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Medio Oriente: siamo ad un punto di non ritorno?

Il primo ministro del Qatar, Mohammed Ben Abderrahmane Al Thani, si è interrogato sull’opportunità di proseguire la mediazione tra Israele ed Hamas dopo l’assassinio del capo del movimento palestinese, Ismaïl Haniyeh, ucciso a Teheran probabilmente da un missile israeliano.

Gli assassinii politici ed il fatto che dei civili continuino ad essere bersaglio a Gaza (…) ci portano a domandarci come una mediazione possa riuscire quando una parte uccide il negoziatore dell’altra parte” ha scritto su X.

La pace ha bisogno di partner seri” ha affermato Al Thani.

Il Qatar e l’Egitto erano i due paesi che fungevano da mediatori, ma è chiaro che le trattative, già piuttosto infruttuose e a questo punto appese ad un filo, rischiano di essere giunte ad un binario morto.

All’assassinio di Ismaïl Haniyeh si aggiunge l’attacco in Libano di due giorni fa, con Hezbollah che ha dato conferma della presenza di Fouad Chokr nell’edificio colpito dai caccia israeliani, ma non della sua morte.

Sembra precluso qualsiasi avanzamento delle trattative per un cessato il fuoco a Gaza, dove sono già morte circa 40 mila persone, e anzi si rischia l’intensificazione di un conflitto che è già a tutti gli effetti e da tempo su scala regionale.

Con ciò che è accaduto è passato sotto silenzio l’attacco statunitense (quattro morti ed altrettanti feriti) su una base a Sud di Baghdad, che sarebbe stata utilizzata dalle unità della mobilitazione popolare.

Si parla di una agenzia di sicurezza nazionale egemonizzata dalle milizie sciite filo-iraniane, che hanno ripreso negli ultimi giorni gli attacchi alle basi statunitensi in Iraq e Siria.

Sia l’Iran che la dirigenza di Hamas, ed in precedenza quella di Hezbollah per l’attacco a Beirut, hanno affermato che vi saranno reazioni risolute.

L’ayatollah Ali Khamenei ha affermato sul IRNA: “Noi consideriamo che è nostro dovere vendicare il sangue che è stato versato sul territorio della Repubblica islamica dell’Iran”.

Dmitri Peskov ha emesso una dura condanna dell’uccisione del capo di Hamas in Iran, affermando: “noi condanniamo in maniera risoluta questo attacco (…) Noi pensiamo che questi atti siano diretti contro i tentativi di ristabilire la pace nella regione e possono destabilizzare in maniera considerevole una situazione già tesa”.

Il portavoce della diplomazia cinese, Lin Jian, usa parole simili: “Noi siamo molto preoccupati per questo avvenimento, noi ci opponiamo vigorosamente e condanniamo questo assassino”.

Prese di posizioni simili sono giunte da differenti paesi: Pakistan, Afghanistan, Iraq, Siria e Turchia. Particolarmente dura la condanna di Erdogan che scrive sul suo account X: “Che Dio abbia pietà del mio fratello Ismail Haniyeh, caduto martire a causa di questo odioso attacco”, denunciando “la barbarie sionista”.

Se gli attacchi israeliani sono diretti all’‘Asse della Resistenza’ che ha tenuto testa all’entità sionista, indirettamente tendono a colpire quei soggetti che si stanno spendendo per una soluzione diplomatica.

Far tacere le armi e porre sul piatto la creazione dello Stato palestinese come conditio si ne qua non dell’avvio di un processo di pace nell’intera regione è un’ipotesi vista come fumo negli occhi da tutta la leadership politica israeliana.

Come ha ben spiegato Fulvio Scaglione nel suo editoriale sull’Avvenire di martedì 30 luglio: “molti paesi sostengono il diritto di Israele ad esistere, e quindi, a rispondere alle aggressioni. Questi stessi Paesi, però, non hanno alcuna leva per moderare le reazioni di Israele e soprattutto, nessuna influenza sull’approccio al vero problema: la costituzione di uno Stato palestinese”.

Al contrario: più insistono, più Israele (questo Israele almeno) radicalizza il rifiuto. Solo poche settimane, infatti, fa il Parlamento ha votato una risoluzione che definisce quell’ipotetico Stato “una minaccia esistenziale”.

È chiaro che siamo entrati in una logica di reazioni e contro-reazioni a catena ed a somma zero, dove il punto di non-ritorno per una maggiore escalation è dietro l’angolo visto che i precari equilibri geo-politici sono saltati da tempo e non solo in Medio Oriente.

Il blocco occidentale – compreso il governo del nostro Paese – è incapace a contenere l’azione militare israeliana, che anzi appoggia platealmente, ed il sionismo che, come ogni forma crepuscolare di colonialismo, si mostra come una belva ferita, ma non meno feroce.

Il probabile doppio assassinio mirato da parte di Israele, se non indebolisce la leadership delle due formazioni della resistenza libanese e palestinese, allontana l’ipotesi di una soluzione alla tendenza alla guerra che domina il Medio Oriente.

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