“La Slovenia è il primo paese europeo a vietare l’importazione, l’esportazione e il transito di armi da e verso Israele“. L’annuncio del governo di Lubiana è arrivato nella serata di giovedì, 31 luglio.
L’esecutivo ha spiegato la decisione con la volontà di adottare misure concrete rispetto al genocidio in corso a Gaza per mano di Israele.
Nella nota diramata dall’esecutivo, un punto centrale della presa di posizione è la mancanza di iniziativa comune al livello europeo, a cui la Slovenia ha deciso di rimediare in modo autonomo.
«L’Unione Europea non è stata in grado di adottare misure concrete», ha dichiarato il governo sloveno. L’azione unilaterale riguarda tutti i materiali d’armamento, inclusi equipaggiamenti militari, componenti e tecnologie legate alla difesa. Dubbi permangono invece se il divieto sia esteso anche agli strumenti dual use civile-militare.
Il primo ministro Robert Golob già a margine del vertice europeo di giugno aveva dichiarato che la Slovenia avrebbe agito autonomamente se l’Unione Europea non fosse stata in grado di adottare misure effettive contro Israele.
Sempre giovedì, il ministro degli esteri sloveno Tanja Fajon aveva convocato l’ambasciatrice di Israele in Slovenia, Ruth Cohen-Dar, per protestare contro la “mostruosa catastrofe umanitaria a Gaza, causata dalla limitazione dell’accesso agli aiuti umanitari“.
Sono comunque giorni convulsi per il Parlamento di Lubiana. Il 18 luglio infatti sono state annullate le consultazioni popolari sull’aumento delle spese militari e sull’adesione della Slovenia alla Nato, le quali erano state annunciate solo a inizio mese.
Il doppio referendum avrebbe probabilmente spaccato la fragile coalizione di governo di centrosinistra, all’interno della quale sul tema della difesa sono emerse nelle ultime settimane non poche divergenze.
La consultazione sull’aumento delle spese militari era stata promossa a inizio luglio dal partner di minoranza di governo Levica (“Sinistra”), dopo che l’esecutivo aveva assunto l’impegno di innalzare al 5% del Pil le spese militari al summit Nato dell’Aia lo scorso 25 giugno.
Il leader del partito liberale Svoboda (“Libertà”), prima forza in Parlamento, aveva bollato la richiesta di referendum come un “inganno populista. Ci sono solo due strade possibili: o restiamo nella Nato e paghiamo la quota di adesione, oppure usciamo“, aveva dichiarato, proponendo altresì una seconda consultazione sull’adesione di Lubiana all’Alleanza atlantica.
Venerdì 18 luglio invece il Parlamento ha fatto dietrofront proprio su iniziativa del partito che esprime il primo ministro Golob, i verdi del “Movimento della Libertà”, ritrovando perlomeno una quadra nella condanna alle azioni criminali di Israele.
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