Menu

Golpismo, il genoma del capitalismo

Le scene di violenza in Venezuela, dove i nuovi “guarimberos” hanno attaccato uomini, uffici e simboli dell’istituzionalità del Paese, vanno decifrate per quello che sono: un tentativo di colpo di Stato voluto e sostenuto dagli Stati Uniti come tutti i precedenti tentativi nella storia delle relazioni USA-Venezuela.

L’obiettivo era (ed è tuttora) il rovesciamento del governo di Maduro e l’instaurazione di un regime di estrema destra simile per molti aspetti a quello di Noboa in Ecuador e – per alcuni tratti – a quello di Milei in Argentina.

La fisionomia golpista della destra venezuelana non sorprende. L’identità subculturale, idrofoba, impregnata di classismo, razzismo e odio verso l’interno unito a dosi massicce di malinchismo (non semplice esterofilia, ma affascinamento e devozione per i paesi esteri  dominanti ndr) verso l’esterno, sono i connotati tipici della destra latinoamericana in generale, e trovano nella destra venezuelana il punto di massima espressione.

Certo, la destra continentale dispone di blocchi sociali, di voti pesanti, di appoggi politici e imprenditoriali, che usufruisce di sanzioni e accerchiamento imperiale, di strumenti mediatici, di finanze e di relazioni internazionali, ma laddove c’è una sinistra che svolge la sua missione, la destra non riesce a diventare maggioranza elettorale.

L’unico strumento praticabile per essa, connotato dalla sua dimensione ideologica, è quindi la presa violenta del potere. Perché i tempi di attesa per tornare a essere maggioranza elettorale sono lunghi (laddove esistono) e inconciliabili con l’urgenza di arrestare il cambiamento internazionale di cui la stessa America Latina è in parte ispiratrice e comunque protagonista.

Il golpismo non è (solo) una cospirazione di perversi, ma una precisa modalità di azione politica. Ma se non è (solo) una cospirazione di malvagi, è anche vero che non esiste una cospirazione di malvagi che non sia stata concepita da un cospiratore ancora più malvagio.

I funzionari del terrore agiscono in ossequio a un’idea di governo che rappresenta apertamente gli interessi dei potenti.

Il tutto nasce innanzitutto dalla negazione delle regole democratiche, dalla non accettazione del fondamento della democrazia, ossia la libertà di espressione e la partecipazione alla vita politica ed elettorale di tutti i cittadini. Il principio universale della partecipazione è visto come un affronto alla dimensione del potere politico che, secondo loro, appartiene esclusivamente alla classe a cui appartengono ed ha come caratteristiche identitarie il fascismo, il razzismo, il classismo e il dominio maschile.

Con la rivendicazione della supremazia di una razza ispanica con radici europee e la conferma del loro destino con la pretesa di essere al vertice di ogni piramide sociale, maledicono di essere nati nel Sud e credono che sostenendo il Nord possano trovare il loro posto.

Sanno che la mera funzione di vassallaggio al gigante del Nord mantiene popoli e Paesi in miseria, ma garantisce la loro ricchezza e difende i privilegi che la accarezzano. È, per eccellenza, l’applicazione del postulato principale della Dottrina Monroe, che produce una coincidenza di interessi tra l’impero e l’oligarchia latinoamericana: la cooptazione della casta oligarchica trova, nell’alleanza con gli USA, una straordinaria coincidenza ideologica e programmatica che si esprime nel mutuo soccorso e che vede nell’annessionismo una sorta di destino naturale da accompagnare e mai da contrastare.

C’è poi l’aspetto del contrasto alle politiche socio-economiche che, laddove si insediano governi di sinistra, tendono a invertire le priorità di spesa in direzione dei meno abbienti, interrompendo il trasferimento di risorse pubbliche al settore privato già graziato con inesistenti tassazioni sui profitti e legiferazioni medievali sul terreno dell’organizzazione del lavoro.

Gli investimenti nei diritti universali rappresentano dunque una minaccia mortale per il dominio di classe, perché laddove i bisogni generano diritti, il privilegio perde cittadinanza.

Tuttavia, il golpismo non è un’eredità esclusiva del panorama latinoamericano: la stessa Europa – Spagna, Italia, Grecia, Portogallo, Romania e Ucraina tra gli altri – ne è stata vittima.

Ma il continente latinoamericano rimane il territorio più propizio per esperimenti di stravolgimento violento dell’ordine democratico: questo, del resto, è confortato dalla sua storia di laboratorio politico per le tecniche di dominio a cui gli Stati Uniti hanno storicamente sottoposto il subcontinente.

I modelli operativi del colpo di Stato

L’ingresso della tecnologia nei processi di cambiamento sociale ha portato a modifiche pratiche, e non concettuali, delle dottrine golpiste. Queste avvengono nel mezzo di una transizione che, in alcuni casi, ha ancora il volto storico dell’avventura in cui i militari assumono il controllo dei Paesi; in altri, la metodologia applicata si basa invece sulla destabilizzazione dall’esterno che si affida all’interno sull’alleanza tra settori oligarchici, gerarchie ecclesiastiche ed estrema destra.

