Il ministro dell’Interno francese, Bruno Retailleau, ha annunciato il 30 aprile che il governo si appresta ad avviare le procedure per lo scioglimento di Urgence Palestine, uno dei gruppi nato dopo il 7 ottobre 2023 e che in maniera più netta ha promosso la mobilitazione in solidarietà con il popolo palestinese.
Urgence Palestine riunisce “cittadini, organizzazioni e movimenti associativi, sindacali e politici mobilitati per l’autodeterminazione del popolo palestinese“, ma sin da subito la sua azione è stata ostacolata in ogni modo. Per un certo periodo di tempo le sue manifestazioni sono state persino proibite (anche se questo non ha impedito che i suoi membri scendessero in piazza).
Ciò che spaventa di più le autorità francesi è che il gruppo, scrive Le Monde, è riuscito a raccogliere militanti molto giovani, diffusi anche nelle zone di provincia, e la cui visione è maggiormente marcata in senso radicale e decoloniale. Inoltre, Urgence Palestine ha presentato denunce contro vari militanti politici o soldati franco-israeliani, accusandoli per la loro complicità nel genocidio.
“In un momento in cui il popolo palestinese sta affrontando un genocidio – ha detto uno dei suoi più importanti esponenti in un video affidato ai social – e una carestia, in un momento in cui vogliono distruggere, annientare il popolo palestinese, cosa sta facendo il governo francese? Vuole dissolvere il nostro collettivo, è insopportabile“.
Il ministro Retailleau ha giustificato la scelta dicendo che la volontà è quella di “colpire gli islamisti“. Il culmine dell’ipocrisia è stato raggiunto quando ha affermato che “non dobbiamo far sfigurare la giusta causa dei palestinesi“, insistendo sul fatto che “molti dei nostri compatrioti musulmani professano una fede perfettamente compatibile con i valori della Repubblica“.
È evidente che sotto attacco non è la causa palestinese, ma chi la sostiene esprimendo il proprio dissenso, anche in maniera conflittuale, contro un governo che si è sempre detto a favore della pace, ma che è poi rimasto sempre in silenzio mentre il genocidio dei palestinesi veniva trasmesso in diretta televisiva.
Parigi, sfruttando come copertura la solita scusa di posizioni islamiste radicali e adombrando pericoli terroristici, vuole colpire in maniera duramente repressiva un soggetto che non si è limitato alle dichiarazioni di principio, ma si è mosso per denunciare sia la visione coloniale ancora condivisa da tanta parte delle classi dirigenti francesi, sia chi concretamente ha partecipato al massacro sionista.
Un attacco a un sistema di potere collaudato ma già fortemente indebolito che Macron e compagnia non possono accettare. Soprattutto mentre il presidente francese ha annunciato di star valutando di riconoscere lo stato di Palestina, nei prossimi mesi. Una misura rimandata nel tempo e che serve solo a creare una contrapposizione fittizia con le politiche genocidiarie (e forse più con Trump che con Netanyahu).
Non è la prima volta che Parigi si muove in questo modo. Ricordiamo quando venne sciolto il collettivo ecologista Les Soulèvements de la Terre, e appena qualche ora prima dell’annuncio su Urgence Palestine Retailleau aveva promosso la stessa procedura di dissoluzione anche per il movimento antifascista della Jeune Garde.
Inoltre, le azioni del governo francese adombrano un possibile attacco alla France Insoumise. Infatti, il portavoce della Jeune Garde è Raphaël Arnault, parlamentare dello schieramento di Mélenchon. Varie dichiarazioni di solidarietà sono arrivate a entrambi i gruppi sotto procedura di scioglimento, tra cui quella di Rima Hassan, eurodeputata di origini palestinesi della France Insoumise.
Come ha detto Hassan, la Francia si trova di fronte a una deriva autoritaria guidata da Macron. Eventi come questi evidenziano come il tentativo di presentare l’Occidente come il luogo in cui il dissenso può essere espresso si frantuma di fronte alla realtà dei fatti.
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