La valutazione di Hamas sull’ultima proposta di tregua nella Striscia di Gaza, presentata dai mediatori al Cairo e approvata da Israele, è “negativa”. Lo ha dichiarato ieri sera Osama Hamdan, un funzionario di Hamas con sede in Libano, all’emittente libanese “Al Manar“. “La posizione negativa non significa che i negoziati si siano fermati. C’è un tira e molla”, ha chiarito in seguito l’ufficio stampa di Hamas. Parlando ad “Al Manar”, Hamdan ha anche avvertito che il gruppo islamista abbandonerà i negoziati se Israele lancerà l’operazione di terra – da tempo promessa – a Rafah, la città più a sud di Gaza, al confine con l’Egitto.
Yahya Sinwar- leader di Hamas a Gaza – aveva già considerato la proposta di intesa per una tregua come “una trappola”. Secondo Sinwar, “la proposta sul tavolo non è una proposta egiziana, ma una proposta israeliana sotto mentite spoglie”.
Secondo fonti israeliane Tel Aviv aspettava una risposta dell’organizzazione palestinese sulla bozza d’intesa entro ieri sera. Ma dopo il ritorno della delegazione al Cairo, il Movimento di Resistenza Palestinese Hamas ha avuto consultazioni approfondite sui negoziati in corso per un possibile cessate il fuoco.
La televisione libanese Al-Mayadeen ha riferito martedì che, nonostante i progressi, ci sono ancora questioni controverse, in particolare riguardanti i prigionieri, che richiedono ulteriori discussioni per raggiungere un accordo su numeri e condizioni.
Il problema è che su qualsiasi trattativa pesa l’ipoteca dell’attacco israeliano a Rafah.
Martedì Netanyahu ha infatti ribadito l’intenzione del suo governo di invadere comunque la città di Rafah, l’ultima città nel sud della Striscia di Gaza in cui l’esercito israeliano non è ancora entrato, e dove si sono rifugiati circa 1,4 milioni di civili palestinesi.
Nel corso di un incontro con i familiari delle persone uccise o prese in ostaggio da Hamas nell’attacco del 7 ottobre, Netanyahu ha detto che Israele invaderà Rafah «con o senza un accordo» con Hamas per un cessate il fuoco.
Una posizione, quella israeliana che rende risibile qualsiasi accordo sullo scambio di prigionieri. E’ opinione diffusa che, una volta ottenuti gli ostaggi, le truppe israeliane attaccheranno Rafah. Affibbiare ad Hamas l’eventuale fallimento della trattativa è dunque fuori luogo.
A confermare i peggiori sospetti sono anche le notizie che arrivano proprio da Israele dove emerge che la sorte degli ostaggi ancora in mano ai palestinesi non è affatto la priorità degli obiettivi israeliani.
In Israele hanno suscitato molte polemiche le dichiarazioni del ministro israeliano di estrema destra per gli insediamenti e i progetti nazionali, Orit Strook, quando nella giornata ha detto che un governo che sacrifica tutto per recuperare 22 o 33 detenuti non merita di esistere.
Ci sono “soldati che si sono lasciati tutto alle spalle e sono andati a combattere per gli obiettivi definiti dal governo, e noi lo gettiamo nella spazzatura per salvare 22 persone o 33 o non so quante”, ha detto Strook alla radio dell’esercito israeliano, secondo The Times of Israel.
In risposta ai commenti di Strook, il leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid ha scritto su X che “un governo con 22 o 33 membri della coalizione estremista non ha il diritto di esistere”.
Il problema però è che la posizione di Strook, appare in linea con quella di altri membri del governo israeliano.
Il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, leader del partito Sionismo religioso, ha suggerito martedì che l’approvazione dell’accordo proposto per una tregua e il rilascio dei prigionieri a Gaza potrebbe rappresentare una “minaccia esistenziale” per Israele.
“Siamo arrivati a un bivio in cui lo Stato di Israele deve scegliere tra la vittoria decisiva e la sconfitta in guerra e l’umiliazione”, ha detto al Times of Israel.
Da parte sua, il ministro della Sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben Gvir ha confermato che Netanyahu gli aveva assicurato di non accettare un accordo così “sconsiderato”.
A Gerusalemme, si è tenuta una manifestazione proprio davanti alla casa di Netanyahu. Una dichiarazione del gruppo di protesta ha detto: “Dopo che ci hanno promesso per sei mesi che solo i combattimenti possono riportarli a casa, ora sappiamo tutti che l’unico modo per salvare coloro che possono essere salvati è attraverso un accordo. Chiediamo al primo ministro: non soccomba alle pressioni estremiste, che usano gli ostaggi come scusa per continuare a fare la guerra. È tempo di scegliere la vita. Coloro che ci hanno deluso, devono restituirli”.
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