Trascorsa meno di una settimana dal “bisticcio” tra il nazigolpista-capo ucraino Vladimir Zelenskij e il marrano liberal-europeista (nel senso della scellerata risoluzione del 19.9.2019 su nazismo e comunismo) Ministro degli esteri polacco Radoslaw Sikorski, ecco che il secondo, non ancora soddisfatto del primo tenzone, torna alla carica.
Se la baruffa del 13 settembre verteva principalmente su temi “storico-territoriali”, l’uscita polacca del 19 settembre ha un carattere “attual-territoriale”. Senza entrare nei dettagli delle fantasie enunciate dal degno consorte della famigerata “storica” yankee Anne Applebaum, basti dire che Sikorski propone di porre la Crimea «sotto mandato ONU, con la missione di organizzare un referendum, dopo aver verificato quali siano i residenti legittimi, ecc.»: referendum, si presume, per decidere se la penisola debba andare all’Ucraina o alla Russia, come era stata fino al 1954 e come lo è di nuovo dal 2014.
Chiaro che il solo parlare di referendum e mandato ONU fa quantomeno sorridere a Mosca, dove si ricorda come nel 2014 quasi il 96% dei votanti avesse optato per l’unione alla Russia. Fa molto meno ridere i golpisti di Kiev che, all’ennesimo circo della “Strategia europea di Jalta”, contavano certo anche sulla voce polacca per ribadire l’omelia della “integrità territoriale ucraina”, con la Crimea inclusa. E invece, niente: mandato ONU per una ventina d’anni e poi… vedremo.
Se anche un “alleato fidato” di Kiev, quale la Polonia, che rifornisce l’Ucraina di armi e uomini per il fronte (il secondo più largo fornitore, dopo gli USA), prende le distanze dalle pretese della junta majdanista, significa che, con molta probabilità, per il tramite di Sikorski parla una determinata parte di Washington che è ormai stanca dell’Ucraina e della possibilità di ritrovarsi in guerra diretta con la Russia.
Ricordiamo però che nei rapporti polacco-ucraini non manca mai di tornare in superficie, ora più ora meno, la questione dei territori di confine, che ognuno rivendica come propri e, soprattutto da parte polacca, il ricordo dei massacri di Volynia perpetrati nel 1942-’43 dai collaborazionisti filonazisti ucraini di OUN-UPA, oggi sbandierati come eroi dalla Kiev majdanista.
Ed è principalmente su tali questioni che era scoppiata la schermaglia Sikorski-Zelenskij del 13 settembre scorso, nell’alimentare la baruffa era presente anche il Ministro degli esteri lituano Gabrielius Landsbergis
Ne ha parlato sulla rivista polacca Onet, organo semi-governativo polacco, l’ex diplomatico Witold Jurasz, elencando i diversi rimproveri mossi dall’ex (il mandato è scaduto lo scorso 20 maggio) presidente golpista al liberal-russofobo polacco, che non farebbe abbastanza per accelerare l’ingresso di Kiev nella UE, non abbatte abbastanza ciò che di russo vola nei cieli polacchi e, soprattutto, attenta alla “sacralità” degli “eroi” ucraini, istruendo la commemorazione delle vittime dei massacri della Volynia e chiedendo addirittura la riesumazione delle vittime per dar loro degna sepoltura. Si dice anche che quella che fino a un anno fa sembrava una “coppia” perfettamente affiatata di presidenti, Vladimir Zelenskij e Andrzej Duda, si stia ora parlando solo “tramite avvocati”.
Ma la zuffa Kiev-Varsavia aveva avuto dei precedenti. Il 6 settembre Sikorski aveva incontrato il nuovo Ministro degli esteri ucraino Andrej Sibiga, disquisendo su chi avesse massacrato di più: gli ucraini i polacchi, o viceversa. In quell’occasione, chi considerava il predecessore di Sibiga, Dmitrij Kuleba, “inadeguato” per il ruolo, non poteva immaginare il grado di inadeguatezza dei “diplomatici” ucraini, evidenziato ora da Sibiga.
E, a proposito di Kuleba, scrive Vasilij Stojakin, molti osservatori avevano ipotizzato che le sue dimissioni fossero legate allo scandalo inscenato il 28 agosto, non solo rifiutando le scuse per il genocidio della Volynia, ma avanzando anche rivendicazioni territoriali nei confronti della Polonia. Di fatto, in quell’occasione Kuleba non aveva fatto altro che riportare le posizioni della presidenza majdanista.
