Menu

L’oligarchia miliardaria della ‘Nuova Era’

E’ stato necessario attendere il suo discorso d’addio alla presidenza e alla vita politica attiva per poter sentire una parola di Biden che non fosse aria fritta o sostegno a regimi criminali/genocidi.

Un’oligarchia sta prendendo forma in America, composta da estrema ricchezza, potere e influenza, che minaccia letteralmente l’intera democrazia, i nostri diritti fondamentali, la libertà e la possibilità di garantire a tutti un’opportunità equa”.

Siccome è pur sempre il pallido terminale dell’establishment che da tempo immemore occupa tutte le posizioni rilevanti ai vertici degli Usa, il vecchio rimbambito è rimasto concentrato a sufficienza per non fare nomi. Ma il contesto è tale non lasciare molti dubbi su chi siano i principali oligarchi che da qualche anno (almeno tre decenni) stanno concentrando nelle proprie mani un potere tale da non avere confronti con quello del passato.

Non c’è soltanto un neo-vecchio presidente che di mestiere ha sempre fatto lo speculatore immobiliare, specializzato soprattutto in abusi debiti e ricatti, e non c’è neanche solo Elon Musk, ormai classificato ‘uomo più ricco del mondo’ (anche se la stima delle sue ricchezze risente delle quotidiane oscillazioni di valore delle azioni che possiede).

I giornali Usa sono pieni da settimane con i nomi di straricchi che stanno traslocando dalla tifoseria “liberal” a quella trumpiana, pur avendo detto sempre peste e corna del mondo “Maga” (“make America great again”), giustamente identificato con il buzzurrame complottista, evangelico, suprematista bianco (col Ku Klux Klan in gran spolvero), ma ora capace di conquistare anche coloured di tutte le origini e sfumature.

Hanno fatto scalpore le “conversioni” di Jeff Bezos (Amazon), Mark Zuckerberg (Meta), Tim Cook (Apple) e ora anche Sundar Pichai (Google), mentre il fondo di investimento più potente, BlackRock, ha deciso di uscire dalla Net Zero Asset Managers Initiative (dove vanno gli investimenti per combattere il cambiamento climatico), più tanti altri i cui nomi sono decisamente meno famosi ma i portafogli altrettanto gonfi.

Lo ha spiegato con insolita frannchezza David Solomon, di Goldman Sachs: “la nuova amministrazione offre una gradita opportunità per annullare alcune delle regole più severe emanate durante l’amministrazione del presidente Biden e piegare la politica fiscale e normativa a loro favore”.

Ma non c’è soltanto il solito effetto “carro del vincitore” e la prospettiva di guadagni migliori per alcune società. A scorrere l’elenco delle nomine fatte da Trump per il governo, i vice, gli ambasciatori, le agenzie governative (servizi segreti e Fbi compresi), si nota una quantità di imprenditori impressionante, tanto da far apparire quasi fuori posto i pochi “funzionari di carriera”.

Anche questa presenza non è affatto nuova. I Bush padre e figlio erano petrolieri (in affari anche con la famiglia Bin Laden, peraltro), ma perlomeno George Herbert “il vecchio” aveva fatto carriera pubblica nella Cia (guidò da remoto lo sbarco nella Baia dei Porci, a Cuba… non proprio un successo).

E i loro vice e ministri, da Dick Cheney (a.d. di Halliburton, una “multiservizi” che spazia dai lavori pubblici agli impianti petroliferi, ai mercenari) a Donald Rumsfeld (ceo della Searle, produttrice del dolcificante cancerogeno chiamato aspartame), da Condoleeza Rice (presente nei cda di Chevron, Transamerica, Hewlett-Packard, Exxon) a Frank Carlucci (Carlyle Group, società di investimenti), non erano da meno.

C’è però una differenza. Quelli erano a tutti gli effetti funzionari costruiti per fare la carriera politica, che in alcune fasi della vita si davano da fare “per arrotondare” in aziende già strutturate, in attesa di rientrare in qualche ruolo chiave dello Stato, portandosi dietro la rete di contatti con l’amministrazione Usa che potevano tornare utili anche a fare business. Era il sistema delle “porte girevoli”, ai piani alti tra pubblico e privato…

Quelli attuali, invece, sono proprio e soltanto mega-imprenditori di successo (o avvocati d’affari, una variante sul tema) che decidono di prendersi la macchina dello Stato per farla funzionare secondo i propri progetti, anche individuali (Musk vorrebbe far arrivare i suoi razzi su Marte, se smettono di esplodere sulla rampa di lancio…).

Non è un processo che riguardi solo gli Stati Uniti, naturalmente. In Italia abbiamo sperimentato 30 anni fa l’irruzione di Silvio Berlusconi, con la sua corte variopinta e raffazzonata. Ma anche in Francia non va sottovalutato il fatto che un banchiere (Macron) abbia monopolizzato prima il ministero dell’economia in un governo “socialista” e poi la presidenza della Repubblica.

