A un mese dalle contestate elezioni parlamentari in Georgia, il Parlamento Europeo ha passato ieri una risoluzione con la quale non riconosce il risultato uscito dalle urne, chiedendo di ripetere il voto entro un anno, sotto la supervisione internazionale e per opera di un’amministrazione “indipendente”.
Alla tornata appena conclusa, il partito Sogno Georgiano aveva confermato la maggioranza con il 54% dei voti. L’opposizione, forte anche dell’appoggio della presidente uscente Salomé Zourabichvili, ha subito denunciato brogli e violenze, fatte risalire alla presunta influenza russa nelle procedure di votazione.
Sogno Georgiano, pur avendo seguito in passato le linee dettate dall’euro-atlantismo, prima si è opposto prima alla politica di sanzioni contro Mosca. Poi ha spinto sull’adozione di una legge sulle “interferenze straniere” del tutto simile a quelle statunitensi ed europee, ma ciò l’ha fatto etichettare subito come filo-russo.
L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha denunciato pressioni e tensioni che avrebbero inficiato i risultati. Ma è la stessa istituzione che ha ignorato gli ostacoli al voto posti ai moldavi residenti in Russia, in occasioni delle recenti elezioni presidenziali e del referendum per inserire l’ingresso in UE in Costituzione.
Inoltre, è molto difficile considerare come “neutrale” un soggetto di cui il coordinatore speciale in Europa, Pascal Allizard, ha detto che spera il paese si avvicini agli obiettivi di integrazione europea. È chiaro che come ci sia un pesante condizionamento rispetto agli indirizzi di politica estera che, a suo avviso, Tbilisi dovrebbe seguire.
Varie proteste di piazza avevano già attraversato il paese, e altre manifestazioni sono state organizzate nelle ultime settimane sotto le bandiere della UE e della NATO. La prima sessione del Parlamento è stata boicottata sia dalla Zourabichvili (che, ricordiamo, è un’ex ambasciatrice francese, poi naturalizzata georgiana) sia dalle opposizioni.
Zourabichvili non ha ratificato il voto e ha intentato una causa presso la Corte Costituzionale per annullarlo. Ma ad ogni modo, sempre secondo la carta fondante del paese, i numeri di Sogno Georgiano hanno permesso di dare avvio alla nuova legislatura, potendo contare su la metà più uno del numero totale dei parlamentari.
La questione si fa però ora spinosa non solo dal punto di vista legale, ma anche – e soprattutto – per ciò che riguarda la polarizzazione vista per le strade. Sempre in Costituzione si legge che “il Parlamento acquisisce pieni poteri una volta riconosciuto da due terzi dei membri del Parlamento“.
Questo numero, finché almeno 11 membri dell’opposizione non vi si siederanno, non può essere raggiunto. E intanto, il 14 dicembre il consesso rinnovato dovrebbe votare anche il nuovo Presidente, con la Zourabichvili che è in scadenza di mandato e sta dunque avvicinandosi a operare fuori dalla legalità costituzionale.
Risulta chiaro come la questione georgiana si sta giocando sul filo di un vuoto di potere accompagnato da mobilitazioni di piazza fortemente orientate dalle centrali imperialistiche occidentali. Da Strasburgo arriva il sostegno tramite la risoluzione appena votata, affermando inoltre che la strada presa dalle Georgia è incompatibile con l’integrazione euroatlantica.
Invocando “indagini internazionali” che però ancora non sono state fatte, la UE invita comunque già da ora a imporre sanzioni contro singole personalità ritenute responsabili di aver allontanato il paese da Bruxelles. Non propriamente un iter limpido e fondato, che rischia solo di peggiorare una situazione già al limite della rottura.
Nella serata di ieri, il primo ministro Irakli Kobakhidze ha reso noto che il processo di adesione della Georgia alla UE verrà interrotto, almeno fino al 2028. La risposta è stata un rinfocolarsi delle piazze, con barricate e scontri davanti al Parlamento.
Potrebbe allora essere proprio l’opzione “golpista” ad attirare la classe dirigente europea. La richiesta di supervisione internazionale e di un’amministrazione indipendente che organizzi un nuovo voto è già di per sé un’evidente ingerenza esterna, anche se ancora presentata come fosse nell’alveo di un processo democratico.
Non è molta la distanza che separa il far parlare le risoluzione dal far parlare i fatti…
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