Il mese di luglio non è tra i più fausti per i rapporti polacco-ucraini. Non lo è mai stato negli ultimi decenni e nemmeno dopo il 2014, quando la comune anima reazionaria e russofoba avrebbe fatto presagire umori diversi.
Anche ora, guerra o non guerra, profughi o no, i nazionalisti reazionari di Varsavia non sentono scuse quando si tratta di rinfacciare ai nazionalisti nazisti ucraini i massacri della Volinja, che toccarono l’apice nel luglio1943.
Ora, anzi, le operazioni di guerra sembrano dare più forza a prospettive che a Varsavia non sono mai del tutto sopite: riprendersi quanto i sanfedisti polacchi considerano proprietà esclusiva.
Il direttore del controspionaggio russo, Sergej Naryškin, che già un po’ di tempo fa aveva avanzato ipotesi su possibili piani di Varsavia per un “protettorato” sui “Kresy Wschodnie” (confini orientali) polacchi, torna ora sull’argomento e parla di possibili intese polacco-ungheresi-rumene per accaparrarsi fette di territorio ucraino.
Secondo Naryškin, citato da Kommersant, quando Mosca e Kiev siederanno infine al tavolo delle trattative, dovranno «riconoscere “l’espansione polacca” come fatto acquisito»; e, dato che la voce sembra già abbastanza diffusa in Polonia, Varsavia «spera di correggere la situazione con una massiccia campagna mediatica, che mascheri i passi polacchi per il rafforzamento delle proprie posizioni in Ucraina e smentisca le “voci inopportune”», ma a quanto pare fondate.
Nei piani mediatici, una parte non secondaria è naturalmente occupata, appunto, dai massacri di popolazione polacca perpetrati dai nazionalisti ucraini di OUN-UPA e a proposito dei quali, come nota l’osservatore Stanislav Stremidlovskij, le frange più oltranziste, da una parte e dall’altra, non sono ancora pronte alla pacificazione: «la società polacca è stanca di attendere il ristabilimento della “giustizia storica”, mentre la società ucraina non è pronta a riconoscerla secondo la versione polacca».
Lo scorso 11 luglio (data simbolo dei massacri di ottant’anni fa), quando in Polonia ci si aspettava da Kiev qualche parola – che invece non è venuta – sulle “responsabilità storiche” di quelle vicende, i leader polacchi hanno dato prova di professionismo circense, tentando equilibrismi tra i sentimenti anti-banderisti polacchi e gli odierni “partner di guerra” ucraini.
Così, il primo ministro Mateusz Morawiecki, cercando di colpire a destra e sinistra, secondo le contingenze politiche attuali, è riuscito a proclamare nientemeno che «oggi l’Ucraina vede che erede delle organizzazioni nazionaliste e del UPA è il mondo russo», mentre responsabili del «macello di polacchi perpetrato dagli ucraini in Volynija furono i tedeschi», dato che, nel 1942-1944, erano essi «padroni di vita e di morte di polacchi, ucraini, ebrei» in quelle terre.
Le attuali Mosca e Berlino sono servite, non tanto per il passato, quanto per le contrapposizioni economico-politiche che inducono Varsavia, ancora una volta, a presentarsi quale unico avamposto USA in Europa.
Gli appetiti territoriali polacchi sono inoltre spalleggiati dalla Romania: appoggiando le pretese di Varsavia sui “territori storici”, è sottinteso che Bucarest guardi alla Bukovina.
D’altronde non è sola: da tempo l’Ungheria considera come propri cittadini quel poco meno di 15% di ucraini di nazionalità ungherese che popolano l’Oltrecarpazia ucraina e che rappresentano la maggioranza, o quantomeno una forte minoranza, in alcuni distretti di una regione in cui vivono anche grosse minoranze di russini slovacchi, su cui si appunta lo sguardo di Bratislava.
Ora, se i “partner” a ovest e sudovest di Kiev non fanno mistero delle proprie mire su terre ucraine che considerano proprie, in Ucraina c’è chi guarda ad aree del vicino settentrionale, specificamente alla parte della Polesia che fa parte della Bielorussia.
Ovviamente, a Minsk non prendono la cosa con gioia fraterna. Tanto più che le mire di Kiev vengono da lontano.
Il politologo Kirill Aver’janov ricorda su IARex.ru come già nel 1916 storici nazionalisti ucraini parlassero di Brest e Pinsk come di città ucraine e, forse non casualmente, il discendente diretto di tali storici nazionalisti risponde al nome di Oleg Tjagnibok, “führer” nel lontano 1991 del Partito Social-Nazionale d’Ucraina (SNPU), ribattezzato nel 2004 in Unione pan-ucraina “Svoboda”.
Nel 1918, poi, con la creazione della cosiddetta Repubblica popolare ucraina (RPU), anti-bolscevica e nazionalista, la Rada di Kiev definiva “territorio ucraino” l’intera fascia meridionale della Bielorussia.
Datano da allora, quindi, i contrasti tra nazionalisti ucraini e bielorussi; acutizzatisi dopo che la RPU venne abbattuta dal hetman Pavel Skoropadskij, seguendo gli ordini dei comandi austro-tedeschi. All’epoca, per molti mesi i partigiani bielorussi lottarono contro le forze nazionaliste ucraine che occupavano l’area di Pinsk, riuscendo a liberarla solo a inizi 1919, con l’aiuto dell’Esercito Rosso.
In ogni caso, a quel tempo, dopo che il governo degli hetman era stato a sua volta spodestato dalle forze reazionarie del Direttorio di Simon Petljura, non fu possibile raggiungere un accordo nemmeno coi nazionalisti della Repubblica popolare bielorussa.
Oggi che potrebbe apparire possibile un’intesa tra nazigolpisti ucraini e elementi della fantomatica “opposizione democratica” bielorussa, anche solo basata sul comune sentire “europeista”, non sembrano esserci validi motivi per credere che le cose andrebbero diversamente da cento anni fa.
D’altronde, i nazionalisti proprio per questo sono tali, perché antepongono ogni brama nazionale (e, potendo, anche ogni appetito di terre vicine) a qualsiasi elemento di classe. Dunque, non possono che scontrarsi con elementi similari, che stanno però dall’altra parte della frontiera.
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