Protagonisti che contrassegnano una generale “crisi della politica” nel rappresentare-guidare la società nel suo complesso, ovviamente secondo gli interessi della classe dominante.

Cambia però in questo caso radicalmente la “composizione sociale” e quindi anche la “cultura dominante” nel gruppo dirigente dello Stato. E non di uno Stato qualsiasi, ma del cuore dell’imperialismo occidentale.

Gli imprenditori di successo si erano fin qui astenuti da partecipare in prima persona ai governi degli Stati capitalistici, se non in casi rarissimi, preferendo continuare a gestire il proprio business e condizionare la classe politica per ottenere ciò che serviva loro. Quello Stato era in fondo il “comitato d’affari della borghesia tutta“…

Ora gli imprenditori si buttano in massa sulle leve del potere politico, per fare ciò che il ceo di Goldman Sachs ammette apertis verbis: “piegare la politica fiscale e normativa a loro favore“. e anche un po’ di più…

Ma la “cultura aziendale” è piramidale e gerarchica, non prevede pluralità di centri di comando, contrappesi, “rappresentanze di interessi” diversi da quelli azionari (dove ci si pesa in base al numero di azioni). Neanche dei propri dipendenti, chiamati “collaboratori” sono nelle lettere di assunzione e licenziamento, ma senza sindacati tra i piedi, neanche “complici” (un costo inutile, ormai…)

Tutti possono ricordare il video con Elon Musk che entra nella sede di Twitter, appena acquistata, portando in braccio un lavandino per simboleggiare le “pulizie” che aveva intenzione di fare in quell’azienda (come poi effettivamente avvenuto).

Chiaro insomma che “la democrazia” esce piuttosto malconcia da questa irruzione massiva di amministratori delegati. Anzi, ne viene demolita anche la sola pretesa di chiamarsi tale, perché nessuna istituzione pubblica può più permettersi di “limitare” il potere esecutivo. Altro che “i tre poteri” di Montesquieu…

Al confronto, il “premierato” che vorrebbe imporre la Meloni è quasi una concessione al “pluralismo”, visto che continua a pensare la “classe politica” come una funzione importante, invece che “accessoria”…

E’ un cambiamento radicale nella gestione del potere politico capitalistico per come lo abbiamo conosciuto e subìto nel secondo dopoguerra. Viene di fatto azzerata ogni finzione di “legalità concertata”, sia nella gestione degli affari interni di un paese che nelle relazioni internazionali. Contano e conteranno solo i rapporti di forza, economici o militari. In attesa di poterli cambiare, certo…

Un “preavviso” che era già arrivato – sotto il filo-genocida Biden, che ora finge di preoccuparsene – con il disconoscimento delle Corti internazionali, dell’Onu e di tutte le sue agenzie, in parte della stessa Nato, ricondotta rigidamente ad esecutrice degli ordini statunitensi.

Dal punto di vista delle classi quel che cambia davvero sono i rapporti interni alle varie frazioni di borghesia. Nella nuova configurazione contano solo gli interessi multimiliardari e “innovativi”, scrollandosi di dosso il peso negativo delle “rendite di posizione” anche a livello industriale (il “complesso militare-industriale” stesso, scottato dai pessimi risultati della guerra in Ucraina, dovrà rivedere rapidamente le sue abitudini e i suoi prezzi iper-gonfiati).

Il rapporto con il resto della società segue. Se le modifiche nell’architettura economica del sistema permetteranno nicchie di profittabilità nei nuovi “indotti”, bene. Altrimenti chissenefrega…

Il controllo della popolazione, del resto, è già stato testato e verificato proprio grazie all’”economia delle piattaforme”. Il network tra Google, X, Whatsapp, Instagram, ecc, permette già ora di condizionare pesantemente la “formazione dell’opinione pubblica”, soppiantando i “professionisti dell’informazione”, che peraltro già si erano felicemente adattati al nuovo panorama (basta guarda a quanti articoli di “politica” vengono da anni scritti consultando proprio i post su X, arricchiti magari con una telefonata al portavoce del “potente di turno”).

Questo è il nuovo Occidente. Che sia “democratico” non si può proprio più dire. Ma lasceranno le scadenze elettorali per mantenerne la parvenza. Tanto la “volontà politica del popolo” sanno di poterla controllare da remoto…

E comunque, se non dovesse andare come dispongono, allora “non vale”. Chiedete a rumeni o ai georgiani, tanto per cominciare…

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

2 Commenti


  • Giovanni

    È finalmente caduta la maschera delle finte democrazie con annessi valori (ovviamente a numerario) .


  • Giovanni

    Occidente al capolinea della democrazia, noialtri periferia del neo-imperialismo finanziario e politico, misere comparse del grande Barnum Usa.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *