Intervista al professor Luciano Vasapollo, decano di Politica economica alla Sapienza, sulla conclusione del sedicesimo vertice BRICS+ svoltosi a Kazan nelle giornate del 22-24 ottobre 2024.
Luciano Vasapollo dirige la Scuola marxista decoloniale per la Tricontinental del Pluripolarismo, si batte da anni per la liberazione dei popoli del Sud dall’autoritarismo sfrenato e dall’imperialismo di blocchi egemoni dominanti.
Questa intervista ci offre la possibilità di intravedere un punto di svolta nella geopolitica mondiale attraversando le dinamiche e le politiche decoloniali e antifasciste discusse durante l’incontro dei BRICS per rafforzare il multilateralismo e promuovere uno sviluppo equo. Il blocco dei BRICS allargati ormai si avvicina sempre più all’obiettivo concreto di creare un nuovo ordine mondiale economico pluripolare e multicentrico, che sia garanzia di un equilibrio universale che minimizzi la supremazia coloniale delle nuove forme di fascismo delle potenze occidentali e permetta di procedere verso modelli di giustizia sociali e di uguaglianza.
A seguito di questo vertice, sarà finalmente possibile pensare ad un mondo pluripolare promosso dall’unione dei popoli di Nuestra America, Africa, Medio Oriente, Vicino Oriente e Iran per l’avanzamento di quella moderna visione che in termini gramsciani, fa riferimento ad una nuova prospettiva del meridionalismo allargato dei popoli del Sud.
Il professore rivela che la prospettiva dell’unipolarismo contro il pluripolarismo è sempre più concreta e mette a repentaglio la sopravvivenza egemonica di quei paesi imperialisti come Stati Uniti ed Unione Europea che tentano costantemente di dominare il mondo tramite corruzione, guerre e oppressione culturale.
Infine, la comunità BRICS non ha carattere militare e né aggressivo ma possiede una caratteristica unica di complementarietà anti-imperialista, anti-colonialista e anti-fascista.
Professore, durante le sue lezioni ha spesso ribadito che il Sud globale ha tentato di istituire vie di transizione per il riscatto dei suoi popoli dall’egemonia occidentale. Che ruolo pensa possa ricoprire all’interno delle attuali dinamiche di cambiamento il blocco dei Paesi BRICS+? Come inserisce lei, le teorie del pensiero gramsciano nel contesto di questo nuovo blocco emergente?
Il Sud non è solo una realtà geografico-politica ma occupa un ruolo fondamentale nello sviluppo del nuovo contesto globale multipolare, esprime una pratica, un modo di essere in controtendenza rispetto al mondo in cui tutto viene concepito come impresa-merce; è rappresentato dai movimenti dei contadini senza terra, dei popoli originari che vivono in armonia con la Pacha Mama, da coloro che abbracciano la filosofia del Vivir Bien, dai sindacati di classe, da quelli che promuovono un’alternativa economica non omogenea e non convenzionale, dagli economisti critici, eterodossi e tutti coloro che definiscono questo come un movimento al di fuori del sistema mondiale.
L’esistenza e l’attribuzione di un volto al Sud Globale non è una visione utopica, lontana da noi, anzi è più vicina di quanto pensiamo; l’unione e la cooperazione tra i popoli del Sud esiste davvero e ne abbiamo avuto una grande dimostrazione in questi ultimi giorni di ottobre 2024.
I cosiddetti paesi BRICS+ – ovvero Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e gli ultimi arrivati, Etiopia, Iran, Egitto e Emirati Arabi – rappresentano, seppur con le loro differenze culturali, un’unità nel tentativo di sfidare e abbattere le logiche coloniali, fasciste e dominatrici del pensiero occidentale.
Noi, come Scuola, siamo contro l’individualismo sfrenato, la logica del profitto che dissacra l’esistenza umana e poniamo al centro la natura, l’uomo come soggetto del lavoro e del lavoro negato e tutti gli esseri viventi.
