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La strategia euro-atlantica in Africa alla prova in Costa d’Avorio

Dopo essere stati cacciati successivamente da Mali, Burkina Faso e Niger tra il 2022 ed il 2023, e poi essere stati “invitati” a lasciare il territorio sia dal Senegal che dal Ciad a fine novembre dell’anno scorso, i militari francesi si apprestano a ridurre drasticamente la loro presenza anche in Costa d’Avorio.

Si tratta, in questo caso, non di una decisione “unilaterale” comunicata a Parigi, ma di una scelta concordata con quello che rimane l’ultimo della presenza militare francese in Africa, suggerita comunque dalla “piega degli eventi” affermatasi dopo il mancato intervento militare della CEDEAO/ECOWAS ai danni del Niger, fortemente patrocinato da Macron.

Da qui alla fine di gennaio, la base militare francese di Port-Bouët, ad Abidjan, sarà riconsegnata alla Costa d’Avorio.

Una scelta prevista, insomma, ma ufficializzata una settimana sìfa dal presidente Alassane Ouattara.

Ouattara è il presidente uscente ed uno degli ultimi politici su cui la Francia si è appoggiata per dare continuità alla propria politica nel continente, dove l’appoggio francese è stato per lungo tempo lo strumento che garantiva la sopravvivenza politica. Ma che ora sembra più orientato ad appoggiarsi sugli Stati Uniti.

La riduzione degli effettivi del 43simo BIMA (battaglione di fanteria della marina) era previsto dal rapporto Jean-Marie Bockel – inviato personale di Macron in Africa, con l’incarico di riorganizzare il dispositivo militare francese – consegnato nelle mani del presidente francese a Novembre, pochi giorni prima del doppio annuncio imprevisto delle autorità del Ciad e del Senegal.

Il ridimensionamento militare francese era in atto dall’estate ed il contingente, che oscillava attorno alle mille unità, era già stato ridotto a 300; ma diminuirà a circa un centinaio di militari “essenzialmente incaricati di missioni di addestramento”, riporta Le Monde.

Altri militari francesi, sempre in funzione ufficiale di “addestramento”, dovrebbero essere dispiegati a Bouaké – nel centro del paese – ma altre forze militari straniere sono attese come “istruttori” in quello che sarà ribattezzato “Camp Thomas d’Aquino Ouattara”, primo capo di stato-maggiore dell’esercito ivoriano.

Nei piani di Washington, la Costa d’Avorio dovrebbe divenire “leader regionale in materia di sicurezza” nel quadro di un “partnerariato strategico” a due, come annunciato dal generale maggiore Kenneth P. Ekman, in una conferenza stampa a Abidjan a fine luglio.

Il 24 luglio, il capofila della strategia militare statunitense in Africa aveva fatto il punto sullo stato dell’arte del ritiro dalla Niger – anch’esso imprevisto – e spiegare i contorni del futuro “partnerariato rinforzato” tra i due paesi, rendendo esplicito il fatto che, dopo la partenza forzata dal Niger, l’Africom si stesse orientando sulla Costa d’Avorio, facendone il nuovo perno nella regione. O, secondo le parole di Ekman, “il leader regionale in materia di sicurezza”.

Aggiungiamo noi, il corrispettivo della funzione che svolge il Kenya per ciò che riguarda l’Africa orientale.

Bisogna infatti ricordare che a inizio luglio era “trapelata” la notizia di un nulla osta dato dalle autorità ivoriane per la costruzione di una base nord-americana nella città di Odienné, nel nord-ovest del paese. L’indiscrezione poi è stata smentita dallo stesso generale nord-americano, quando ha affermato che la presenza militare statunitense vuole appoggiarsi alle basi già esistenti, sostituendo di fatto i francesi.

Dal punto di vista militare le relazioni tra i due paesi si sono rinforzate nel corso degli ultimi anni, considerato che l’Africom organizza tutti gli anni “Flintlock”, una vasta esercitazione di addestramento che comprende forze speciali di differenti paesi africani e rientra di fatto sotto l’ombrello della NATO, che impiega le sue forze speciali multinazionali al fianco di quelle africane.

Nel 2024 hanno preso parte all’esercitazione, co-ospitata da Ghana e Costa d’Avorio, circa 1300 uomini provenienti da 30 nazioni. Mentre la sola Costa d’Avorio ospiterà l’edizione del 2025.

Secondo quanto riporta calendario ufficiale della NATO, “la più estesa esercitazione annuale delle forze speciali del U.S. African Command attraverso la regione africana del Sahel, che si svolge ogni anno dal 2005” si terrà tra l’8 ed il 21 febbraio.