A ogni modo, la questione cruciale che rimane in sospeso tra Kiev e Varsavia rimane quella dei massacri banderisti in Volynia. Scuse reciproche, ricorda Stojakin, erano già state portate nel 2003; la condanna però, da parte ucraina di OUN-UPA, responsabile del crimine, è un passo inimmaginabile nella Kiev post-2014, in cui la glorificazione di quei banditi filonazisti è alla base della moderna ideologia majdanista. Inoltre, insieme alla condanna dei massacri, Varsavia agita non da ora anche la questione del risarcimento dei beni che sarebbero stati sottratti ai polacchi.
Nel battibecco del 13 settembre, aggiunge Oleg Khavic, sulla base della cronaca vergata da Witold Jurasz, Zelenskij ha affermato, nel suo solito tono da golpista, che la Polonia attribuisce importanza ai massacri del 1943 solo per motivi di politica interna e invece non dovrebbe più tornare sulla questione. Al che, Sikorski ha risposto in modo brusco che Kiev dovrebbe vedere le esumazioni e le sepolture delle vittime polacche come un gesto cristiano; ma Zelenskij ha fatto orecchie da mercante.
Insomma, i golpisti di Kiev si muovono da par loro e non guardano in faccia ad alcuno, nemmeno ai “cugini di ideologia” polacchi; anche perché, oggi, appare mutato lo “status” delle parti. Se ancora nel 2022 la Polonia rivestiva il ruolo di “fratello maggiore”, che assisteva l’Ucraina a “respingere l’aggressione” e a integrarsi nelle strutture europee ed euroatlantiche, nel 2024 la situazione è cambiata: l’Ucraina ha ottenuto lo status di “attore globale”, l’unico Paese che combatte la Russia per conto dell’Occidente.
Al contrario, la Polonia è ora solo una base logistica NATO nel conflitto ucraino, ed è anche piuttosto logora, osserva Khavic, essendo praticamente rimasta senza carri armati (a detta di Witold Jurasz, Varsavia avrebbe fornito a Kiev più carri di USA, Gran Bretagna, Germania, Olanda, Norvegia, Svezia, Spagna, Cechia, Slovacchia e Bulgaria messe insieme), oltre che dipender in gran parte dalla forza lavoro a basso costo fuggita dall’Ucraina. Chiaro che Zelenskij e i suoi capomanipoli si sentano in diritto di mostrare la propria inadeguatezza, non solo a livello “diplomatico”.
I partecipanti polacchi all’incontro del 13 settembre sono rimasti quantomeno sorpresi, ricorda Jurasz, dallo “stile” di Zelenskij: «Semplicemente, a Kiev sono fermamente convinti che la Polonia sia talmente minacciata dalla Russia che, aiutando l’Ucraina, aiuti essenzialmente solo se stessa. Ne consegue che l’Ucraina, secondo la convinzione delle sue élite, non ha motivo di essere grata alla Polonia».
Ora, è chiaro che non è il caso di ingigantire le schermaglie tra Kiev majdanista e Varsavia eurosanfedista: il livello della comune russofobia è tale che i bisticci sulle “restituzioni” – proprietà mobiliari e immobiliari, territori, ecc. – passano sempre in secondo piano non appena viene agitato il “pericolo russo”.
Non a caso, commentando la zuffa Zelenskij-Sikorski, l’analista polacco Lukasz Adamski ha scritto sui social media: «L’interesse polacco di base è che l’Ucraina vinca la guerra, o almeno non la perda, in modo tale, però, che la Polonia stessa non entri in guerra con la Russia», aggiungendo comunque che l’argomento secondo cui l’Ucraina sta difendendo la Polonia ha smesso di funzionare più di un anno fa. Adamski ha anche sottolineato che il ricatto morale non funziona coi polacchi e che i vari “mercanteggiamenti”, del tipo “voi ci date carri armati, soldi, appoggio, e noi vi concediamo le esumazioni”, possono far uscire dai gangheri anche i politici polacchi più compiacenti con Kiev.
Ma, in fin dei conti, come detto, simili bisticci tra “cugini di ideologia” vanno e vengono, perché, come direbbe Giovenale, «l’intera loro razza è di commedianti», ancorché pericolosi per il mondo, ci permettiamo di aggiungere.
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