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Un genocidio “razionale”, per interessi materiali

Sul tentativo di sminuire la portata dello sterminio dei palestinesi, bisogna dire parole chiare: uno sterminio evidente, legato a doppio filo a dinamiche geopolitiche e storiche che hanno sede, oltre che nel contesto medio-orientale, nella politica internazionale degli Stati Uniti e nelle ambiguità dell’Unione Europea.

Un recente pronunciamento della Corte internazionale di giustizia ha evidenziato la correlazione tra l’occupazione delle terre palestinesi e l’andamento delle politiche segregazioniste di Israele. In precedenza, la stessa Corte aveva ritenuto “plausibile” l’esistenza di elementi genocidari nel comportamento israeliano.

Analogamente, la richiesta del Procuratore della Corte penale internazionale di procedere all’arresto di Netanyahu e Gallant ha evidenziato i crimini di guerra e contro l’umanità commessi da Israele nella Striscia di Gaza. Siamo dunque di fronte a una situazione di ingiustizia palese, dove la negazione dell’autodeterminazione palestinese diviene l’occasione per la colonizzazione, la discriminazione razziale, l’annessione e la repressione …

La condotta di Israele dovrebbe suggerire importanti conseguenze politiche e giuridiche, e invece …

A questi pronunciamenti non ha dato risposta l’UE, trincerandosi dietro un silenzio imbarazzante o ricorrendo a frasi ormai stantie, tipo quella sul diritto di Israele a difendersi, o decisamente grottesche, vista la situazione, tipo quella sullo stato palestinese.

Di fatto, le istituzioni europee hanno continuato a sostenere l’azione israeliana, mentre alcune singole nazioni, tra cui l’Italia, non hanno fatto tesoro del pronunciamento delle due Corti internazionali, continuando a fornire armamenti e tecnologie e dunque, di fatto, contribuendo allo sterminio.

Gli Stati Uniti hanno offerto, con entrambi gli schieramenti, democratico e repubblicano, il peggio del loro posizionamento, non soltanto garantendo supporto strategico – e rifornendolo di dollari e bombe – a Israele, ma anche facendo pressioni, e talvolta persino minacciando la Corte penale internazionale per evitare il mandato di arresto per i due leader israeliani.

D’altra parte, nella loro elementare ideologia, gli Stati Uniti si identificano con la forma specifica dei propri interessi materiali, per i quali l’equilibrio dell’area medio-orientale è fondamentale, e Israele rappresenta l’alleato più importante per garantirlo; da qui deriva il loro assoluto disinteresse ai diritti dei palestinesi o dei libanesi.

Intanto, all’assemblea dell’ONU Netanyahu ha messo in scena uno spettacolo disgustoso, esprimendo – con l’arroganza tipica del mafioso – tutto il proprio disprezzo per la comunità internazionale e per il diritto internazionale, e persino per la logica elementare. In questa sede, ancora una volta ha mostrato una cartina della zona dove tutto appartiene allo Stato di Israele, comprese la Cisgiordania e Gerusalemme Est; dunque plasticamente rappresentando quello che è sempre stato l’obiettivo strategico di Israele: l’annessione dei territori palestinesi.

La storia è “razionale”, per così dire; cioè realizza un piano che risponde a una serie di necessità, prima di tutto materiali. Gli attori geopolitici, in questo caso, agiscono, spesso del tutto inconsapevolmente, sulla base di interessi che li spingono a prendere decisioni o compiere atti allo scopo di affermarli. Non si tratta, beninteso, di ignorare le motivazioni valoriali o ideali; questi aspetti sono certamente importanti, ma non sono sufficienti a spiegare l’intricato processo che sta determinando lo sterminio di un popolo.

Davvero si crede che Netanyahu stia agendo sulla base di qualcosa scritto su un libro di vicende fantastiche? O che lo faccia a difesa della sicurezza di Israele o – addirittura – della civiltà occidentale? A cosa è funzionale l’occupazione delle terre palestinesi? E qual è la reale posta in gioco, talmente potente da giustificare un genocidio?

La storia è altresì “irrazionale”; talvolta le scelte degli esseri umani mettono in crisi il piano degli interessi materiali; o, più propriamente, fanno irrompere altri interessi, anche ideali, in aperto conflitto con i primi. Per certi versi, è quello che è successo il 7 di ottobre, dove l’attacco di Hamas ha fatto irruzione in un contesto di accordi tra Israele e paesi arabi che non contemplavano alcuna soluzione della questione palestinese.

Da questo punto di vista, la reazione di Netanyahu è stata la razionalità che mette in riga l’irrazionalità: il 7 di ottobre gli ha dato l’occasione di sistemare una volta per tutte i conti con quanto, anche territorialmente, gli impediva di portare a compimento il proprio piano di annessione.

In questo quadro, come bene sottolineato da altri, si inserisce la progettata “Nuova Via del Cotone”, decisamente conflittuale con la “Via della Seta” cinese. Basta dare un’occhiata alla cartina per comprendere meglio l’importanza di Israele – e dei territori palestinesi – per il successo di un’operazione che punta «a riconfigurare il commercio tra i Paesi dell’Europa, del Golfo Persico e dell’Asia meridionale, riducendo significativamente il tempo necessario per trasportare le merci tra queste nazioni».

Questa è certamente una parte significativa, e probabilmente la più consistente, della posta in gioco: la riconfigurazione del Medio Oriente, con una nuova centralità assegnata a Israele a scapito dell’Iran e, di riflesso, della Cina.

La storia è decisamente bastarda; le sue “multiformi dimensioni” non si fanno ingabbiare in rappresentazioni di comodo, bensì amano confondere e complicare ogni interpretazione. Lo sterminio di un popolo può essere derubricato a atto di difesa, persino eroico, eppure la sua realtà autenticamente tragica sfugge al linguaggio che lo valuta in funzione di un valore superiore (la “difesa della civiltà” o della “democrazia”) o di un obiettivo parziale (“la sconfitta di Hamas”).

Lo sterminio reale avviene perché una serie di interessi materiali lo rendono possibile e, persino, lo riconoscono come necessario alla pacificazione dell’area, così che il piano “razionale” di una parte di mondo – a guida occidentale – possa affermarsi e permettere di condurre gli affari con successo.

 * da Facebook

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