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Gli Usa provano a colpire gli interessi russi in Libia

I leader dei principali gruppi etnici presenti nel Fezzan, regione meridionale della Libia, hanno espresso verso Khalifa Haftar, “l’uomo forte” alla guida della Cirenaica, il proprio malcontento per l’emarginazione politica e la forte repressione contro la popolazione locale da parte delle forze di sicurezza.  

A riferirlo è un lancio di Agenzia Nova, dove si fa riferimento a una “dichiarazione senza precedenti” in cui si denunciano “l’emarginazione dei cittadini del sud e le nomine di figure esterne alla regione in posizioni amministrative di rilievo”.

Nel Fezzan chiesto l’intervento delle Nazioni Unite

Da quanto si apprende, i leader hanno chiesto alle “Nazioni Unite di intervenire e di includere i rappresentanti del Fezzan nei processi di dialogo politico, sollecitando una visita nella regione per ascoltare direttamente le loro richieste”. Siamo trattati “come stranieri nel nostro Paese”, hanno affermato nella dichiarazione congiunta.  

La notizia non è di poco conto se inserita nel contesto di scontro tra l’Occidente collettivo e il variegato mondo della “giungla”, secondo la famigerata espressione di Josep Borrell, dove diversi focolai di guerra emergono a macchia d’olio in tutti gli angoli del mondo. 

Quel che rimane della Libia oggi

Nella disgregazione della Libia successiva all’assassinio di Muammar Gheddafi nel 2011, due guerre civili e molteplici ingerenze esterne hanno portato a una sorta di tripartizione del territorio. 

Oggi, a ovest in Tripolitania vige un Governo di unità nazionale fantoccio sostenuto dalla Turchia; a est in Cirenaica guida la regione l’Esercito nazionale libico di Haftar col sostegno della Federazione russa; a sud nei deserti del Fezzan diversi gruppi etnici, principalmente Tuareg e Tebu, cercano invano un riconoscimento nel dialogo politico con i vicini del nord, mai veramente decollato del paese. 

L’importanza delle regione meridionale 

Il Fezzan ospita circa il 10% della popolazione libica, la tribù di etnia berbera arabizzata dei Qaddafa, da dove veniva Muammar, e soprattutto il più grande giacimento di petrolio del Paese (gli altri sono in Cirenaica). 

La regione è anche situata in posizione strategica per il controllo dell’immigrazione dal Sahel verso l’Europa, come insegnano i criminali lager voluti da Minniti ai tempi del governo Renzi e confermati da tutti quelli successivi. 

Il controllo dei giacimenti petroliferi è il principale motivo di scontro tra le varie etnie presenti nella regione meridionale, che sfruttano la diplomazia dell’oro nero per i propri interessi politici. 

Il ruolo delle tribù nel meridione

Nella prima guerra civile libica, il rivolgimento di queste tribù contro Gheddafi fu uno dei motivi principali – senza voler “sminuire” i bombardamenti Nato ovviamente – della destabilizzazione del Paese. 

Tali gruppi etnici hanno continuato a più riprese il conflitto tra loro, senza mai riuscire a unificare le forze contro il “nemico comune” delle regioni settentrionali. Ma proprio questo sembra essere avvenuto con le dichiarazioni riportate da Nova, con obiettivo la Cirenaica. 

Le mosse degli Stati Uniti nella regione

Il 26 novembre, il viceministro della Difesa russo Junus-bek Evkurov era stato accolto con gli onori militari a Bengasi da Haftar. Ma il giorno prima, l’inviato speciale statunitense Richard Norland e l’incaricato d’affari dell’ambasciata Usa in Libia Jeremy Brent sono stati segnalati a Sebha, nel Fezzan, per la prima visita nella regione “dopo tre tentativi falliti attribuiti a pressioni russe”, riportava sempre Nova a fine novembre. 

Quello che sembra un faticoso ritorno statunitense nella dinamica libica, dopo aver perso ogni legittimità a seguito dell’assassinio di Gheddafi, accende più d’un campanello d’allarme soprattutto alla luce del colpo inflitto alla Russia in Siria. 

La Russia e il Mediterraneo dopo il golpe siriano

L’accesso al Mediterraneo per la Russia è da sempre un obiettivo strategico, messo in discussione nella base di Tartus dal golpe siriano, motivo per cui la Libia è individuata come una possibile alternativa per il ridislocamento degli interessi russi nel bacino, nonché in proiezione africana.  

Pertanto, la possibile unione delle tribù del meridione contro l’alleato russo nella regione, annessa alla richiesta di intervento dell’Onu, non è una buona notizia per il Cremlino. Né lo sarebbe per l’Unione Europea, se solo ci fosse qualche testa pensante alla guida delle cancellerie continentali, mediterranee in primis. 

Il caos libico pronto a riesplodere?

Altre due notizie vanno ad aggiungersi nel mosaico che compone il caos libico. 

La prima, il 4 novembre il viceministro della Difesa Abdul Salam Al-Zoubi ha avvertito il governo di Tripoli che Haftar è in pronto a violare il cessate il fuoco nel Fezzan.  

La seconda, il 6 gennaio ci sono state mobilitazioni in diverse città libiche, tra cui la capitale Tripoli, Misurata, Zawiya, Bani Walid, Sabrata, Zintan e Msallata, contro i possibili tentativi di avviare la normalizzazione delle relazioni con Israele, in programma dal 2023

Se la Libia rientrasse nella cronaca della “guerra mondiale a pezzi”, per come sembra profilarsi, non sarebbe certo una buona notizia. 

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