Lo stratega statunitense degli omicidi “mirati” attraverso i droni, John Brennan, oggi dovrà comparire davanti ad una Commissione del Senato Usa per rispondere ad alcune domande.
L’udienza si tiene dinanzi alla Commissione Intelligence del Senato. L’amministrazione Obama ha sempre cercato di condurre segretamente i raid con i droni ma la guerra sporca comincia a presentare problemi di legittimità evidenti e si affaccia la possibilità di azioni legali ed è cresciuto il malumore dei congressisti tenuti all’oscuro di molti “dettagli”. Tra i senatori, c’e’ addirittura chi azzarda la volonta’ di voler mettere in discussione la legittimita’ della guerra dei droni e intende sfruttare l’audizione di Brennan per venire a conoscenza dei segreti che la Casa Bianca non ha mai voluto divulgare. Alla vigilia dell’audizione di oggi, Barak Obama ha ordinato al Ministero della Giustizia di fornire alle Commissioni Intelligence del Congresso l’accesso al parere legale, un documento fin ad oggi riservato, il quale definisce i fondamenti giuridici e costituzionali che consentono ai droni americani di colpire anche cittadini statunitensi accusati di essere coinvolti in organizzazioni sulla lista nera del terrorismo.
Una prima rogna venne fuori già nel 2011 per un attacco condotta dai droni in Yemen contro un cittadino americano: Anwar Awlaki, nato in New Mexico e ritenuto poi tra i leader di al-Qaeda. Sulla vicenda la Casa Bianca aveva fatto resistenza alle pressioni dei senatori che volevano saperne di più e leggere i documenti. Il problema nasce dal fatto che la Costituzione Usa indica chiaramente che ogni cittadino statunitense, anche in caso di pena capitale, abbia diretto ad un “giusto” processo. E’ chiaro invece che “l’uomo che spinge il pulsante e fa partire i droni, compie istruttoria, dibattimento e sentenza in un solo colpo e senza fare alcun processo. Il problema di quale sia il limite di una simile procedura non è affatto un dettaglio.
Un memorandum del ministero della Giustizia dettaglia invece i presupposti secondo cui il presidente puo’ ordinare la morte di un cittadino americano all’estero per i suoi legami con il terrorismo. Il memorandum di 16 pagine spiega che questa “forza letale” realizzata attraverso i droni comandati a distanza e’ giustificata se il sospettato e’ “un leader operativo di al-Qaeda” o un membro di “un gruppo affilliato”. Ma la questione rimane decisamente spinosa ma moltissimi punti di vista.
John Brennan, consigliere della Casa Bianca per l’antiterrorismo che oggi dovrà rispondere in Senato per l’uso dei droni, era uno dei candidati a diventare direttore della Cia ma dovette rinunciare per le polemiche sorte sull’uso delle torture contro i detenuti sospettati di terrorismo, in particolare il “waterboarding”. Nella sua memoria difensiva depositata prima dell’audizione, Brennan afferma che era a conoscenza delle tecniche ma che non ebbe alcun ruolo nella loro “creazione, esecuzione o supervisione”. Non solo, ha anche ammesso che tali metodi – successivamente vietati dall’amministrazione Obama- talvolta fornivano qualche informazione, ma alla fine erano risultati “contro-producenti”. Infine sul tema delle prigioni segrete della Cia all’estero Brennan ha assicurato che “la Cia adesso ne e’ fuori e dovra’ rimanervi”. Ma proprio adesso è scoppiata un’altra rogna. Si tratta della black list dei paesi che si sono prestati a collaborare con gli Usa nella prigionia illegale e le torture contro i prigionieri sospettati di terrorismo.
Sono ben 54 i paesi, fra cui anche l’Italia, che sono stati coinvolti in vario modo nel programma di “extraordinary rendition” della Cia, sia ospitando prigioni segrete sia offrendo aiuto nella cattura, il trasporto o la tortura di sospetti terroristi (vedi il caso di Abu Omar in Italia). Un dettagliato rapporto diffuso ieri da un’associazione per i diritti umani di New York, la Open Society Justice Initiative, cita i casi di 136 persone vittime del piano della Cia.
“La responsabilita’ degli abusi ricade non solo sugli Stati Uniti, ma anche su decine di governi stranieri che ne sono stati complici”, si legge nel rapporto, intitolato: “Globalizing Torture: CIA Secret Detention and Extraordinary Rendition”. Per quanto riguarda l’Italia, il testo fa riferimento al rapporto del parlamento Europeo del 2007, citando fra l’altro il caso di Abu Omar e l’uso dello spazio aereo e di scali in Italia per aerei della Cia. Gli altri paesi coinvolti sono: Afghanistan, Albania, Algeria, Australia, Austria, Azerbagian, Belgio, Bosnia Erzegovina, Canada, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Gibuti, Egutto, Etiopia, Finlandia, Gambia, Georgia, Germania, Grecia, Hong Kong, Islanda, Indonesia, Iran, Irlanda, Italia, Giordania, Kenia, Libia, Lituania, Macedonia, Malawi, Malaysia, Mauritania, Marocco, Pakistan, Polonia, Portogallo, Romania, Arabia Saudita, Somalia, Sud Africa, Spagna, Sri Lanka, Svezia, Siria, Thailandia, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Gran Bretagna, Uzbekistan, Yemen, e Zimbabwe.
Insomma una vera e propria globalizzazione della tortura e degli omicidi mirati. Combattere il terrorismo attraverso il terrorismo di stato è un modello difficile da spacciare per continuare a dire “noi siamo i buoni, loro sono i cattivi”.
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