Ad aprile il generale Michael Langley, comandante dell’Africom, ed il sergente maggiore Michael Woods, capo dei sottufficiali, sono stati ricevuti dal presidente e dal capo di stato-maggiore dell’esercito. Nel corso della visita Langley ha annunciato un investimento  di 65 milioni di dollari dell’Africom  per il 2024, in maggioranza destinati alla lotta contro il “terrorismo” nelle sue frontiere settentrionali.

É da ricordare che il Paese confina a nord-ovest con il Mali ed a nord-ovest con il Burkina Faso, che insieme al Niger hanno formato l’Alleanza degli Stati del Sahel.

Dal punto di vista politico, lo scorso gennaio Antony Blinken si era incontrato con Ouattara nel corso di una visita nel Paese, ripetuta poi in estate.

In sintesi, gli USA sembrano ora “prendere il posto” della Francia nella strategia euro-atlantica, considerato che Parigi avuto un ruolo determinante e nefasto nelle crisi politico-militari nel paese.

Nel 2004, per esempio, i militari francesi aprirono il fuoco sui manifestanti che protestavano contro la loro presenza nella capitale, facendo diversi morti.

Nella cosiddetta crisi elettorale del 2010-11 gli stessi militari sono stati fondamentali per il contestato arrivo al potere dell’attuale capo di Stato, Alassane Ouattara. In pratica un “colpo di Stato” contro Laurent Gbagbo, presidente uscente che aveva guidato il paese dal 2000 al 2011 e che correva per il suo terzo mandato.

Le presidenziali di questo ottobre saranno fondamentali per capire il futuro corso politico del paese e quindi la postura che le nuove autorità prenderanno nei confronti degli eserciti stranieri.

Non solo le autorità scaturite dai colpi di Stato “patriottici” nel Sahel, ma anche quelle emerse con le elezioni politiche in Senegal e addirittura quelle che si pensava fossero semplici strumenti della Françafrique, in Ciad, hanno scelto di non tollerare più la presenza militare occidentale nei rispettivi paesi, incontrando su questo il sostegno della popolazione.

É chiaro che la posizione in vista delle presidenziali non è ancora definita. Ouattara, 83 anni, non ha ancora detto se correrà per il “quarto mandato”, cosa che non sarebbe possibile restando nella cornice costituzionale; mentre Gbagbo, che potrebbe invece aspirare ad un terzo mandato, risulta ineleggibile perché – benché graziato per i reati che avrebbe commesso nel corso della crisi del 2010-11 – non risulta ancora amnistiato.

Pesa il precedente del Senegal dove la rinuncia del presidente uscente ad un ennesimo mandato, e l’incapacità di trovare un personaggio carismatico, è stato uno dei fattori della vittoria del fronte pan-africanista prima alle presidenziali e poi alle politiche, con un equilibrio politico che rende possibile la realizzazione di quel programma di “rottura” che incontra il sostegno ultra-maggioritario della popolazione.

Il PPA-CI, principale partito d’opposizione che fa capo a Gbagbo, sta adoperandosi per creare un fronte comune per scalzare dal potere l’attuale partito al potere (RHDP), e sarà importante capire se lo sforzo per presentarsi uniti, tra le circa 20 formazioni che compongono il mosaico politico dell’opposizione, verrà coronato dal successo.

Gbagbo, in un intervista di circa un’ora su AFO Média, il sito d’informazione dell’ex giornalista di RFI Alain Foka, ha dettagliato quello che è il suo orientamento politico ribadendo un rinnovato spirito panafricanista che vuole realizzare un’indipendenza fin qui incompiuta.

Come ricorda, Gbagbo era stato accusato per la sua volontà di “nazionalizzare” la banca centrale, sganciandola dai dispositivi economici-finanziari della CEDEAO/ECOWAS, e quindi di voler pagare gli stipendi di “braquage”, cioè di “rapina”.

Miglioramento delle relazioni con i componenti dell’Alleanza di Stati del Sahel (AES), critica feroce della CEDEAO/ECOWAS – che per l’anziano ex-presidente è divenuta “uno strumento di propaganda della Francia” e che “non ha più ragione d’essere” -. Gbagbo ha ammonito Ouattara a non presentarsi per un quarto mandato che sarebbe incostituzionale, ribadendo la deriva autoritaria dell’attuale assetto di potere che cerca di criminalizzare l’opposizione.

Gbagbo, che ha accettato la proposta di candidarsi da parte del suo partito, cerca di essere elemento di “ricucitura” tra le composite anime dell’opposizione.

É chiaro che il processo elettorale in Costa d’Avorio ed i suoi risultati saranno fondamentali per capire non solo il futuro del Paese, ma di una parte importante del continente africano.

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