Quando, per mancanza di condizioni oggettive, le due opzioni citate diventano impraticabili, c’è il “Piano C”: lasciare il governo di alcuni Paesi (anche paesi chiave per l’assetto geopolitico latinoamericano) a un’opzione elettorale diversa nella forma ma simile nel contenuto.

Questa parziale e talvolta forzata apertura di serraglio permette di far passare il messaggio di una presunta vena democratica in cui si riconoscerebbero i militari e gli uomini d’affari, l’estrema destra e la Chiesa. Niente di più falso. Si tratta sempre di gorilla, solo che per l’occasione si presentano in giacca e cravatta.

La particolarità dei colpi di Stato latinoamericani è che intersecano le esigenze di dominio delle oligarchie locali e del capitalismo statunitense e che entrambi acquisiscono connotati numericamente significativi grazie anche all’appoggio incondizionato delle gerarchie ecclesiastiche e dell’evangelismo (in feroce competizione tra loro ma entrambi arruolati per la causa comune) decisivi nel cementare e strutturare il consenso di massa alla strategia imperiale.

Ed è proprio negli Stati Uniti che il modello contemporaneo di complotto golpista, comunemente identificato con le strategie di guerra ibrida, esprime il senso più profondo degli interessi statunitensi.

Il tentato (e ripetuto) colpo di Stato in Venezuela fa scuola. È difficile ignorare che l’idea di rovesciare il chavismo attraverso un colpo di Stato esiste dal primo giorno in cui il Comandante Chávez si è insediato a Miraflores.

Oggi, qualunque sia l’interpretazione che se ne voglia dare, deve essere vista come una parte fondamentale della più ampia operazione di Washington di “bonifica e recupero” del continente.

Operazione che richiede una certa urgenza vista da Washington. Nell’attuale contesto internazionale, infatti, i capitali che si spostano dal Nord al Sud e all’Est, la riconversione verde delle economie mostra i suoi limiti strutturali insuperabili e i combustibili fossili  mantengono il loro valore strategico.

L’Occidente collettivo che deve fare a meno degli idrocarburi russi e oltretutto ha nel Golfo Persico amici meno affidabili che in passato, quindi le straordinarie riserve venezuelane di petrolio convenzionale e non convenzionale, di minerali preziosi, di acqua dolce e di riserve della biosfera hanno un valore strategico assoluto.

Venti milioni di barili di petrolio al giorno transitano dallo Stretto di Hormuz per raggiungere le coste statunitensi, e la differenza di costo tra i 44 giorni che ci vogliono per navigare e i quattro giorni che ci vorrebbero se il greggio provenisse dal Venezuela è la misura della conveniente “ansia da democrazia” della Casa Bianca. Qui, prima ancora della narrazione politica, si misura l’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti del continente.

Passano i decenni e la storia non cambia: a ogni processo di emancipazione e liberazione, la destra reazionaria e conservatrice oppone la forza alla ragione. Le rivoluzioni che sono hanno raddrizzato i torti e liberato popoli da un flagello come le dittature oligarchiche che hanno pattinato nel sangue dei giusti, hanno già sperimentato in modo simile il tentativo americano di rovesciarle con la forza. Le risposte sono dovute arrivate in modo brusco e inappellabile. Parafrasando Bertolt Brecht, non si poteva e non si può essere gentili.

Questo è ciò che hanno insegnato i processi rivoluzionari che si sono trasformati in governo: si può giocare alla democrazia quando questa si riduce al principio di delega e le distanze tra governanti e governati restano assolute.

Ma l’affermazione di un processo democratico vero, basato cioè sulla partecipazione popolare, non può essere separata dalla necessità di difendere costituzionalità e istituzionalità del sistema politico e, dunque, l’esito del voto con qualsiasi mezzo e in qualsiasi momento.

La difesa della volontà popolare è il preludio di qualsiasi progetto democratico e progressista, tanto più di un progetto socialista. In un mondo che sarebbe governato dalle “regole”, questa dovrebbe essere la regola certa, invece è la meno osservata.

Prima ancora che prenda piede un processo di cambiamento socio-economico – auspicabile e necessario – fermare il golpismo significa riaffermare la legittimità del cambiamento sociale e politico.

Un secolo e mezzo dopo, si riafferma la tesi di Marx che, pur rifiutando l’idea di una democrazia formale che non abolisce le disuguaglianze, prevedeva che la stessa democrazia liberale sarebbe diventata incompatibile con il dominio del capitalismo sviluppato. Rimane valido il suo invito a scegliere: socialismo o barbarie.

 * Fonte: Altre Notizie

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *