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La vendita dei porti del Canale di Panama ne mette a rischio la neutralità

La vendita di due dei cinque porti alle estremità del Canale di Panam alla cordata che vede insieme BlackRock e la famiglia Aponte mette a rischio la neutralità prevista per la via d’acqua. È Ricaurte Vásquez, amministratore dell’Autorità del Canale di Panama, a farlo sapere, attraverso il Financial Times.

Vásquez mette in guardia dal fatto che il recente accordo di cessione dei terminal da parte della CK Hutchinson di Hong Kong andrebbe contro lo stesso accordo firmato con gli Stati Uniti, che ha riportato il Canale sotto giurisdizione panamense. Trump aveva invece sempre criticato una sorta di controllo che vi avrebbero imposto i cinesi.

La Casa Bianca ha già ottenuto di posizionare delle truppe a ridosso del corridoio commerciale, ma aveva dato anche il benestare all’operazione che avrebbe visto due dei terminali vicini al Canale passare sotto il controllo di operatori occidentali. La realtà è che ora è Washington, questa volta davvero, che potrebbe esercitare un controllo sull’istmo, con effetti che vanno ben oltre di esso.

La vendita dei porti era già stata fermata dall’antitrust cinese, che in molti avevano accusato di operare secondo logiche politiche. Le dichiarazioni rilasciate da più parti negli ultimi giorni sembrano invece confermare un pericolo concreto di tendenza monopolistica che potrebbe ulteriormente mettere in crisi la ‘libera concorrenza’, in genere rivendicato come pilastro del progresso da parte del capitale.

Se si verifica un livello significativo di concentrazione sugli operatori terminalisti appartenenti a una compagnia di navigazione integrata o a una singola compagnia – ha chiarito Vásquez – ciò andrà a scapito della competitività di Panama sul mercato e sarà incompatibile con la neutralità“. A preoccuparsi sono anche i concorrenti della MSC di Aponte.

Molto analisti hanno sottolineato come, se l’accordo andasse a buon fine, la compagnia di navigazione italo-svizzera avrebbe una presa sostanziale sull’infrastruttura portuale mondiale, diventando il principale operatore di terminal container al mondo. Infatti, secondo la società di consulenza marittima Drewry, la compravendita porterebbe alla MSC l’8,3% del mercato globale in quel settore.

La compagnia che fa capo alla famiglia Aponte è già la più grande quando si parla di capacità di trasporto navale, e in molti si chiedono se non possa usare la sua posizione sui porti per guadagnare sulle tariffe, o semplicemente non concedendo agli avversari le migliori finestre di attracco, dilatando i loro tempi di navigazione e i loro costi.

Con la prevista messa in servizio di nuove navi, aumenterà la pressione sui terminal, il valore degli attracchi e, con essi, anche la leva di potere in mano agli Aponte. Con questo accordo, la MSC diventerà una presenza dominante nel Sud-Est asiatico, in Messico e in Europa, dove si imporrà sul nodo fondamentale di Rotterdam.

Insomma, sono gli effetti dell’integrazione verticale di un gigante della logistica su un comparso che ne rappresenta la spina dorsale a far lanciare l’allarme. Certo, l’accordo prevedeva impegni legali da parte della MSC a gestire i terminal senza logiche discriminatorie, ma è risaputo che quello che è scritto sulla carta spesso non vale per questi colossi.

E lo sa bene anche Pechino. Infatti, anche se la CK Hutchinson non ha venduto i 10 porti che controlla nella Cina continentale e a Hong Kong, nel Dragone si pensa che questo passaggio di mano permetterà agli Stati Uniti di minare i propri interessi nazionali, limitando le spedizioni dalla Cina e diventando così un’arma nella guerra commerciale riaperta da Trump.

La diatriba su Panama continua a rappresentare la cartina tornasole del clima commerciale e logistico mondiale, in questa fase di frammentazione del mercato globale.

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