Per questo riteniamo che il Sud globale e il blocco cooperativo BRICS+ odierno si proiettano al di fuori dalla lunga tradizione di subordinazione geografica e simbolica, forse arrivando persino a prendere il proprio posto al centro del globo nel contesto di una nuova concezione della coscienza umana; possono essere quindi considerati un luogo di dialogo politico e di ascolto che, partendo dai problemi esistenti, elaborano una propria idea di tradizione, d’identità e di coesistenza.
Il Sud va oltre il semplice attaccamento al territorio, la Terra è fonte di ricchezza non solo quantitativa ma anche qualitativa, un elemento di identificazione e non solo patrimonio materiale, ma anche spirituale, che conserva le impronte del lavoro passato.
Gramsci ha visto il fascismo nascere sulla terra come risposta violenta delle classi dominanti per mantenere il controllo sulle masse popolari, specialmente in tempi di crisi sociali; e questa stessa dinamica può essere riportata nell’attuale mondo dei Sud, dove i regimi autoritari e fascisti, come Stati Uniti ed Unione Europa, hanno utilizzano e continuano a usare strumenti ideologici per mantenere l’ordine coloniale e neocoloniale.
Oggi le lotte antifasciste di Gramsci non sono confinate solo al periodo storico del fascismo, ma trovano un profondo riscontro in tutte quelle attuali lotte dei Sud contro l’autoritarismo e le nuove forme di colonialismo, di scontri culturali, sociali e politici che mirano a smantellare le gerarchie di potere che perpetuano lo sfruttamento e l’oppressione dei popoli.
L’alternativa per il cambiamento che ha cercato di mutare definitivamente le sorti non solo dei popoli del Sud, ma dell’intera umanità, della storia, della politica e della geografia mondiale, è reale. Una via di transizione verso la libertà e l’emancipazione si è fatta sempre più nitida nelle giornate del 22-24 ottobre durante le quali si è tentato di archiviare una volta per tutte il dominio unipolare di un imperialismo occidentale sempre più in declino, aprendo le porte ad una via sicura per il Sud globale, da troppo tempo marginalizzato, colonizzato e oppresso.
Quindi un ritorno al pensiero decoloniale di classe?
La lotta per l’emancipazione promossa, utilizza sicuramente il pensiero gramsciano come chiave di lettura per interpretare le questioni sociali, economiche, politiche e culturali nel contesto di una nuova geopolitica; infatti il pensatore sardo per quasi tutti gli anni della sua vita ci ha insegnato a lottare e si è battuto per realizzare una nuova cultura politica e sociale che andasse a sfidare l’egemonia delle classi dominanti con lo scopo di promuovere un sistema libero da divisioni sociali e culturali.
Le teorie gramsciane nel contesto del Sud globale trovano una visione comune nella resistenza continua contro tutte quelle forme di totalitarismo che cercano di uniformare e sottomettere gli spiriti e gli animi dei popoli.
Samir Amin, economista e sociologo di origine egiziana, offre una prospettiva alternativa sull’operato dei BRICS nel contesto dello sviluppo globale dei Sud, attraverso il concetto di «delinking», suggerisce l’importanza di distaccarsi e scollegarsi dal sistema coloniale dominante; pertanto, le categorie da lui sviluppate si ispirano molto anche a José Martí, grande rivoluzionario e poeta cubano.
Non sappiamo se Gramsci conoscesse il pensiero di Martí, ma è possibile trovare dei collegamenti tra i due poeti dato che i loro pensieri si intrecciano profondamente. Ricordiamo che Antonio Gramsci, fondatore del Partito Comunista d’Italia, è uno dei più grandi intellettuali ed esponenti della storia dei Sud del mondo e le sue pagine sul meridionalismo sono tutt’oggi straordinarie nell’analisi dell’attuale mondializzazione capitalista.
