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Il puzzle di Erdogan

Il 5 agosto scorso, a soli due giorni dal decimo triste anniversario del genocidio del popolo ezida del Distretto iracheno di Shengal, condotto dall’Isis, il Consiglio supremo di giustizia irachena ha deciso di dichiarare fuori legge tre partiti: il Kurdistan Society’s Freedom Movement (Tevgera Azadî), il Democracy Struggle Front Party e il Ezidi Freedom Democracy Party (PADÊ), confiscando anche i loro beni. Il Pade è il partito che rappresenta gli ezidi che si battono per il riconoscimento dell’Amministrazione autonoma di Shengal, possibilità prevista dalla Costituzione irachena.

La determinata volontà di raggiungere questo obiettivo, nata proprio dall’esperienza del genocidio, ha causato agli ezidi non pochi problemi, come interventi militari sia da parte del governo federale iracheno nel 2022 sia di quello della Regione autonoma del Kurdistan iracheno l’anno precedente.

L’Amministrazione autonoma richiesta dal Pade, in parte già posta in essere come risposta politica ai veti di Baghdad e Erbil, prevede la creazione di municipalità governate dal paradigma del confederalismo democratico, progetto politico teorizzato da  Abdullah Ocalan, il quale prevede una democrazia secondo il modello “bottom-up”, la liberazione delle donne attraverso la piena partecipazione alle decisioni politiche e all’amministrazione pubblica, una politica che tenga in considerazione l’ambiente e, elemento irrinunciabile, l’autodifesa.

Ocalan è il fondatore del PKK e si trova da venticinque anni rinchiuso nella prigione di massima sicurezza sull’isola di Imrali, in Turchia.

Pade-confederalismo democratico-PKK, questa è la relazione che ha portato il Consiglio a chiudere il partito, accusandolo, insieme agli altri due che hanno subito gli effetti della sentenza, di essere in sostanza una flliale del PKK. Il KNK (Kurdistan National Congress),  nato nel 1999 per difendere i diritti dei curdi e con sede principale a Bruxelles, ha rilasciato una dichiarazione negando l’affiliazione del Pade all’organizzazione.

Ora, provando a mettere insieme i pezzi potremmo scoprire che dietro a questa decisione c’è la mano lunga del Presidente turco Recep Tayyp Erdogan. 

Da aprile scorso nei rapporti tra Iraq e Turchia sono intervenuti dei cambiamenti significativi. Anche le visite del capo di Ankara e dei suoi “emissari” si susseguono con un buon ritmo. Ad aprile Erdogan aveva dichiarato che l’incontro con il Primo ministro iracheno, Mohammed Shi’a al Sudani, aveva dato buoni frutti e infatti il PKK era stato messo subito fuori legge anche in Iraq, in cambio di accordi commerciali. Il mese scorso, come scritto sul sito Daily Sabah, “il governo (iracheno) ha informato tutte le istituzioni dello Stato che nella corrispondenza ufficiale devono riferirsi al PKK come a un gruppo fuorilegge”.

Il Presidente turco, sempre a seguito del suo tour iracheno, aveva poi annunciato che per l’estate avrebbe attaccato il PKK nelle sue basi nel Kurdistan iracheno e in Rojava, in Siria. Promessa mantenuta con il lasciapassare, nel Kurdistan iracheno, del KDP (Kurdistan democratic party) che governa la regione ed è suo stretto alleato.

Baghdad si è preoccupata perché, di fatto, con la costruzioni di nuove basi militari turche nella regione e di checkpoint, la sovranità sul suo territorio va scemando a favore di un’altro Stato. In fretta e furia una delegazione della capitale irachena aveva raggiunto Erbil per discutere della questione ma da allora nulla è cambiato, i bombardamenti turchi continuano e con loro distruzioni di territori e uccisione di civili.

Pochi giorni fa Erdogan è ritornato in Iraq e, a seguito di questa visita, il Pade e altri due partiti sono stati dichiarati fuori legge. Shengal è una zona strategica per tutti gli attori regionali, quindi anche per la Turchia, per quel confine importante che condivide con il Rojava. La presenza di un partito come il Pade non rientra nei piani di Erdogan. Meglio sbarazzarsene “pacificamente”, per ora, riponendo una ripagata fiducia nel Consiglio supremo di giustizia e preparare il terreno che favorisca il pieno controllo del Distretto al fedele e supino alleato, il KDP.

Ricordiamo che Shengal fa parte di quei territori che Baghdad e Erbil si contendono e quindi, per Erdogan, ogni pezzo del puzzle deve andare al suo posto per raggiungere il vero obiettivo, ossia la cancellazione del PKK in Iraq e la demolizione del progetto politico del confederalismo democratico che in Turchia gli sta dando più di un grattacapo.

Ma anche l’influenza iraniana nella zona, attraverso le milizie Hashd Al Shaabi, non viene ignorata da Ankara, che mira ad ottenere un ruolo in Medio Oriente di primo piano e si promuove come il ponte che unisce questa regione all’Europa, attraverso non solo la sua influenza politica ma anche per mezzo di relazioni commerciali di cui la costruzione della development road, progetto che permette il trasporto delle merci dall’Oriente all’Europa, attraversando tutto l’Iraq e raggiungendo il Vecchio Continente entrando dalla Turchia, è un elemento principale.

Ogni tassello, dunque anche la cancellazione del Pade dall’arena politica, deve contribuire a comporre il puzzle neo-imperiale, seppure di più modeste dimensioni rispetto ad altre potenze, che la Turchia ha come fulcro della sua strategica.


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