivalente del nostro ministero degli Esteri) stende un rapporto sul rispetto dei diritti umani in circa 200 paesi. Anche quest’anno è arrivato il momento di trasmettere i testi al Congresso, compresi quelli sui suoi alleati.

Non che poi Washington faccia davvero quel che dice, cioè difendere la democrazia e i diritti delle persone. Ma questi documenti sono in genere dettagliati e piuttosto onesti nel dar conto delle varie situazioni, pur ridimensionando spesso i crimini commessi da chi è legato agli USA.

Ad ogni modo, non si può nascondere tutto e quest’anno è sicuramente di un certo interesse andare a leggere cosa viene detto su due «bastioni» della democrazia, almeno per come sono presentati nei media occidentali.

Cosa ne pensa il Dipartimento di Stato dell’Ucraina e di Israele?

Per quanto riguarda la prima, la prima cosa che viene affermata è che, senza dubbio, i crimini commessi dai russi nel territorio di Kiev sono peggiori. E, tuttavia, sono elencati diversi nodi problematici che danno l’immagine di un paese che non ha nulla a che vedere con la “democrazia liberale”.

La legge proibisce torture e altre forme di abusi, ma vi sono resoconti che parlano di questo tipo di atti da parte delle forze dell’ordine. E del resto, con la legge marziale, le confessioni e le dichiarazioni estorte sotto costrizione possono essere utilizzate nei processi: insomma, in Ucraina è ormai legittimo torturare.

A queste note seguono tutta una serie di altre violazioni documentate, sia per ciò che riguarda gli arresti sia per i successivi procedimenti giudiziari. Sono tante le infrazioni delle norme di guerra, con la maggior parte attribuite alla Russia, ma rimarcando che esse vengono da entrambe le parti.

È soprattutto l’informazione a uscire devastata dalla guerra. Programmi banditi e sanzioni a giornalisti non allineati col governo, le querele e il pretesto della “sicurezza nazionale” per indirizzare le notizie sono largamente diffusi, così come la pratica dell’autocensura di ciò che si ritiene potrebbe suscitare malumori a Kiev.

Ci sono poi tanti altri ambiti in cui le illegalità si sono moltiplicate: violenza di genere, lavoro minorile, corruzione, libertà di associazione. Il rapporto sottolinea come, oltre ai simboli russi, anche quelli comunisti siano proibiti, cosa che di certo non dispiace ai vertici a stelle e strisce.

Del resto, i partiti comunisti sono stati banditi già dal 2015, ben prima dell’operazione militare russa. È bene ricordare che nelle democrazie liberali occidentali, sicuramente meno evolute di oggi, essi non vennero messi al bando nemmeno durante la Seconda guerra mondiale.

Passiamo a Israele, West Bank e Gaza. La prima sezione del rapporto si apre dicendo subito che nel corso del 2023 vi sono state “diverse segnalazioni che il governo o i suoi agenti hanno commesso uccisioni arbitrarie o illegali”. Non dopo il 7 ottobre, ma ben prima e durante tutto l’anno.

La legge israeliana non proibisce la tortura o altri trattamenti inumani, e ci sono varie relazioni attendibili sul loro utilizzo. Questo è avvenuto in particolar modo nei confronti dei detenuti palestinesi, e soprattutto dopo il 7 ottobre.

Per i crimini che prevedono condanne dai dieci anni in su è obbligatoria la registrazione degli interrogatori, ma una legge “temporanea”  — continuamente prorogata dal parlamento esenta i casi ascrivibili ai reati di sicurezza. In poche parole, tramite legislazione speciale Tel Aviv si è assicurata che non ci possano essere prove scritte dei crimini perpetrati sui prigionieri palestinesi.

Alcuni di loro, detenuti nella West Bank o a Gaza, sono stati trasferiti in strutture interne a Israele. Per molti gruppi che si battono in difesa dei diritti umani, questo va contro la Quarta Convenzione di Ginevra, che tutela i civili in tempo di guerra.

Tutele ormai dimenticate da tempo: il 2 maggio Amnesty International ha riportato l’utilizzo da parte del governo israeliano di un sistema di riconoscimento facciale da usare sui palestinesi per imporre ulteriori restrizioni di movimento. Inutile dire che il database biometrico che ne è risultato raccoglie i dati senza alcun consenso.

Il rapporto continua esplicitando che “il governo ha generalmente rispettato [la libertà di espressione] con alcune eccezioni, soprattutto per i palestinesi e i cittadini arabi/palestinesi di Israele”. Per questi ultimi vale anche, allo stesso modo, la restrizione del diritto a riunirsi pacificamente.

Sono frasi che smontano le dichiarazioni che ogni tanto si sentono sul fatto che i palestinesi con cittadinanza israeliana vivano “senza problemi” nell’entità sionista. Una falsità che deriva dalla Costituzione stessa di Israele, in quanto progetto coloniale, suprematista e, dal 2018, anche stato etnico-religioso (“ebraico“) per legge.

Nel rapporto sono ricordati anche molti altri elementi tragici del genocidio condotto da Israele. Per citarne uno, il Comitato per la protezione dei giornalisti ha denunciato “un apparente schema di attacchi ai giornalisti e alle loro famiglie da parte delle forze armate israeliane”.

Tutte queste informazioni non sono elucubrazioni di un qualche “comunista rancoroso” o di qualche “integralista islamico”, ma una rassegna di notizie e rapporti raccolti dal Dipartimento di Stato statunitense.

Come possano andare d’accordo con la retorica per cui la guerra che la filiera euroatlantica sta alimentando in Ucraina e Medio Oriente sia “a difesa della democrazia” è un mistero che ha senso solo nelle sale di Bruxelles e Washington.

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