Con questo articolo si fornisce il quadro del pensiero strategico statunitense entro il quale bisogna intendere i fatti che osserviamo tutti i giorni, e che spesso nei media nostrani vengono stupidamente additati come “pazzia” di Trump.
In particolare, nel documento qui analizzato il Pentagono fa riferimento a batterie elettriche, intelligenza artificiale e altre tecnologie avanzate, aiutando a indagare meglio anche le dinamiche qui e qui approfondite, che uniscono in un complesso triangolo Musk, Trump ed Unione Europea.
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Quando parliamo di linee strategiche parliamo della capacità di sviluppare i propri obiettivi nel confronto con altri attori sull’arco di tempi storici. La capacità di modellare la propria azione sui nodi strutturali di fondo che devono essere affrontati, e che non cambieranno tra i rivolgimenti estemporanei, per quanto grandi possano sembrare nell’immediato.
Se per chi sta dalla parte dei lavoratori, nel nostro paese, questa capacità si riassume nella necessità di ricostruire delle forze e una visione di classe e indipendente, per il cuore dell’Impero (gli Stati Uniti, nella filiera imperialistica euroatlantica) si tratta di sapere come surclassare i propri avversari nei settori centrali dello sviluppo capitalistico.
Quei mercati e quelle innovazioni che saranno il fulcro del ciclo economico futuro. In una fase di scontro aperto come questa, è chiaro che il compito di assicurare questa capacità viene messa in capo innanzitutto agli organismi militari. Nella crisi del capitale, la vittoria nella competizione è una questione di vita o di morte, e allora tutta l’economia viene gestita secondo le esigenze di guerra.
È quello a cui assistiamo giorno dopo giorno, mentre veniamo bombardati in continuazione da un messaggio: dobbiamo prepararci allo scontro con i “nemici dell’Occidente“. Ogni momento della vita civile diventa una questione di sicurezza nazionale, e difatti in maniera sempre più pressante la prima è piegata alle logiche della seconda.
È dunque utile osservare quali settori vengano considerati come strategici nella competizione globale dal Pentagono, e come questo programmi lo scontro sul lungo periodo con i competitors degli Stati Uniti, in particolare con la Cina. Il suo Office of Strategic Capital (OSC) ha infatti da poco pubblicato la Strategia di Investimento per il 2025, e qui analizzeremo parti di questo documento.
Questo distaccamento è stato creato dal segretario alla Difesa di Biden, Lloyd Austin, alla fine del 2022, in modo tale da indirizzare le preferenze di investimento verso le “catene di fornitura di tecnologie critiche necessarie al Dipartimento della Difesa“. L’obiettivo è quello di “accelerare lo sviluppo e la diffusione di tecnologie fondamentali per le capacità di combattimento attuali e future“.
Per il secondo anno, viene pubblicata una strategia di investimento che non prevede ancora veri e propri capitoli di spesa per i 984 milioni di dollari ad oggi stanziati, perché le sue funzioni (prestiti, garanzie sui prestiti e assistenza tecnica) stanno entrando a pieno regime ora. Ma individua 31 categorie di tecnologie e 15 segmenti industriali di interesse per il Pentagono.
È significativo sottolineare come nessuno di questi è immediatamente riconducibile all’ambito bellico, ma sono indispensabili per le sue forniture o per applicazioni dual use.
Riassumendo, si parla di nano e biotecnologie; automatizzazione; chip e terre rare; batterie elettriche, solare e idrogeno; spazio; cybersicurezza, gestione dati e computer quantistici.
Ancora più significativo, per comprendere come pensano e si muovono gli Stati Uniti, è l’identificazione di tre “arene” della competizione strategica, da affrontare con respiri temporali differenti l’una dall’altra, anche se in parte sovrapponibili. Esse sono le reti economiche, le industrie chiave e le tecnologie critiche.
Le prime rappresentano una questione da affrontare a breve termine (entro 3 anni), ed esprimono l’eredità della globalizzazione, ovvero l’allungamento delle filiere per un mercato mondiale, che oggi fa i conti con una crescente frammentazione. Il compito dell’OSC è quello di minimizzare e controllare i colli di bottiglia del mercato, evitando che avversari strategici possano disporne come vogliono.
Sul medio termine (2-7 anni), il Pentagono punta al dominio sulle industrie chiave, ovvero quelle “essenziali alla sicurezza nazionale – al di là del mero controllo di un collo di bottiglia di una rete economica“.
Infine, l’orizzonte a lungo termine si dispiega fra 5 e 15 anni, andando poi oltre, e riguarda la vittoria nella corsa alle tecnologie critiche del futuro.
Se soppesare quando e dove un candidato agli interventi dell’OSC rientri nell’ampio spettro degli interessi della sicurezza nazionale sarà di per sé una sfida, è indubbio che il Pentagono applichi questa categoria a un ecosistema che tiene insieme gli alleati di Washington. Gli USA pensano la propria sicurezza in una cornice euroatlantica, in cui ovviamente non sono disposti a condividere il primato con nessuno.
L’ultimo elemento che vogliamo qui porre in risalto è che, tornando alla premessa firmata da Austin, l’azione di questo braccio del Pentagono viene caricata di un valore ideologico. L’impegno a sostenere gli investimenti privati in direzioni strategiche viene considerato come parte di una sfida del modello liberal-liberista ad altri modelli sociali.
Scrive infatti Austin che l’OSC agirà “in modo coerente con il profondo impegno americano per la concorrenza di mercato, fonte di forza degli Stati Uniti. Il nostro approccio è in netto contrasto con quello degli autocrati stranieri che cercano di costringere e controllare gli investitori e le aziende“. Un chiaro riferimento a Pechino.
Non dimentichiamoci questo appunto, tutt’altro che secondario. Non solo perché per le forze di alternativa diventa un elemento da considerare nella battaglia ideologica, ma anche perché ciò che produrrà il Pentagono nei prossimi anni – che siano avanzate tecnologie o guerre logoranti – dovrà allora essere considerato a pieno titolo come frutto del capitalismo occidentale.
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