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Catalogna. Il Psoe controlla la Generalitat, gli indipendentisti riprendono la piazza

Mentre la piazza di Barcellona si animava per il ritorno di Carles Puigdemont, la camera catalana ha eletto ieri con una esile maggioranza (68 voti favorevoli contro 66 contrari) il nuovo Presidente della Generalitat. Si tratta di Salvador Illa, segretario del Partit dels Socialistes de Catalunya, esponente di spicco dell’apparato del partito dall’eloquente curriculum personale.

Favorevole alla dissoluzione del parlamento catalano e fautore della repressione del movimento indipendentista, nell’ottobre 2017 Illa scende in piazza a fianco del Partido Popular, di Ciutadans e degli ultras del nazionalismo spagnolo per opporsi al processo di autodeterminazione del popolo catalano. Come ministro della sanità del governo e stretto collaboratore di Pedro Sánchez durante la pandemia, è al centro di numerose polemiche riguardo agli acquisti del materiale sanitario e alla gestione dell’emergenza.

Ultracattolico, ama ricordare con piacere la propria esperienza nell’esercito. Un perfetto rappresentante della parabola del PSC, ormai del tutto estraneo al catalanismo e mero satellite del PSOE. Nel suo discorso inaugurale Illa ha tenuto però un profilo dialogante e ha sottolineato l’importanza dell’intesa raggiunta con Catalunya en Comú e soprattutto con Esquerra Republicana de Catalunya, che ha più volte ringraziato e che di fatto ne ha reso possibile l’elezione.

Dopo una votazione interna che ha sancito la divisione del partito (53,5% favorevoli, 44,8% contrari, 1,7% astenuti, con una partecipazione del 77% degli aventi diritto), ERC ha deciso la settimana scorsa di accordare la fiducia a Illa. Moneta di cambio una vaga promessa dei socialisti secondo la quale il governo catalano e quello spagnolo dovrebbero accordarsi per una modifica del sistema di raccolta delle imposte: se finora lo stato ha raccolto preventivamente le risorse e ne ha restituito in un secondo momento una quota alla Generalitat, a partire dal 2026 sarebbe il governo catalano a raccogliere le risorse e trasferirne una parte allo stato.

Si tratterebbe di un regime fiscale che ERC giudica più favorevole, anche se ancora lontano dal vantaggioso sistema di cui beneficia la borghesia regionale basca. Ma più di un osservatore ha espresso seri dubbi sulla reale volontà del governo spagnolo di mettere in pratica quanto promesso. E la decisione di ERC sembra il risultato scontato di un gruppo dirigente che ha portato il partito dal conflitto per la sovranità, e quindi per il potere, alla gestione dell’ordinaria amministrazione.

Tuttavia mentre nella camera catalana si inscenava la pax socialista, dalla piazza veniva un segnale opposto. In vista del ritorno annunciato di Puigdemont, che nei giorni scorsi aveva espresso la volontà di partecipare al dibattito sulla fiducia, le associazioni della società civile catalana (l’Assemblea Nacional Catalana e Òmnium) sono scese in piazza per accogliere e accompagnare dentro al parlamento regionale il leader dell’esilio.

Al loro fianco anche la Candidatura d’Unitat Popular, la Intersindical CSC e i Comitès de Defensa de la Republica. Intorno alle 9 di mattina, Puigdemont è comparso al passeig Lluís Companys dove ha tenuto un brevissimo discorso davanti a circa diecimila manifestanti. Riferendosi alle differenti facce del nazionalismo spagnolo, a cominciare da Vox, che si presenta come parte civile nei processi contro gli indipendentisti, per continuare con il Partido Popular, che ancora controlla i tribunali e per finire con il PSOE, che permette tutto ciò, Puigdemont ha affermato che “malgrado i loro sforzi … oggi sono venuto qui per ricordare loro che siamo ancora qui”.

E dopo aver rivendicato il diritto all’autodeterminazione per il popolo catalano, l’ex presidente è riuscito a schivare la sorveglianza delle forze dell’ordine e a dileguarsi nel nulla, grazie alla collaborazione degli organizzatori della manifestazione e all’aiuto di alcuni agenti della polizia catalana rimasti fedeli all’ex presidente.

I Mossos d’Esquadra hanno chiuso per diverse ore le arterie in uscita da Barcellona, dispiegando un’operazione che ha ricordato quella volta a catturare gli attentatori del 17 agosto 2017. A dispetto dei controlli alla frontiera con la Francia e in numerosi punti del paese, l’operazione gabbia non ha però avuto successo.

Nonostante la legge d’amnistia benefici tutti coloro i quali siano imputati di delitti legati alle vicende scatenate dal referendum del primo ottobre 2017, il giudice del Tribunale Supremo Pablo Llarena ne fa una interpretazione restrittiva e si rifiuta di applicare il provvedimento a Puigdemont, accusato di malversazione e perciò tuttora ricercato dalle forze di polizia spagnole.

La mancata amnistia di Puigdemont è però tutt’altro che un’eccezione. Secondo i dati forniti da Alerta Solidària, una organizzazione antirepressiva dell’esquerra independentista, l’applicazione dell’amnistia dei socialisti è assai parziale: su un totale di più di 500 manifestanti interessati, alla data del 31 luglio solo 42 sono stati amnistiati. Ma quello che è più significativo è che alla stessa data sono già 51 i poliziotti beneficiati dall’amnistia e perció sottratti alle indagini per le violenze del primo ottobre e i maltrattamenti (che rasentano la torura) denunciati in particolare dai Comitès de Defensa de la República.

Attorno alle dieci i manifestanti hanno cercato di entrare nel recinto della camera catalana ma sono stati respinti dai Mossos d’Esquadra, che hanno impiegato il gas irritante e hanno denunciato una quindicina di persone. Numerosi manifestanti hanno richiesto l’aiuto dei sanitari in seguito all’impiego del gas, una misura che Irídia, un’associazione catalana dedita alla difesa dei diritti civili e politici, ha giudicato sproporzionata e non giustificata dalle circostanze.

Nel pomeriggio la votazione alla camera non ha riservato sorprese, riportando dopo più di un decennio un socialista alla presidenza della Generalitat. Da segnalare il discorso del portavoce di Vox che, dopo aver definito l’islam come il grande problema dell’occidente e i giovani provenienti dal Maghreb come dei delinquenti, si è scagliato come di consueto contro gli indipendentisti.

Dal canto suo la Candidatura d’Unitat Popular ha definito il sostegno dei repubblicani e dei comuns al candidato del PSC una vera e propria aberrazione. Secondo la coalizione anticapitalista e indipendentista, l’accordo con i socialisti non farà avanzare le classi popolari catalane né sul piano sociale né su quello dell’autodeterminazione nazionale. In particolare le misure annunciate sul tema degli affitti, sulla regolazione degli alloggi turistici, sulla difesa del territorio dalla speculazione e sui servizi pubblici non convincono la CUP.

La deputata Laia Estrada ha definito Illa una sorta di vicerè ostile alla Catalunya e la sua elezione la fine di un ciclo. “Il nostro è un popolo che lotta, siamo un paese che non si rassegna e che ha forgiato la propria storia nella ribellione” ha affermato la portavoce degli anticapitalisti. Perciò se è vero che il processo di autodeterminazione (cosí come si è caratterizzato negli ultimi anni) è morto oggi nella camera catalana, è altrettanto vero che “la lotta per l’indipendenza continua nelle piazze”.

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