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I porti “cinesi” del Canale di Panama venduti a un consorzio guidato da Blackrock

Una delle promesse – o minacce – fatte da Trump al suo discorso di insediamento sembra essersi realizzata: due importanti porti agli estremi del Canale di Panama tornano di proprietà ‘statunitense’, per quanto si possa affibbiare una nazionalità al consorzio guidato da Blackrock che ne ha rilevato la gestione dalla cinese CK Hutchison Holdings.

Appena un mese fa le pressioni messe in pratica dal Segretario di Stato USA Marco Rubio avevano portato il presidente panamense alla promessa di non rinnovare l’accordo sulla Belt and Road Initiative con Pechino. Ma anche all’avvio di verifiche sulla concessione dei due porti, rinnovata senza gara d’appalto a Panama Ports, sussidiaria della CK Hutchison Holdings.

Un’evidente pressione politica che la società con sede a Hong Kong (dunque non un’impresa pubblica su cui il Partito Comunista Cinese eserciti alcun controllo) ha deciso di aggirare vendendo direttamente il 90% di Panama Ports a Blackrock e soci. Tra di essi, anche MSC dell’imprenditore italiano Aponte.

Ora, dunque, gli accessi a Balboa e Cristobal sono sotto più stretto controllo di Washington. Non si tratta del ritorno del Canale sotto la sua sovranità, come molti giornali italiani hanno titolato, ma si tratta di certo di un altro caso in cui alle ‘sparate’ di Trump sono seguiti fatti concreti, che non si possono ignorare.

Più che altro perché anche Trump ha rincarato la dose, citando davanti al Congresso l’accordo di Blackrock, ma continuando anche a dire che si riprenderanno quella via d’acqua. La mossa della società di Hong Kong, che ha così evitato spiacevoli controlli e ha pure incassato un buon rialzo delle azioni in borsa, potrebbe non bastare.

Ad ogni modo, la notizia non è solo che degli importanti terminali di uno dei corridoi commerciali più importanti del mondo sono tornati nell’orbita dell’imperialismo stelle-e-strisce. Perché la partita che Trump si gioca è quella di un più generale rilancio della capacità del suo paese di assumere una posizione di forza nella frammentazione del mercato mondiale.

Il tema del Canale di Panama ha a che fare con tale questione, e l’accordo siglato da Blackrock va oltre l’America centrale. Come riporta il Financial Times, infatti, nei 22,8 miliardi di dollari che alla fine dovrebbe valere l’accordo, non è stato ceduto solo il 90% di Panama Ports, ma anche l’80% delle altre sussidiarie portuali di CK Hutchison.

Si parla di sigle che gestiscono 43 porti in 23 paesi, tra cui il Regno Unito e la Germania, il Messico e l’Australia, e in vari altri luoghi del Sud-Est asiatico e del Medio Oriente. L’altro 20% delle sussidiarie è detenuto da PSA, operatore portuale di proprietà di Temasek, fondo sovrano di Singapore: uno stato che Washington può considerare di allineare abbastanza facilmente ai suoi desideri.

L’accordo ha quindi proiettato gli Stati Uniti nel controllo di infrastrutture commerciali fondamentali sparse per tutto il pianeta, utili nella pressione politica che Trump vuole operare nella ridefinizione dei termini del commercio globale a proprio vantaggio. Sempre sul Financial Times si legge che una fonte ha evidenziato come “il consorzio non sarebbe andato avanti con la sua offerta se avesse creduto che il governo degli Stati Uniti non avrebbe sostenuto l’accordo“.

È finita la propaganda del libero mercato che governa su ogni cosa. Ormai siamo allo scontro totale tra attori che sono tutti competitors nell’orizzonte della competizione globale e della frammentazione del mercato mondiale. Trump sta premendo sull’acceleratore di questa trasformazione.

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