Come coniuga lei il concetto gramsciano di «guerra di posizione» con gli obiettivi espressi nel 16° vertice BRICS+ a Kazan in Russia?
Non tutti sanno che uno dei problemi che assillò maggiormente Antonio Gramsci nelle sue riflessioni scritte nei Quaderni dal carcere fu la previsione dei possibili scenari che la rivoluzione avrebbe potuto creare nel contesto del socialismo europeo.
Alcuni teorici marxisti, come Rosa Luxembourg, sostenevano che il socialismo si sarebbe dovuto diffondere nei paesi occidentali attraverso rivoluzioni rapide e definitive, sfruttando i problemi sociali causati dalle crisi cicliche dell’economia capitalista, ma Gramsci riteneva che questa strategia non avrebbe avuto successo.
Infatti quando il fascismo diventò il suo principale bersaglio critico, il filosofo sardo concettualizzò la guerra di posizione come la fase in cui tutte le risorse dell’egemonia venivano dispiegate per esercitare un controllo capillare e sistematico sull’opposizione.
Questo rappresentava il momento politico decisivo, in cui il gruppo sociale dominante affrontava gli altri raggruppamenti sociali in una vera e propria battaglia ideologica. Tale scontro coinvolgeva tutte le sovrastrutture complesse della società, e il gruppo egemone si trovava a combattere contemporaneamente sia come dominante sia come dominato.
Noi sappiamo bene che la classe borghese imponeva la propria ideologia alle masse, inculcando nelle classi subalterne una falsa coscienza. A causa di tutto ciò i lavoratori invece di unirsi per rivoluzionare la società, facevano propria l’ideologia borghese dominante cedendo alle sirene del nazionalismo, del consumismo sfrenato e della competizione sociale, abbracciando un’etica individualista ed egoistica.
Lei come interpreta l’approccio dei BRICS alla de-dollarizzazione e al rafforzamento dei legami economici? Questo percorso può realmente rappresentare un’alternativa sostenibile all’attuale dominio economico e politico occidentale?
La questione è ancora oggi centrale nel dibattito sul sottosviluppo e sullo sviluppo diseguale tanto che non possiamo parlare di etica o morale senza affrontare e risolvere il problema delle disuguaglianze mondiali.
Questa visione di perpetua oppressione culturale ed ideologica, iniziata con i primi gruppi di contadini che hanno tentato di sconfiggere l’egemonia borghese, può essere oggi proiettata all’attuale raggruppamento dei paesi BRICS, i quali attraverso il sedicesimo incontro a Kazan, hanno cercato di stabilire obiettivi che rispecchiano una strategia di cambiamento graduale e cooperativo, simile a quella promossa dal pensatore sardo agli inizi degli anni ‘20.
Il rafforzamento dei legami economici tra i paesi membri è stata una chiara mossa strategica per costruire un’egemonia economica alternativa, per abbattere il dominio dell’Occidente e in particolar modo quello degli Stati Uniti.
In quest’ottica il processo di de-dollarizzazione affrontato dai BRICS+ può essere interpretato come una sfida alle potenti strutture imperialiste per garantire maggiore autonomia e sovranità alle politiche economiche nazionali, riflettendo una strategia ideologicamente rivoluzionaria per il rimodellamento del panorama finanziario globale.
L’Europa continua a seguire le direttive degli Stati Uniti, i quali utilizzano la guerra come principale strumento per mantenere la loro egemonia globale, ma regioni da sempre sotto il colonialismo europeo, come l’Africa e l’America Latina, hanno invece iniziato a cercare nuovi alleati e direzioni alternative proprio nel blocco dei BRICS+.
Realisticamente e coerentemente alla teoria gramsciana i paesi membri del gruppo non possono essere considerati parte di un’alleanza antisistemica nel senso classico, ma tuttavia la loro esistenza è rivoluzionaria in rappresentanza di una massa critica all’interno delle organizzazioni internazionali esistenti che possiede la capacità di costruire un mondo pluripolare multicentrico e opporsi al controllo egemonico del pensiero unico, come a suo tempo fu la sfida dell’area dei paesi non allineati.
Secondo lei professore, a seguito degli avvenimenti accaduti al vertice dei BRICS in Russia, come interpreta, invece, il veto da parte del Brasile all’entrata del Venezuela come partner?
Come detto in precedenza, il 16° vertice dei BRICS+ a Kazan ha rappresentato un significativo passo avanti verso la costruzione di un mondo multipolare ma l’obiettivo dell’inclusività nel contesto dei paesi già membri non è stato del tutto rispettato.
Innanzitutto, ricordiamo che il Presidente brasiliano Lula da Silva non è stato presente al Forum di Kazan attribuendo la causa della sua assenza ad un improvviso incidente, suscitando l’incredulità di molti.
Questo strano presagio è stato poi confermato dalla notizia dell’imposizione del veto da parte del governo brasiliano all’ingresso del Venezuela e Nicaragua come partner associati ai paesi BRICS+, proclamato senza alcuna esitazione dal rappresentante Eduardo Paes Saboia, nel momento in cui il paese stava finalmente realizzando la tanto attesa e ambita entrata nella comunità.
Molti hanno cercato di attribuire la colpa esclusivamente al delegato Saboia, uno sforzo che sembrerebbe mirare a sollevare il presidente Lula da ogni responsabilità. Tuttavia, questa decisione contro il Venezuela non trova altro riscontro se non in un atto di tendenza dei voleri dei poteri imperiali del governo brasiliano, aggravato dal fatto che solo pochi mesi prima, ricevendo il presidente Nicolás Maduro a Brasilia, il presidente Lula aveva sostenuto la sua richiesta di adesione. Quindi, cosa giustificherebbe un cambiamento così radicale nella diplomazia brasiliana?
Le parole del rappresentante hanno suscitato un profondo sgomento e un grande senso di tradimento nei confronti del Venezuela, un sentimento amplificato dal fatto che, quando Lula fu ingiustamente imprigionato, il governo di Nicolás Maduro, insieme a Cuba, fu tra i principali difensori della sua innocenza di fronte agli attacchi mediatici internazionali.
In accordo con il pensiero dell’illustre sociologo argentino Atilio Boron, l’esito di questo veto si inserisce in una serie di dinamiche storiche che già in passato hanno portato all’esclusione del paese da altre organizzazioni come, per esempio, l’ostinato rifiuto del Brasile di ammettere il Venezuela nel Mercosur.
La storia oggi si ripete, ed è sempre più chiaro che questa dominate burocrazia a carattere imperiale governa la condotta del Brasile in base a un assioma: l’accordo diretto con la politica estera degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.
L’obiettivo dell’improvviso veto al Venezuela nasconde un accordo segreto del Brasile con lo Stato imperiale allargato alle multinazionali, per preservare la stabilità dell’ordine neocoloniale in Sud America e prevenire l’emergere di governi antimperialisti.
L’attuale comportamento dello Stato brasiliano infatti è il risultato di rapporti fragili che si sono instaurati tra Caracas e Brasilia già all’epoca del grande rivoluzionario Hugo Chavez che con i suoi progetti regionali e internazionali metteva a repentaglio il persistere delle dominazioni straniere sul territorio venezuelano.
Sulla via del pensiero attuale di Boron, i BRICS+ sono stati privati del notevole vantaggio che l’inclusione di un paese con le più grandi e accertate riserve petrolifere al mondo avrebbe portato; questo ha, sicuramente indebolito la comunità, ma d’altra parte ha suscitato la soddisfazione degli Stati Uniti e lasciato al Brasile il primato nel possesso delle risorse energetiche tra i membri del gruppo.
Il veto, non contestato dal presidente Lula, può essere quindi visto, in termini gramsciani, come un atto di tendenza alla sottomissione imperiale e di repressione politica dettato dal timore dell’entrata del Venezuela nel gruppo e della possibile perdita di una parte del dominio sulle ricchezze del paese. Il governo di Lula ha infatti ceduto alle pressioni conservatrici degli Stati Uniti, per i quali mantenere il Venezuela isolato è sempre stato essenziale per continuare a perpetuare il blocco contro il popolo di Maduro.
Tuttavia, citando il grande studioso Luis Britto García, le dinamiche del mondo odierno sono il risultato della rapina prolungata di risorse da parte di europei e americani nel XV secolo che ha favorito l’ascesa dell’imperialismo nei moderni Stati sovrani.
Proiettata ad oggi, la vicenda può essere descritta come un gesto ostile di privazione non solo materiale ma anche sociale, che si aggiunge alla politica criminale delle sanzioni imposte a un popolo che, non ha mai smesso di lottare per la libertà, senza dimenticare che durante la pandemia, il Venezuela ha offerto medici e assistenza in tutta l’America Latina salvando migliaia di vite e ponendosi come esempio di immensa solidarietà, unione e fratellanza.
Professore, sembrano quindi realizzarsi le parole di Gramsci: «Il vecchio mondo sta morendo ma il nuovo stenta a nascere…»
Di fatto stiamo assistendo all’emergere di un mondo multipolare e multicentrico che è contrastante con l’immagine della geopolitica globale. La permanenza delle profonde divergenze tra i popoli del Nord e del Sud e l’oppressione culturale, politica e sociale di migliaia di persone è certamente compatibile con la teoria gramsciana condannata nella questione meridionale.
La storia delle colonizzazioni ci mostra che le potenze imperiali e le élite locali hanno quasi sempre utilizzato l’ideologia e la corruzione per giustificare e perpetuare il loro dominio. L’incontro con il postcolonialismo si è così concretizzato all’interno del più grande discorso riguardante il Sud globale, ponendo un collegamento tra i tradizionali studi gramsciani riguardanti il Mezzogiorno e le lotte antifasciste con i temi di più ampia analisi legati al colonialismo nel Sud Globale.
Da qui deriva un’importante riflessione sulla società meridionale, tesa ad illuminare le caratteristiche sociali delle classi subalterne meridionali del mondo e delle loro produzioni culturali. Mantenere vivo il consenso sociale attraverso l’imposizione di valori di resilienza e autodeterminazione rappresenta l’obiettivo cruciale per abbattere quell’egemonia culturale di sfruttamento che tiene lontani i popoli; si tratta di porre la partecipazione attiva della cultura, dei subalterni di Gramsci, degli ‘scartati’ di Papa Francesco, dei lavoratori e dei contadini come base per la creazione di un sapere critico per la nascita di una nuova futura umanità.
L’esistenza della classe dei contadini come principale protagonista della questione meridionale analizzata da Gramsci, ha certamente dato oggi vita ad una nuova classe dei subalterni, quella che può essere definita il nuovo proletariato che non è più soltanto la classe operaia, ma comprende anche quelle categorie che sono state vittime, negli ultimi decenni, dello stravolgimento dei rapporti economici nelle società occidentali nel mondo.
I BRICS+ rappresentano il mondo che vuole nascere mentre l’Unione Europea, gli USA e l’Occidente sono il vecchio che si rifiuta di morire, di lasciare spazio ad un mondo multipolare che stenta a crearsi.
L’unica salvezza potrà sbocciare esclusivamente dalla spaccatura tra il vecchio mondo dei diritti umani e delle libertà individuali e il nuovo mondo della pace, della prosperità condivisa e della difesa dell’ambiente per la globalizzazione della solidarietà e della complementarietà.
Attraverso l’unione dei popoli, l’adozione di una visione multipolare come pilastro del sistema mondiale e l’urgenza di salvaguardare ecologicamente il pianeta, si può invertire la rotta verso un futuro di giustizia sociale e uguaglianza.
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